Attore, regista, sceneggiatore, commediografo, conduttore radiofonico e televisivo, ma Luciano Salce è stato un artista eclettico. Soprattutto un attore versatile ed un regista forse un po’ troppo sottovalutato sebbene abbia contribuito a fare la storia del cinema senza snaturare sé stesso, restando un uomo libero quale si riteneva. Nessun legame, nessun compromesso: solo la verità. E lui era capace di raccontarla, facendo ridere con quel tratto di satira intelligente che non lo ha mai abbandonato. Tra le altre cose ha contribuito anche a fare la storia della commedia all’italiana (“La voglia matta“, “Fantozzi“), fu anche volto del sabato sera sul piccolo schermo, fortemente voluto da Antonello Falqui che ne intuiva il talento per “Studio Uno“.

I filoni non li abbiamo inventati noi – raccontava Luciano Salce – li abbiamo imparati da Hollywood, anche se prima o dopo l’America ce li copierà, come ha fatto coi western. Gli americani però ci andavano piano, a tempi lunghi. Un anno Tarzan, l’anno dopo Tarzan e la compagna. Noi invece siamo straordinari nello stringere i tempi, nello scapicollarci: Pasolini annuncia ‘I racconti di Canterbury‘? E noi facciamo gli ‘Altri racconti di Canterbury’, prima ancora che lui cominci. Ma quali altri? Non si sa, gli altri, quelli che non fa Pasolini, o forse gli stessi, non importa, l’importante è uscire prima, cogliere al volo la parola magica ‘Canterbury’“.

Vedi anche: Alberto Sordi, l’incarnazione dell’italiano medio di ogni epoca dal ‘900 ad oggi: sornione, furbo, seduttore, marchese, sceicco e cialtrone

Ne “Il federale”

Il 1922, la “classe di ferro“: Luciano Salce nato nello stesso anno di altri grandi come Sordi, Tognazzi, Gassman

E poi il mitico Luciano Salce era umile: “La celebrità è questo: dedicare un anno di vita a un film – per esempio il mio ultimo tratto da un libro di Moravia – e poi essere riconosciuto per strada dalla voce che ho prestato a un personaggio che diceva tre battute. Per gli altri registi, che non dicono neanche le tre battute, niente. Ma poi, perché dovrebbero riconoscerci, occuparsi di noi, con tutti i guai che hanno in casa?“.

Lo ricordiamo per aver raccontato gli anni più bui dello scorso secolo in film come “Il federale“, del 1961, e anche per essere, tra le altre cose, il regista apripista della saga “fantozziana” con i primi due film. Nato il 25 settembre del 1922, il noto regista non ha avuto una vita semplice. Lo ha ricordato suo figlio che nel 2019 aveva lavorato ad una mostra celebrativa con la Società Dante Alighieri per omaggiare il papà. Anche Luciano Salce faceva parte della “classe di ferro del ’22” insieme ad altri illustri personaggi del cinema come Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Adolfo Celi.

Luciano Salce: il ricordo del figlio Emanuele, vita privata, moglie e figli, Vittorio Gassman, malattia, causa della morte e tomba

Nato a Roma nella primavera di quella prestigiosissima annata, Salce perse immediatamente la madre che morì il giorno del parto e a sei anni finì in collegio per decisione del papà. Il 1943 fu l’anno in cui venne chiamato alla leva e fu deportato a Moosburg dai nazisti. Riuscì a fuggire ma fu tradito da collaborazionisti italiani e fu messo a Dachau per più di un mese. In quel tempo i nazisti gli strapparono via la protesi mandibolare d’oro che portava da quando aveva 13 anni. L’impianto dovette metterlo in seguito ad un disgraziato incidente mentre era a bordo dell’auto guidata dal papà. E da lì diventò “L’uomo dalla bocca storta“, come il nome del docufilm dedicatogli dal figlio.

Rifiutato dal papà

Mio nonno, un padre duro che lo aveva ‘rifiutato’ – ha raccontato Emanuele Salce, il figlio di Luciano – lo riteneva responsabile della morte della madre“. Diede quella “botta sul cruscotto di ferro che gli costò un’operazione delicata con l’innesto di una mandibola d’oro che poi perse in maniera violentissima… gliela scipparono i nazisti“. Al “dolore fisico” si aggiungeva il vero danno, quello “morale“: “Nel suo diario, ovunque fitto di appunti, alle pagine dedicate agli anni 1943-’45, papà annotava scarno: ‘Due anni difficili’. Stop“. Fu salvato da compagni di prigionia italiani dopo settimane di stenti. Nutrito con del burro, fu liberato il 30 aprile del 1945 e il 9 maggio rientrò a Roma, riacquistando la salute e il peso.

Dopo il film “Il federale“, in cui “si assegnò” il ruolo del gerarca nazista, fu definito “fascista“. Ma lui in realtà “esorcizzava“, ha spiegato il figlio Emanuele. Uomo libero e artista completo, sapeva dilettarsi in ogni trama. Capacità che gli ha permesso i riflettori della scena per ben 40 anni, davanti e dietro la cinepresa. Non temeva di esprimere sé stesso in tutte le sue idee, anche quando erano scomode. Alla lunghissima filmografia da attore si unisce quella da regista.

Vita privata

L’8 gennaio del 1955 sposò Jole Bertolazzi, a Venezia, ma entrarono in crisi per il continuo impegno sul set di Luciano Salce che ne “La voglia matta” si invaghì della prossima moglie, Diletta D’Andrea, dalla cui relazione nacque Emanuele, l’unico figlio del regista. Ma dopo pochi anni, quando Emanuele ne aveva solo 2, Diletta lasciò il regista per Vittorio Gassman. Il figlio di Salce ha spesso raccontato la sua vita divisa tra “due papà“, che vedeva di più nel privato che sullo schermo. Nel 1970 Luciano perse il padre e sebbene le tragedie familiari, non interruppe le sue apparizioni televisive che anzi andavano aumentando.

La malattia e la morte

Nell’agosto del 1983 fu colpito da ictus cerebrale mentre era a Salsomaggiore Terme a presiedere la giuria di “Miss Italia“. Ricoverato in coma e in prognosi riservata, la degenza ospedaliera lo costrinse ad abbandonare il progetto teatrale con il quale era impegnato. Tornò a lavorare ma nel 1986 avvertì le prime avvisaglie della malattia che gli costò la vita: un melanoma. L’anno dopo tornò per girare il film “Quelli del casco“, uscito nel 1988, l’ultimo lavoro sul grande schermo. Nel 1989 le sue aggravate condizioni di salute lo costrinsero ad operarsi, invano, al femore: morì il 17 dicembre a Roma in casa propria a causa di un attacco cardiaco. Luciano ci lasciava a soli 67 anni. I funerali furono celebrati nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo. La salma è stata tumulata nel cimitero comunale di Feltre, nella cappella di famiglia.

Continua a leggere su Chronist.it