Mario Brega è stato uno dei più grandi caratteristi della storia del cinema italiano. Un personaggio, quello interpretato nei suoi oltre 90 film, che non si discosta mai dalla persona. Può variare, quello sì. Partendo dai ruoli drammatici nei film di Sergio Leone e dimostrando di saper virare alla grandissima nella commedia con Verdone. Mario rappresenta una figura, una immagine di “una certa Roma“, quella di un tempo e che ora non esiste più. Lo disse in una intervista Carlo Verdone. “Oggi un personaggio così sarebbe un bandito“, aggiunse il regista ricordando il compianto Brega.

Mario Brega, Florestano Brega all’anagrafe, nacque a Roma il 25 marzo del 1923. La sua figura merita di essere ricordata. E deve essere ricordata. Non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di raccontare questo gigante della vita. Questo è il pensiero che ha fatto Ezio Cardarelli che ha curato la biografia “Ce sto io e poi ce sta De Niro“, il libro edito da “Ad Est dell’Equatore“.

L’incontro tra Verdone e Mario Brega a casa di Sergio Leone

Ho pensato che un personaggio del genere andava raccontato” ha detto Cardarelli, già autore della biografia di Bombolo. L’intuizione arriva ascoltando l’aneddoto dell’incontro con Carlo Verdone in casa del grande regista Sergio Leone. Il personaggio “andava ricordato alle giovani generazioni di appassionati di cinema” ma non solo. “Non si poteva correre il rischio di dimenticare quell’omone burbero” ma allo stesso tempo “attore amatissimo e ancora molto popolare“.

Su Brega “si è scritto davvero poco“, dunque c’è stato il rischio di poterne perdere le tracce. Tuttavia Cardarelli arriva in tempo per “reperire le informazioni necessarie“. Per quanto un personaggio come Mario sia impossibile da dimenticare, è altresì vero che gli aneddoti sul grande caratterista sono stati ripescati con non poche difficoltà dallo scrittore.

L’incontro tra Verdone e Brega avvenne casualmente. Carlo era in preparazione per il suo esordio cinematografico a fine anni Settanta. Mentre era a casa del regista, il suo mentore, e con il quale discuteva del primo film in cabina di regia, “Un sacco bello” del 1980, improvvisamente il grande Marione piombò nella stanza con tanta frutta e verdura di primissima scelta in regalo per Sergio Leone. Verdone era in cerca quasi disperata di un attore in grado di interpretare il ruolo del padre di Ruggero, il personaggio hippie impersonato da Carlo. La prima impressione fu fatale e il tempo lo confermò: Verdone rimase folgorato.

Quel legame con De Niro “il migliore amico di Bobby

Già dal titolo del libro, “Ce sto io e poi ce sta De Niro“, si riesce a intuire molto della personalità di Brega. Non era un attore, era semplicemente sé stesso sul set. Interpretava la parte alterando lievemente il suo modo di essere. Per il resto era compito dei registi adattarne lo stile per la loro pellicola. Un uomo tutto d’un pezzo, difficile da gestire, anzi “difficilissimo” come disse Verdone. Il titolo del libro è ispirato a un aneddoto relativo al periodo di preparazione del film “C’era una volta in America” del 1984. Chiunque gli chiedeva quali attori erano presenti nel nuovo film di Sergio Leone, Mario rispondeva: “Nel film ce sto io. Poi ce sta De Niro, James Wood…”.

Con Robert De Niro non sono finiti gli aneddoti, anzi. Brega si definiva “il miglior amico di Bobby“. Grazie a un invito a cena a casa sua. Mario avvisò al telefono Maria dicendole: “Marì, a cena ce sta anche De Niro“. Aggiungendo: “Vole veni’ a magnasse ‘n piatto de pasta“. Dunque: “J’ho detto de sì, armeno se magna quarche cosa de bbono“. Mario era questo, era così. Giganteggiava, era un megalomane ed esagerava ogni aspetto della vita pur di impressionare chi aveva di fronte.

Tuttavia il legame con De Niro era vero, magari non da migliori amici ma l’attore americano andò a trovare Brega quando era in ospedale. Oltretutto regalandogli una foto di scena del film “Toro scatenato“.

Verdone, raccontando Brega: “Tutto stava nel non farlo arrabbiare

Mario era un uomo forte che si mostrava fortissimo. Come disse Verdone era un uomo possente, spavaldo, burbero, esuberante, ma anche svelto, intelligente, difficile fargli passare qualcosa da sotto il naso. Tutto stava nel non farlo arrabbiare altrimenti “puoi solo mostrarti fragile, debole” per calmarlo. Oppure “poteva finire male“, come disse ancora Verdone. Diciamo che era facile venire alle mani se si provava ad affrontarlo. Un uomo sicuramente rude ma allo stesso modo paterno, buono e generoso.

Proprio la generosità era il suo forte, tipico di un uomo tutto d’un pezzo dell’epoca. Lui stesso si è sempre definito un “buono vero“, tuttavia meglio non pestargli i piedi troppo spesso. Perché “‘na volta sei scusato, ‘na volta perdonato, ‘na volta te gonfio tutto”. Deciso e crudo nella rabbia, affettuoso e di gran cuore nella serenità. Poteva passare dal “portarti a casa dieci casse di frutta e verdura” di prima scelta dai Mercati Generali (dove lavorò oltretutto), o anche presentarsi con “tre scatole di scarpe costose di Testoni o di Samo“, ad urlarti dalla strada: “A’ busciardo! M’avevi promesso venti pose e mo’ me ne fai fa’ cinque?“. “Scenni che parlàmo!” e “io mica so’ n’accattone!“.

Nel ricordare il compianto Brega, Carlo disse che la bravura di Mario era proprio quella di interpretare semplicemente sé stesso. Tuttavia lui “recitava a sé stesso“, lo era la sua stessa vita una recita. Sul set “era talmente incosciente” e non aveva “timore alcuno” anzi riusciva a “trasportarsi perfettamente“, anche se spesso “esagerando” o “improvvisando fuori luogo“.

Gli inizi

Mario sognava di fare cinema sin da bambino, periodo nel quale con il fratello Valeriano si svagava girando lungo la via Ostiense a Roma. Non si faceva scrupoli a rubare i soldi delle offerte al presepe della basilica di San Paolo fuori le Mura per comprarsi i dolci. Già da piccolo intratteneva le persone imitando i personaggi del quartiere. Crescendo iniziò ad appassionarsi alle donne e al poker, passioni che non perderà mai. Specialmente il poker farà di Mario un giocatore appassionato e amante della scommessa.

Negli anni Cinquanta frequentava Via Veneto, a Roma. Iniziò a chiedere una parte a chiunque fosse nel giro del cinema: “Maestro, me provi“. Mario si formò nella scuola di Federico Fellini e Sergio Leone. Iniziò la carriera cinematografica recitando in piccole parti. Esordì al cinema nel 1952 in “La marcia su Roma” diretto da Dino Risi. Nel 1954 partecipò con una parte minore in Violenza sul lago.

Nel 1957 Pietro Germi stava lavorando per il film “L’uomo di paglia“, ispirato da una poesia di Thomas Eliot. Il dramma borghese non poteva essere però girato senza altri attori. Pietro era alla ricerca di un attore che impersonasse un passante che salva il protagonista del film coinvolto in una rissa. Al provino si presentò un Mario Brega 34enne al quale venne posta la domanda: c’è la rissa, dunque “dica la prima cosa che le viene in mente per intervenire…”. Piccola pausa di Marione che guardando fisso il regista, nel silenzio totale, disse urlando: “Mort*cci tua…A fio de ‘na mig****a!“. Promosso immediatamente per la parte!

Il legame con Leone: Mario Brega recita in “Per un pugno di dollari” e poi in tutta la trilogia del dollaro

Marione iniziava a farsi strada ma la svolta arrivò nel 1964 grazie a Sergio Leone che scelse di arruolarlo per non mollarlo più. Il regista lo preferì a Renato Baldini e altri attori italiani di secondo piano. Così, negli studi del direttore della fotografia, Alvaro Mancori, a Settebagni, Leone scelse Brega.

Chissà, forse impressionato dalla sua mole, Sergio scelse l’attore come scudo umano visto che da quel momento lo portò sempre con sé? D’altronde chi si sarebbe mai avvicinato a Leone con uno “scagnozzo” così. Tuttavia la spiegazione la diede lo stesso Brega nell’unica intervista rimasta dell’attore, rilasciata al canale Teleroma 56 nel 1991. “Perché avevo la faccia da buono“. Sebbene “facevo il cattivo“. A riportarlo è stato Marco Giusti che ha curato la prefazione del libro biografico scritto da Cardarelli.

In quell’anno usciva “Per un pugno di dollari“, l’esordio degli spaghetti western. Mario impersona Chico recitando in romanesco. Secondo l’attore il miglior film girato con Leone, perché “l’avevamo fatto con la fame“. In quel periodo “nun ciavevamo una lira…”. Un altro aneddoto svelato nel libro è che nell’hotel dove pernottava la produzione, gli chiedevano sempre “la cuenta“. Mario di pronta risposta diceva “domani, facciamo domani“.

Sebbene dopo il film Mario acquistò una Mercedes bianca tale e a quale a quella di Leone, poco o nulla cambiò nelle sue abitudini. Tra queste i lunghi pranzi in provincia e le tombolate con i parenti. Le partite a poker e i giri per la città per riscuotere le sue vincite. L’attore si legò al regista del quale ne divenne presto il braccio destro e partecipò a tutta la trilogia del “dollaro“. Tuttavia il personaggio e la persona restavano una cosa sola, il confine tra la finzione e la realtà per Mario Brega era sempre stato sempre sottilissimo.

Con “Il buono, il brutto, il cattivo” del 1966 si chiude la trilogia del dollaro

Nel 1966 usciva “Il buono, il brutto, il cattivo” e ovviamente Mario Brega era in pole position per Leone che scelse di puntare ancora su di lui nei panni del temibile caporale Wallace. Tuttavia, per rendere il personaggio ancora più cattivo, il regista fece applicare una cicatrice sull’occhio dell’attore.

Tra le scene memorabili del film, che coinvolgono il nostro Marione nazionale, il pugno nello stomaco di Tuco Ramirez, interpretato da Eli Wallach che, rialzandosi, dice: “I tipi grossi come te mi piacciono, perché quando cascano fanno tanto rumore“. E poi la scena della “rivincita” di Wallach su Brega con la battuta: “Ne hai fatto di rumore!“. Anche in questo caso Brega è doppiato, come per tanti dei primi film. Nell’occasione è doppiato da Renato Turi.

Arzate, cornuto, arzate!“, frase tratta da una storia vera: la rissa con Gordon Scott che ispirò la scena in Borotalco

Già. Una storia vera. Non dovremmo neanche ricordarla la celeberrima scena ma val la pena farlo e rifarlo ancora. Il film è “Borotalco“, uscito nel 1982 e vincitore ai David di Donatello. Mario interpreta Augusto, padre dell’amata di Sergio, interpretato da Carlo Verdone. La scena si svolge nella salumeria di famiglia e Augusto, con il suo classico tono e modo di fare minaccioso, chiede: “Te la sposi o nun te la sposi?“, in riferimento a sua figlia. Così racconta a Sergio una “avventura” con “due de passaggio” dopo che questi avevano fatto una annotazione poco garbata nei confronti della figlia. Al ché “gli ho rotto il setto nasale, gli ho frantumato le mucose” dunque gli “ettolitri di sangue” e la famosa citazione “arzate, cornuto, arzate!“.

Dovete sapere, e probabilmente per molti appassionati non sarà una novità, che Marione disse davvero quelle parole e non in un contesto di recitazione. Seppur tutto nacque sul set. Bisogna fare un passo indietro al film con l’attore Gordon Scott in “Buffalo Bill – L’eroe del Far West“. Come per l’ultimo film della trilogia del dollaro, anche in questo caso Marione viene accreditato con lo pseudonimo di Richard Stuyvesant.

Torniamo in questa piccola parentesi del 1964, la pellicola per la regia di Mario Costa. Brega si ritrova dei lividi sul corpo a causa del combattimento da scena registrato il giorno precedente. E succedeva ogni sera, mentre faceva la doccia rilevava “tutti lividi” sul corpo. “Quello me menava pe’ davvero“. Il verace Marione decide così di irrompere nella roulotte del noto attore statunitense dicendo: “Ma che stai a fa sur serio?“, dunque la reazione di Scott che fa degenerare la situazione. Risultato? Atterramento e naso fratturato per il maciste statunitense con Brega che urla: “Arzate, a cornuto, arzate!“.

La vita privata di Mario Brega

Florestano, il nome di battesimo di Mario Brega, era figlio di Primo Brega, un falegname amante della maratona. La passione della corsa portò alla tripletta di titoli italiani sul mezzo fondo con riconoscimento del duce in persona. Mario Brega non ha ereditato dal padre solo il fisico ma anche gli ideali politici.

Mario Brega era comunista?

Dunque la domanda sorge spontanea con la famosa scena che tutti conoscerete: il verace attore era o no “communista così!“?. Ricorderete tutti la frase nel film “Un sacco bello” nei panni del padre del problematico Ruggero, l’hippie con crisi generazionale che ricalca l’epoca vissuta negli anni Settanta. Ebbene, dopo che Fiorenza, la fidanzata di Ruggero, definisce “fascio” il buon Marione, egli risponde: “A me fascio? Io fascio? A zoc**è io mica so’ communista così sa, so communista così!“, accentuando e allungando le vocali finali delle parole, accompagnate da un urlo notevole.

Nella realtà altro che no, Marione era decisamente “fascio“. Verdone qualche anno fa ha rivelato come fosse stato difficile fargli fare quella scena in cui, anche se per finzione, avrebbe dovuto cambiare fede politica. La scelta politica di Mario era dovuta “soprattutto per tradizione familiare“, dato che il padre come abbiamo visto ricevette la medaglia dal Duce. “Non fu semplice convincerlo” tuttavia Mario mise bocca lo stesso. “Avrebbe preferito il braccio teso ma alla fine si arrese“, ha raccontato Carlo. Tuttavia aggiunse pure: “Ma la giro a modo mio!“.

Altre curiosità: Mario Brega era laziale, non aveva figli né moglie. È stato sposato solo per un anno. Cardarelli ha detto “amava le donne, il gioco. È stato l’ultimo rappresentante della Dolce vita felliniana“.

Dopo l’incontro con Verdone a casa di Sergio Leone ne nacque una collaborazione che portò alla gloria il grande caratterista

Abbiamo visto come andò il casuale e fatale incontro con Carlo Verdone. Al tempo alla sua prima regia con “Un sacco bello” del 1980. Carlo era in cerca proprio della figura che gli piombò in quella stanza carico di frutta e verdura. Serviva un padre a Ruggero. Mario da quel momento ebbe una svolta nella sua carriera: in seguito la fama raggiunse i livelli che conosciamo. Brega cambiò genere passando da ruoli drammatici nei western con Leone alla commedia con Verdone.

Proprio su questo genere l’attore si affermò conquistando la simpatia di chiunque. La collaborazione con Verdone iniziò con “Un sacco bello” e proseguì negli anni successivi con “Bianco, rosso e Verdone“, “Borotalco” e con “Troppo forte“. Brega divenne la mascotte di Verdone il quale non ne poté più fare a meno.

Nonostante le inevitabili divergenze sul set, come quando diceva a Carlo “ma tu non sei nessuno“, era difficile interfacciarsi con lui. E non appena si sbagliava il modo di rapportarsi “ti veniva subito addosso“. Proseguendo così: “Sono io che reggo qua tutta la scena, aho!“. E poi: “Io sono l’attore protagonista” mentre “tu sei un esordiente“. Come lo stesso attore e regista ha ricordato in una intervista a Sky, parliamo di uno di “quei romani che non esistono più“.

Le frasi e le parti di Mario che hanno fatto la storia nei film con Verdone

Un sacco bello, le frasi storiche di Brega. Anno 1980

“E che me la chiami violenza questa?!”

Ma ‘n padre po’ avè un fijo così, senza ‘na casa, senza ‘na famijia, co ‘e pezze ar culo, ai semafori a chiede l’elemosina?!…E co ‘sta stronza che so du’ ore che sta a masticà! Ma che te ciancichi, aoh!?

Io mica so comunista così…so comunista così!

In ordine cronologico, si parte con “Un sacco bello“. Brega si immerge nel traffico di Roma per incontrare il figlio Ruggero che, durante l’attesa al semaforo, bussa di finestrino in finestrino per chiedere offerte in merito ad un’iniziativa contro l’inquinamento urbano, nel tentativo di dar vita ad una comunità agricola. Una volta incontrato “casualmente” il figlio, quest’ultimo non la prende bene. Ruggero accusa il padre di premeditazione, lì presente non per caso ma perché sapeva di trovarlo lì. “Dai ammettilo, stacce“, gli dice con quel suo timbro di voce caratteristico. Mario tuttavia smentisce con le sue maniere burbere, manesche, forti. Cerca di abbracciare, baciare, il figlio che sbotta: “E daje papà, sempre con sta mania della violenza“. E qui entriamo a piedi uniti nella prima storica frase di Marione. La risposta di Brega è diventata una citazione nota: “E che me la chiami violenza questa?!“. Mario lo riporta nella casa della sua infanzia.

Nello svolgimento del film si dà luogo a frasi che diventeranno citazioni per eccellenza. Dalla famosa “spada de foco” a “io so’ communista così!“. Nel mezzo i tanti personaggi interpretati da Verdone da Don Alfio passando per il professore, fino cugino di Ruggero, Anselmo. Tutti invitati da Mario Brega nel tentativo di redimere il figlio. Le citazioni sono infinite davvero ma tra le più note non possiamo dimenticare “manco le basi del mestiere te ricordi, ma che ca**o Alfiooo“, in riferimento al prete che in un lapsus aveva dimenticato il nome di “nostro Signore“, come gli suggerisce Brega a modo suo.

E ancora: “Ma ‘n padre po’ avè un fijo così, senza ‘na casa, senza ‘na famijia, co ‘e pezze ar culo, ai semafori a chiede l’elemosina?!…E co ‘sta stronza che so du’ ore che sta a masticà! Ma che te ciancichi, aoh!?“. Da lì la risposta di Fiorenza che chiama Brega “fascio” e la nota risposta del “communista così!” è storia.

Vedi anche: Le olive greche di Mario Brega in vendita nei supermercati di Roma

Bianco Rosso e Verdone, 1981

a signò, me chiameno Er principe

sta mano po esse ferro e po esse piuma: oggi è stata piuma

anfame! Anfamone! M’hai fatto carcerà

Bianco, rosso e Verdone vede Mario Brega nei panni di “Er principe“, camionista romano che in realtà non appare molte volte nella pellicola, né con parti lunghe. Tuttavia la personalità e le frasi storiche di “Er principe” sono rimaste nella storia. Nel film viene coinvolto nell’incidente che manda in ospedale Furio. Da fuggitivo trova riparo nell’auto di Mimmo e della Sora Lella, della quale ne ha già conquistato la simpatia grazie alla famosa iniezione che dà luogo alla prima frase storica. Già dalla presentazione, entriamo di diritto nella storia: “A signò, me chiameno Er principe“. E poi l’immortale frase dopo l’iniezione: “Sta mano po esse ferro e po esse piuma: oggi è stata piuma“. Quando i proprietari dell’auto si accorgono della presenza di Brega, questo riesce a farsi dare un passaggio. Tuttavia la macchina viene fermata dalle forze dell’ordine che riconoscono “Er principe“. Al ché l’altra frase storica “anfame! Anfamone! M’hai fatto carcerà“.

L’aneddoto su Bianco, rosso e Verdone con Brega coinvolto.

Borotalco, 1982

il prosciutto “è ‘n zucchero!

senti ste olive, queste so greghe…greche! Ennamo eddaje so greche. Come so dì la verità’“, risposta Verdone “so’ greche

“j’ho frantumato le mucose”

“arzate, cornuto, arzate!”

A Sé, ma come ca**o parli?

Il film segna la terza collaborazione tra Brega e Verdone. Mario è al top e ci sforna frasi storiche a ripetizione. Praticamente tutta la sua recitazione è storia, infatti evidenzieremo solo le parole e frasi più celebri. Brega è Augusto, prossimo suocero di Sergio, interpretato da Verdone. Il rapporto tra i due è subito chiaro alla presentazione del personaggio interpretato dal buon Marione. Prima c’è l’assaggio del prosciutto, “è ‘n zucchero!“, e poi le olive, “senti ste olive, queste so greghe…greche! Ennamo eddaje so greche. Come so dì la verità’“. Risposta Verdone: “So’ greche“. E poi come abbiamo visto l’aneddoto della rissa con Gordon Scott sul set di Buffalo Bill è stato riportato in vita in una versione rivisitata ma con un comun denominatore: la frase storica “arzate, cornuto, arzate!“. Quando Verdone è a casa della fidanzata, e quindi di Augusto, e al telefono intona la voce interpretando Manuel Fantoni, Brega gli fa notare a suo modo: “A Sé, ma come caaa**o parli?“.

Troppo forte, 1986

La parte di Mario Brega qui è breve e veste i panni dell’allibratore Sergio. Il ruolo fu ideato da Verdone appositamente per far partecipare Mario che insistette molto per far parte del progetto.

Brega ha lavorato anche con i Vanzina, storica la sua partecipazione al primo cinepanettone di sempre, “Vacanze di Natale ’83“. Nel 1984 ha collaborato all’ultimo film di Sergio Leone con una piccola parte, “C’era una volta in America“. Da qui l’aneddoto con De Niro che ha ispirato il titolo del libro biografico di Ezio Cardarelli.

L’attore romano continuò a recitare e a collaborare con diversi registi.

Mario Brega muore di infarto il 23 luglio del 1994 nel quartiere Marconi, la tomba è al Cimitero del Verano, a Roma.

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