Sessant’anni fa, la mattina del 5 agosto 1962 Eunice R. Murray, governante e amica di Marilyn Monroe, trovava il corpo dell’attrice senza vita. Quel corpo che il mondo intero amava, bramava, invidiava. Quel corpo di cui si nutriva nel rito cannibalico che è lo show business. Marilyn Monroe era morta, per un’intossicazione da barbiturici. Il caso fu archiviato molto in fretta come suicidio. Marilyn era depressa, sola, fragile. La sua relazione con Robert Kennedy era il segreto più noto degli Stati Uniti, e di segreti Marilyn ne custodiva tanti. Era in cura presso uno psichiatra, faceva uso di farmaci… che si fosse voluta togliere la vita o che avesse commesso un errore erano le soluzioni più logiche.

Poi arrivarono le altre teorie, moltissime teorie, la scoperta che anche la mafia aveva interessi a toglierla di mezzo, e ad oggi la morte di Marilyn Monroe, 60 anni dopo, resta uno dei misteri di Hollywood più noti e più irrisolti. Oggi non esiste podcaster che si occupi di crimini realmente accaduti che non stia parlando di Marilyn Monroe. Ma al di là delle ragioni di questa morte, come tutte le grandi dive, lei morendo entrò ancora più nel mito. Quel mito che si era costruita negli anni, dal niente, come in una favola. Una favola che l’aveva ingabbiata, una prigione dorata alla quale però non riusciva a rinunciare.

Marilyn Monroe: il mito indelebile

Insieme a Elvis, Marilyn Monroe è un simbolo: il mondo intero conosce la sua immagine. Il suo volto sorridente, i suoi morbidi ricci biondi, le sue curve sinuose sono simbolo di fama. Proprio come il ciuffo di Elvis e i suoi movimenti. Sono icone sacre, al pari di quelle religiose, riprodotte in ogni dove. E come per Elvis, ancora oggi ci si chiede cosa fu a rendere quella ragazza così speciale. Come se si potesse ridurre a una formula chimica, imbottigliarla e vendere la soluzione: come se esistesse davvero qualcosa di definibile e non fosse stato, semplicemente, uno straripante carisma legato al talento. E poi la dedizione, le idee chiare, il votare la propria vita al raggiungimento di un sogno che è lì e sai che è tuo. E allora, dal nulla, questa ragazzetta di provincia senza padre è andata a prenderselo, il suo sogno.

Ce la mise tutta e diventò l’attrice più famosa al mondo, spesso incastrata nei ruoli di bionda svampita, sempre alla ricerca di un amore o almeno di un uomo facoltoso che la mantenesse. Una material girl dal cuore tenero, che magari prima avrebbe pensato ai soldi e poi a conquistare il riccone ci avrebbe pensato dopo. Ed era così brava che il mondo ha pensato che quella lì fosse la vera Marilyn. Così sciocchina, superficiale e vacua, il ritratto dell’oca giuliva, senza particolare talento. Niente di più falso.

Marilyn era meticolosa, esigeva moltissimo da se stessa, curava il suo aspetto in modo maniacale, aveva un coach sempre presente sul set con lei, solo per nominare alcune sue manie. Quel ruolo se lo era cucito addosso perché le stava benissimo. Salvo poi soffrirne in privato. “A volte sento di essere una gigantesca bugia, dalla testa ai piedi”, è una delle sue frasi più celebri.

E ancora, in un’intervista rilasciata quando aveva superato i 30 anni: “Spesso ho una strana sensazione, come se stessi prendendo in giro qualcuno, ma non so chi. Forse me stessa, forse gli altri. Appartenevo al pubblico e al mondo, non per il talento o la bellezza, ma perché non ero mai appartenuta a nient’altro o a nessun altro”.

Diventata una diva non aveva più bisogno i nascondersi, poteva rivelare la sua solitudine. Quattro mariti e diversi amanti, amori sbagliati e tossici, impossibili – come quello disperato per il Presidente degli Stati Uniti JFK – alla ricerca di chi potesse andare oltre l’immagine pubblica che interpretava. Ma “vanno a letto con Marilyn, si svegliano con Norma Jean”, soleva dire al pari di Gilda, e quel risveglio non era facile. Perché Marilyn era tutto fuorché oca: era una donna complicata e desiderosa d’amore, aveva bisogno di un uomo forte, che la facesse sentire protetta, ma anche di qualcuno che la venerasse senza riserve, per mettere a tacere le sue insicurezze. Volendo anche ricco, ma soprattutto che la arricchisse come attrice, un uomo con cui confrontarsi. Questo alieno non si era mai presentato alla sua porta e lei, precedendo certo femminismo, soleva rivendicare un diritto: “Sono egoista, impaziente e un po’ insicura. Commetto degli errori, perdo il controllo e a volte sono difficile da gestire. Ma se non riesci ad avere a che fare con me nel mio momento peggiore, allora sicuro come l’inferno non mi meriti in quello migliore”.

Marilyn Monroe canta “Happy Birthday Mr. President” a John Kennedy per il suo compleanno

Lunga vita a Marilyn Monroe

Quando Marilyn morì, tutti i suoi averi furono inscatolati senza troppo riguardo come prove. Era piena di debiti e a quanto pare non avrebbe potuto permettersi nemmeno un funerale dignitoso. Circa 37 anni dopo le casse furono aperte. Fu allora che le case d’asta, come Christie, iniziarono a battere all’asta dei cimeli. Abiti con piccole macchie che aveva indossato a cene con le celebrities e con i quali era stata immortalata, vasetti di crema per il viso ormai secca in cui erano rimaste impresse le sue impronte digitali… Oggetti appartenuti alla Diva, venduti al pari di reliquie religiose. E quell’abito, quella cascata color oro chiaro, che indossò per cantare gli auguri a JFK. Quello che Kim Kardashian recentemente ha osato indossare tagliando un volgarissimo oblò per adattarlo al suo derrière. Come se non fosse un capolavoro di fashion design e un pezzo di storia. Un po’ come togliere un Pollock dalla cornice e usare la tela per farsi un vestito da cocktail.

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Ad ogni modo, tutti vorrebbero accaparrarsi un pezzo di lei, fissato in un eterno presente, come fossilizzato. Per capire il mistero Marilyn Monroe, per assorbirlo e farlo proprio. Un mistero che forse nessuno conoscerà mai davvero. E adesso che per celebrare il sessantesimo della morte attendiamo un nuovo film, ci chiediamo se svelerà qualcosa di più. Si tratta di quel Blonde che indica ancora una volta un elemento dell’icona, che verrà presentato in anteprima mondiale alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e poi trasmesso da Netflix, che il mondo intero attende. Basato sul romanzo di Joyce Carol Oates, con la cubana Ana De Armas nei panni di Marilyn e un cast stellare a corollario.

Ma forse, l’unico modo per capirla è ripercorrere il suo, di cinema. Quei titoli che l’hanno fatta entrare, di diritto e in modo indelebile, nel firmamento delle star più grandi. Sono tantissimi, ma ne abbiamo scelti solo 5, come indispensabili.

Marilyn Monroe e Tom Ewell nella celeberrima scena in “Quando la moglie è in vacanza” di Billy Wilder

Marilyn Monroe: 5 titoli indispensabili per (tentare di) capirne il mito

  1. Niagara – Marilyn aveva già interpretato diversi film e in ciascuno brillava. Basti pensare al piccolo ruolo in Eva contro Eva e a come lo schermo letteralmente la amasse in quella breve scena. Con Niagara fu definitivamente lanciata. Ruolo da protagonista, una inaspettata dark lady che complotta per uccidere il marito, Henry Hathaway la volle fortemente, cosciente che quella ragazza aveva molto da dare. Kiss, la canzone che canta all’interno della pellicola, è una scena infuocata di sensualità pura.
  2. Gli uomini preferiscono le bionde – Film musicale di Howard Hawks che ha fatto la storia del cinema, Marilyn era la bionda materialista e Jane Russell la bruna romantica. Due sex symbol dell’epoca a confronto. Cosa dobbiamo dire del numero musicale Diamonds are a girl’s best friend che non sia già stato detto? Anche Madonna tentò di riprodurla nel videoclip Material Girl, ma Marilyn è Marilyn: unica e inimitabile.
  3. Quando la moglie è in vacanza – Non c’è genio nella commedia sofisticata che possa eguagliare Billy Wilder. Il grande regista diresse Marilyn Monroe in diverse pellicole, divenne il suo mentore e lei la sua musa. Sembravano nati per lavorare insieme. In questa deliziosa commedia girata soprattutto in interni come La finestra sul cortile di Hitchcock, il mito di Marilyn viene sancito da una battuta del protagonista, il suo ruolo di bionda svampita entra nella leggenda e l’icona viene definitivamente fissata: è la scena in cui il celebre abito bianco si alza al passaggio della metropolitana, scoprendo un paio di gambe da urlo. Malizia e classe: la Donna.
  4. Il principe e la ballerina – Una favola moderna, al pari di Cenerentola, diretta e interpretata da Lawrence Olivier. Ovvero l’attore drammatico più famoso e stimato all’epoca. Marilyn era tesissima all’idea di lavorare con lui. Per superare il blocco, decise di produrre il film, mettendosi alla pari di Olivier. Fondò la Marilyn Monroe Production, con l’amico Milton H. Greene, celebre fotografo che la immortalò nelle immagini più famose. Fu l’unico film che produssero, una pellicola semplicemente deliziosa, in cui Marilyn si supera interpretato il suo “tipo” e facendo la sua dichiarazione d’amore all’America.
  5. A qualcuno piace caldo – Una pietra miliare della storia del cinema, forse il film con la battuta finale migliore di sempre: “Nessuno è perfetto”. Roba che le lotte gender di oggi sono inezie per pivelli. Diretta ancora da Billy Wilder, Marilyn è spumeggiante, gigante, ed eclissa persino i due protagonisti Tony Curtis e Jack Lemmon. Tutte le canzoni sono leggendarie, da Running Wild, sul treno con l’ukulele, a I wanna be loved by you, con indosso l’abito delle tentazioni. L’American Film Institute lo ha inserito nella lista dei migliori cento film di tutti i tempi.