Tzè, tzè“, e tanto basterebbe per capire di chi stiamo parlando: il mitico Franco Lechner, in arte Bombolo, che moriva 35 anni fa, il 21 agosto del 1987. A ricordarlo è Stefania Lechner, sua figlia. La secondogenita dei tre figli di Bombolo e Reggina Abbatiello, l’unico amore della vita dell’attore. I fratelli di Stefania sono Daniela e Alessandro. “Per papà la famiglia era sacra, più del lavoro“.

Personaggio comico tra i più popolari degli anni ’80, Bombolo fa parte di quel tipo di commedia piuttosto goliardica e ricca di doppi sensi. Un tipo di comicità piuttosto in voga all’epoca. Sulle tv locali il personaggio ha vissuto una sorta di seconda e terza vita. Il famoso Tzé tzé nasceva da un difetto di pronuncia: “Papà aveva la zeppola, e parlava naturalmente così“, ha continuato a spiegare Stefania.

L’attore crebbe in una Roma figlia della guerra, lavorando come ambulante nei vicoli del centro storico: “Mio nonno faceva il peracottaro e vendeva le pere cotte. Mio padre piatti, bicchieri e gli ombrelli d’inverno e le sdraio d’estate. Così ha mantenuto tutti noi“. Da Picchiottino c’è stata “la svolta“. Si tratta dell’osteria in cui si esibiva come se fosse “il suo palcoscenico“. Bombolo nacque proprio lì: “Non è un nome d’arte – il suo, Bombolo – Da ragazzino era cicciottello e tutti lo chiamavano così, mai Franco“.

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Franco Lechner, in arte Bombolo, ci lasciava 35 anni fa: “Non voleva fare l’attore”. “Fu mia madre a dirgli: ‘Mica lasci un lavoro fisso…”

Già, Franco. Franco Lechner, un cognome asburgico di cui ha sempre detto: “Sarà un residuato de’ guera del Cinquecento, roba così“. “Forse è un cognome nobile – ha spiegato Stefania – mio padre ogni tanto ci diceva di voler andare in Austria a vedere l’albero ‘ginecologico’. Noi lo correggevamo, poi ci ripensava e diceva: ‘Meglio di no, altrimenti mi trovo pieno di buffi‘”.

Persona umile e dal grande cuore, Stefania è cresciuta in un contesto di sani principi e di priorità ben definite: “Papà aveva 40 anni, non voleva fare l’attore. Fu mia madre a dirgli: ‘Mica lasci un lavoro fisso, se va male riprendi il carrettino‘”.

Il successo arrivò tardi, 40 anni, ma fu un crescendo immediato dopo la conoscenza di Castellacci e Pingitore negli anni Settanta. Iniziò a lavorare 9 mesi l’anno con ben tre spettacoli al giorno. “Lui non recitava, era così“. Con Tomas Miliannacque un’amicizia vera, stava sempre a casa nostra“. In comune non avevano “niente“, ma Tomas “adorava la famiglia e la naturalezza di mio padre“.

Quando Bombolo era degente in ospedale, Tomas gli disse che non avrebbe mai più interpretato “Er Monnezza“. “Infatti cambiò genere“. Sarebbe bello vedere a Roma “una via intestata a mio padre“. “Qualcosa che ricordi lui e la romanità di un tempo. Purtroppo la burocrazia ha fermato un progetto che era partito. Sia chiaro – ha concluso Stefania – andrebbe benissimo anche una via del quartiere Boccea, 00, dove abbiamo vissuto per tanto tempo. Penso che come romano se lo meriterebbe“.