Il maestro del cinema italiano, Pupi Avati, presente al Festival del Cinema di Venezia dove ha presentato il suo film, “L’orto americano”, è un vero e proprio noir psicologico ambientato nella Bologna del dopoguerra. Infatti, il noto regista ha gelato il pubblico, dopo aver confessato uno spaccato di vita totalmente inedito.
Pupi Avati gela il pubblico: il racconto inedito
Pupi Avati ha gelato il pubblico, per via del suo racconto totalmente inedito, riprendendo anche il film presentato a Venezia 81. Un giovane tormentato, interpretato da Filippo Scotti, si innamora perdutamente di una misteriosa infermiera americana. Ma la sua ossessione per lei lo porterà a confrontarsi con i demoni del suo passato e con le ombre inquietanti che popolano la sua mente. “Ho parlato di disturbo mentale”, ha raccontato Pupi Avati. “E in un certo senso il protagonista è un po’ me. Tutte le sere, prima di addormentarmi, richiamo alla mente i miei cari scomparsi. È un modo per non sentirsi soli”. Il regista bolognese non ha nascosto la sua passione per il cinema americano degli anni ’40 e le sue influenze si percepiscono chiaramente in ogni inquadratura.
“Ho usato il bianco e nero per creare un’atmosfera più onirica e suggestiva”, ha tuonato Pupi Avati al pubblico presente. “Volevo un film che fosse più vicino al pubblico, un film popolare”. Ma “L’orto americano” non è solo un thriller psicologico. È anche un’indagine profonda sulla solitudine, sulla paura della morte e sulla complessità delle relazioni umane. “Il protagonista è l’uomo più solo che ci sia”, afferma Avati. “Un uomo tormentato dai suoi demoni interiori”. E proprio come il suo protagonista, anche Avati sembra voler lanciare un messaggio forte e chiaro: “Educate i vostri figli a sognare, a non aver paura di essere diversi. Il mondo ha bisogno di più immaginazione e meno razionalità”.