La morte di Ciccio e Tore ha dei responsabili secondo il padre delle giovanissime vittime, Filippo Pappalardi. L’autotrasportatore non ha mai cambiato idea in merito e, ancora oggi, vuole vederci chiaro. L’uomo non si dà per vinto anche se sono passati 15 anni dal ritrovamento dei corpi dei due giovani figli.

“Non mi rassegnerò mai all’idea di non sapere se i miei figli avrebbero potuto essere salvati. Anche se sono trascorsi quindici anni si può indagare ancora e scoprire chi c’era con loro quando caddero nel pozzo della casa delle cento stanze. Sono troppi i punti oscuri di questa vicenda. Ci sono persone, ragazzini ma, probabilmente, anche degli adulti, che hanno nascosto la verità e ora voglio capire perché lo hanno fatto. Ci sono delle lacune nelle indagini e anche verbali della Procura che sono stati cambiati. Perché? Chi sa parli, i miei figli non erano soli il pomeriggio in cui finirono nel pozzo, sanno qualcosa i loro compagni di giochi e anche i loro genitori. Chi ha detto troppo poco, chi ha ritrattato, chi ha depistato, si metta una mano sulla coscienza”.

Filippo Pappalardi.

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Non sono esternazioni nuove. La posizione di Filippo è sempre stata la stessa, non cambia neanche la determinazione nel voler far luce definitivamente sulla vicenda dei suoi figli, scomparsi il 5 giugno del 2006 e ritrovati mummificati due anni dopo presso un casolare abbandonato a Gravina di Puglia. I piccoli avevano appena 13 e 11 anni quando sono scomparsi.

“I miei figli si potevano salvare – disse nel 2018 l’uomo – c’è qualcuno che li avrà sempre sulla coscienza”. La speranza di far giustizia non l’ha mai persa: “Prima o poi la verità verrà fuori”, disse. Il padre di Ciccio e Tore fu incarcerato nel 2007 per la morte dei figli: fu accusato di sequestro di persona, duplice omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela e occultamento di cadavere. Dopo neanche cinque mesi, l’uomo fu scarcerato con un risarcimento di 65mila euro per detenzione ingiusta. Si era ipotizzato che si fosse trattato di una punizione esemplare finita male. Niente di tutto ciò.

La ricostruzione

Era il 5 giugno del 2006 quando i piccoli erano usciti di casa nel tardo pomeriggio per “andare a girare un film” con la telecamera di un loro amichetto, prestatagli dal proprio papà. Quella sera non sarebbero mai più rientrati nell’abitazione a Gravina in Puglia, provincia di Bari. Filippo provò a chiamare l’allora già ex moglie e scoprì che non erano in sua compagnia. Disperazione, terrore. I pensieri peggiori si innescavano nella testa dell’uomo che bussava casa per casa: “Avete visto i miei figli?”.

Morte di Ciccio e Tore: la disperazione del padre. Recatosi in commissariato, da quella sera cominciò la personale lotta contro le istituzioni. Finiti nel pozzo della masseria dove solitamente giocavano, i piccoli erano morti di stenti, come rivelato dall’autopsia eseguita sui loro corpi. Prima è deceduto Ciccio, il più grande di 13 anni, poi il fratellino di 11 circa un giorno dopo. Erano al buio, al freddo, senza cibo. Il padre non ha mai perso il sospetto che al momento dell’incidente vi fosse qualcuno lì presente e che di conseguenza questi potrebbe avere importanti e gravi responsabilità sull’accaduto. “Sono sicuro che quella sera con loro c’erano altre persone – aveva detto – e che chi sa non li ha aiutati, né chiesto aiuto e non ha mai parlato”.

Un’idea che sposa anche la mamma delle vittime, Rosa Carlucci, ex moglie dell’autotrasportatore Filippo. Purtroppo per i piccoli non c’è stata pace neanche dopo la morte. Un paio di anni fa “mani ignote ma esperte”, avevano “scardinato le lastre di vetro” che ricoprono le tombe dei piccoli, come denunciato dallo stesso sindaco di Gravina in Puglia.

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