Era l’8 giugno del 2018, sono passati quasi cinque anni: Alvaro Vitali comunicava di aver vissuto la depressione durante una puntata di Nemo – Nessuno escluso, condotta da Enrico Lucci
Era diventato il signor “no” Alvaro Vitali, alias Pierino: no a tutto, per la depressione. No agli amici, no ad una serata in pizzeria in buona compagnia, no alla felicità. Il tutto per cosa? Il solito discorso delle etichette. Recentemente il tema diventa sempre più ricorrente: è ormai all’ordine del giorno la denuncia di attori immobilizzati in una situazione paralizzante. Impotenti, inermi, dinanzi al nuovo concetto seriale che esclude a prescindere molte categorie. Forse nel 2018 il fenomeno, seppur in netta via di espansione, non rappresentava ancora la minaccia che si è rivelata a cinque anni di distanza da quella puntata di Nemo. Eppure, Alvaro Vitali era già stato messo alla porta da tempo.
Negli anni Ottanta, Pierino era un personaggio ormai internazionale anche se mai scevro da critiche. Abbiamo già trattato quella riunione a tavola decisa da Vittorio Gassman, in presenza di attori come Bombolo, Mario Merola, Marco Giusti e tanti altri: si discuteva proprio su quel cinema ritenuto da “serie B”. Eppure, vendeva. Andy Luotto, doppiatore e poi anche attore, raccontava come i compratori preferissero i film di “quello che dà fuoco alle scoregge” piuttosto che quelli di Giannini. Il problema, allora, era solo circoscritto alla demenzialità di alcune pellicole, almeno per la critica del tempo. Non che qualcosa si sia evoluto in tal senso, ma oggi il problema di Vitali – che poi è anche quello di “ieri” – è l’improvviso stallo sopraggiunto dopo tanto clamore mediatico. Positivo o negativo che sia: portava guadagni.
Il cappello di Pierino gettato a terra con disprezzo, poi raccolto con pentimento
Oggi Vitali non sputa sul piatto dove ha mangiato, lo disse in quel monologo alla Rai per la trasmissione di Nemo. Nello sfogo, ha parlato di “amore e odio” verso quel personaggio che lo ha fatto sorridere, guadagnare, “e ancora mi fa mangiare”. Quindi, al lancio a terra del cappello è seguito immediatamente quello del pentimento, con il gesto di ripulirlo proprio per non rinnegare un passato, che, volente o nolente, resta presente.
“C’è stato un tempo che il cinema si è dimenticato di me. Sono stato fermo 10 anni. Sono stato depresso, è stato brutto. Meglio non ricordare quel periodo. Non uscivo di casa, non volevo sentire più nessuno. Mi chiamavano gli amici, mi chiedevano: ‘Vogliamo uscire? Andiamo a mangiare una pizza?’. Io dicevo di no”. Ha vissuto la depressione, lo dice. Non ne parla felicemente, non lo fa apertamente. Ma si capisce. D’altronde è lo stesso Lucci a ricordare le sue frequenti interviste dove non si fa fatica a scovare l’amarezza celata dietro le sue espressioni. Oggi però è diverso. Alvaro Vitali ha 75 anni, sono passati cinque anni da quel giorno, e ha maturato una maggiore consapevolezza. Aveva un solo desiderio: “Camminare sul tappeto rosso, mica ve lo sporco eh?!”. È soddisfatto? “Sono felicissimo adesso, dopo tutto quello che ho fatto. Ho una bella famiglia, bei figli, nipoti. Sto una pacchia”. Ma il cinema, e anche gli amici, sembrano essersi dimenticati di tutto.