Franco Lechner, in arte Bombolo, nato a Rione Ponte“. Lo raccontava nel meraviglioso cortometraggio dedicatogli da Pierfrancesco Pingitore. “Via Panico, Via Monte Giordano, c’era il pian terreno dove dormivamo in cinque dentro una stanza. Io facevo lo stracciarolo, il venditore ambulante. Qui ce passava il carrettino mio perché ce stava l’osteria ‘da Picchiottino‘, dove se conoscevamo tutti e ce passatti gli meglio anni della vita mia. Qui cominciatti a fa’ l’attore, e mo sai quando me vedono le feste che me fanno…”.

da Picchiottino

Vedi anche: I registi invitavano Bombolo a mangiare insieme ma lui rifiutava: “Io magno co’ quelli der popolo come me, voi nun sapete magna’”

da Picchiottino

L’osteria da Picchiottino si trovava in Via Monte Giordano nel 1984, quando Bombolo entrava nel locale per salutare tutti. “I vecchi bei tempi…ma quali erano sti bei tempi? Che c’avevamo tutti ‘na fame… Però erano bei tempi, ogni giorno venivo qua a fa’ er buffone con Picchiottino e co’ l’altri selvaggi. Facevamo le scenette nostre: il tranviere, il pittore francese…“.

Io abitavo qua…

Io abitavo a sto pian terreno qua. Adesso dice che vonno tre milioni a metro quadro. Quando ci abitavo io ce stavano certi topi così grossi che i gatti quando li vedevano si mettevano a piagne. Qui ce stavano a sede tutte quelle vecchiette carine a fa’ la lana. De originale c’è rimasta solo ‘sta finestrella. Che a me ‘na volta m’è venuto come n’atto de dolore che adesso dice che ce abita un miliardario americano“.

La finestra indicata da Bombolo dove abitava un tempo

Stracciarolo! 5 bottiglie e ve do ‘na scopa!“, urlava Bombolo mentre trasportava il suo carrettino. Franco ha svolto per tanti anni il lavoro di ambulante. Non solo, ha continuato a farlo mentre portava avanti la sua carriera di attore.

La scoperta di Bombolo

A scoprirlo davvero fu il produttore e autore Galliano Juso. Lui e Bombolo si incontravano spesso tra i vicoli del centro di Roma. Fu proprio il produttore a proporre l’attore a Bruno Corbucci. “Ah dotto’, famme fa’ ‘n filme!” diceva sempre a Juso quando lo incontrava mentre svolgeva l’attività di venditore ambulante. Attività che gli ha permesso di sfamare la famiglia e iscrivere i tre figli alle scuole private. Insisti oggi ed insisti domani, alla fine il produttore ne parlò davvero con il regista e da lì cominciò tutto. Anzi, da lì “cominciatti a fa’ l’attore…“.

Ma io ce so nato attore. Quando vendevo li piatti a Campo de’ Fiori ero abusivo. Non c’avevo la licenza, niente. Venivano le guardie e io mi trasformavo. Je mettevo la coppetta, le guardie se intenerivano e me cacciavano via”. E urlava: “Le guardie ce levano tutto e se morimo de fame, vedete se arrivano le guardie”. E promuoveva, ma con il vecchio metodo: “Sei piatti 1.000 lire! 2 padelle 1.000 lire! Le fanno a 3.500. Le pagate 3.500, io ve le do a 1.000 lire“.

Buongiorno Signor Bombolo…”

Palazzo Taverna

Signor Bombolo… Hai sentito come me chiamano adesso. Pensa che quando ero ragazzino qua nemmanco me facevano avvicina’. Palazzo Taverna. Ce stava la cavalleria, i carabinieri che ce montavano la guardia. Ogni tanto usciva un ragazzino vestito da marinaretto, tutto carino…C’aveva la cioccolata, i biscotti. E noi lo guardavamo co’ ‘na fame…“.

Casa di Bombolo da giovane

Io abitavo a ‘sto pian terreno qua. Non c’era acqua, non c’era luce, non c’era niente. Poi finitte la guerra, al ritorno de mi’ fratello dalla prigionia dice: ‘Fratelli, annate a casa che vo’ portato da magna”. C’avevamo na fame. Dentro ce trovamo subito un filone de pane così grosso. Poi c’erano tutte scatolette “Miller“, cioccolata, ma chi la conosceva quella roba. Vedemmo due tubetti de canadesi. Ce la spalmamo sopra er pane. Sapeva pure de menta… Ce vennero certi dolore de panza e ce portano all’ospedale. Ce fanno la lavanda gastrica. Dopo due giorni arriva er mi fratello a ritiracce e ce dà un sacco de botte. Dice: ‘Nemmanco gli indigeni se magnavano er dentifricio e lasciavano la cioccolata’. E chi la conosceva ‘a cioccolata. ‘E saponette? Noi se semo sempre lavati a quella fontanella là“.

La fontanella dove si lavava Bombolo

Ai tempi c’era la guerra. E la saponetta ce l’aveva solo uno, ‘Er Caciaro“. Se la passavano tutti a sua insaputa. “Erano tempi duri, poi la guerra finì. Io facevo le scenette e più ne facevo e più pijavo tovaglioli in faccia“.

Li vedete sti du’ bozzi che c’ho in fronte? Me li so’ fatti quando ero ragazzino. Io abitavo a Ponte, ce stava Piazza dell’Orologio. Ce stava la Madonna co’ ‘na pietra alta così. Noi regazzini ce se buttavamo tutti a piedi in giù. Io pe’ famme vede più eroe de loro me ce so buttato a capo sotto. Sotto c’erano i sanpietrini e finì due mesi all’ospedale al Bambin Gesù. Lì me venne il bernoccolo del teatro. Incontratti Castellacci e Pingitore, me portattero a teatro e dice: ‘Ti facciamo fare ‘na bella parte’“.

Il bagaglino, Teatro Margherita

A pensa’ ‘na volta manco me facevano entra’ qua dentro. Mo vonno addirittura l’autografo“. Nel documento Bombolo mostra “il teatro a ‘ndo lavoro io“. C’è “la lapide di Ettore Petrolini“, e come gesto di rispetto Bombolo si toglie la coppola. “Ci ha lavorato pure Aldo Fabrizi e altri attori che il nome non me ricordo“.

E questo è Bombolo, che dall’osteria e dal triciclo con i piatti è arrivato al palcoscenico. Ma è sempre pronto a riprende il triciclo con i piatti e a ritorna’ all’osteria. Ah ah, buona sera a tutti“.