Rocky ha segnato intere generazioni ed è una saga di quelle che hanno “superato la prova del tempo” come disse Lloyd Kaufman, che fu direttore di produzione del primo Rocky del 1976 dove recitò anche nel ruolo di un ubriaco. Rocky rappresenta tutti e chiunque può identificarsi nel personaggio. Molti pugili giurano di aver iniziato a combattere grazie a Rocky. Forse alcuni sono anche sin troppo presi dalla saga, visto che con Creed III sono sopraggiunti singolari episodi di violenza nelle sale dove veniva proiettato il film.

Rocky e Sylvester Stallone hanno una storia incredibile da raccontare ed è incredibilmente parallela. Sono due vite unite in un solo personaggio. La star e la sua creazione. Stallone, in un documentario sul film di Rocky di History Channel nel 2011, disse “per quanto mi piace dire che Rocky sia un personaggio” tuttavia “sono io” e “rappresenta me stesso perché non puoi fingere per così tanti anni“.

Il film, così come la storia parallela di Stallone, rappresentano un messaggio di resistenza e passione, fatica e amore, speranza e determinazione. Rocky è tutti noi e lo sarà sempre, in ogni contesto di vita e di società immaginabile: è l’uomo che dal niente arriva al successo. Sfidando l’impossibile. Successo che crebbe simultaneamente per entrambi: l’attore e il suo personaggio.

La pellicola non aveva pretese né aspettative: era un film a basso costo oltretutto con tutti attori sconosciuti (a parte Talia Shire che era apparsa ne “Il padrino“). E poi quella trama sul pugilato, idea che non piaceva a nessuno proprio: “un film sul pugilato non farà un soldo!” dicevano tutti. Rocky alla fine vinse tre premi Oscar e divenne una saga di sei film complessivi spalmati in ben 37 anni o anche più se consideriamo i film spinoff di “Creed“.

Un successo arrivato non senza difficoltà e non solo quelle iniziali: proprio come Rocky, Stallone cadde e si dovette rialzare strada facendo. Dalla fame dell’attore del primo arrangiato film, metaforicamente paragonabile agli “occhi della tigre” che aveva Rocky, citazione spesso usata nella saga, al successo del personaggio e di Stallone, passando dunque per quel momento inevitabile in cui, a pancia piena, la grinta diminuiva per entrambi.

Quindi le nuove sfide per rinnovarsi, sempre entrambi, sempre a passo, sempre parallelamente. Col tempo Rocky è stato un personaggio che ha rischiato di stancare, così come Stallone si stava stancando di Rocky. Ma andiamo per gradi e iniziamo questa fantastica serie su Rocky vivendola a tema doppio: Stallone e il suo personaggio, Rocky Balboa.

Gli inizi di Rocky e di Sylvester Stallone

Il primo film fu un miracolo cinematografico: tutto partì dal nulla più totale e fu una scommessa vera e propria che divenne un successo mondiale. “Fu una vittoria per tutti quei ragazzi che volevano farcela nella vita” disse Sylvester Stallone. Rocky ancora oggi viene riconosciuto come un simbolo d’amore e di speranza.

Un ragazzo come tutti che dal nulla è arrivato al successo. Un ragazzo sfortunato che ce l’ha fatta. “Quel film ti fa capire che non devi arrenderti mai e che i tuoi sogni possono realizzarsi“, parola di Sly.

Vedi anche: ROCKY II: QUELLA VOLTA CHE STALLONE E “APOLLO” SE LE DIEDERO SUL SERIO

Rocky, il film del 1976 con personaggi tutti sconosciuti compreso Sylvester Stallone

Le riprese di Rocky sono una saga nella saga. Un eroe e il suo creatore. Tutto in uno, e noi approfondiremo proprio entrambe le storie: attore, sceneggiatore e anche regista di Rocky e il suo alter ego cinematografico. Entrambi si trovarono ad affrontare molti ostacoli e difficoltà. Le prove sono state dure. Sembra quasi una saga autobiografica che non pone confini tra il racconto cinematografico e la persona di Stallone.

Andiamo indietro nel tempo e più precisamente ai tempi dell’infanzia di Stallone che dopo i primi problemi creati al liceo, come raccontava il New York Times, cambiò ben dodici scuole ancor prima di compiere 15 anni. Sylvester aveva un carattere burbero, un po’ come quello che mostra nelle prime immagini della pellicola.

A scuola non ero bravo e smisi di andarci“. Dunque “iniziai a lavorare al porto“. “Conoscevo la mentalità di un Rocky nella vita reale“. Lui era uno degli “esclusi“, uno come tanti. Dopo la separazione dei genitori e dopo essersi fatto cacciare dalla maggior parte delle scuole frequentate, passò del tempo in Svizzera poi studiò come attore alla University of Miami per trasferirsi come meta finale a New York, proprio dove nacque. L’obiettivo? Neanche a dirlo: lavorare nel cinema.

E ci riuscì pure perché nei primi anni Settanta ottenne qualche particina, ma niente di rilevante. Tra queste ricordiamo la piccola parte in “Il dittatore dello stato libero di Bananas” per la regia di Woody Allen e “Prigioniero della seconda strada” di Melvin Frank. Fu anche protagonista di “Happy Days – La banda dei fiori di pesco” conosciuto in Italia anche come “Brooklyn Graffiti“, film a basso costo. Interpretò una parte anche in “Anno 2000 – La corsa della morte” del 1975.

Sylvester Stallone era in crisi: si arrangiava con lavori di ogni tipo mentre a Hollywood non lo prendevano sul serio. Non aveva soldi per sopravvivere e il suo modo di fare e di essere non corrispondeva con le esigenze del cinema

Perché Sylvester Stallone ha il labbro storto

Contemporaneamente alle comparsate sul grande schermo era costretto a fare diversi lavori per sopravvivere. Come pulire le gabbie allo zoo di Central Park, fare la maschera a teatro e il parcheggiatore. La strada di Hollywood era insidiosa e al cinema non faceva impazzire nessuno come attore. Già alla nascita fu sfortunato durante il parto per una manovra errata con le pinze che gli lesionò un nervo facciale con conseguenze irreversibili.

L’incidente lo costrinse a una deformazione facciale che non gli permetteva di parlare in maniera fluida. Un incidente che prima del successo era visto come un handicap a Hollywood. In seguito proprio questa deformazione e il modo di parlare avrebbero caratterizzato Stallone e i suoi personaggi interpretati (non solo Rocky, ovviamente).

Non veniva preso sul serio. Come rivelò lo stesso fratello di Stallone, l’attore e cantautore Frank era muscoloso, si mangiava le parole e parlava male“. Il futuro però non era affatto roseo. Stallone non aveva niente, appena 106 dollari in banca. La moglie era incinta e la sua auto era rotta. “Dovetti vendere il mio cane, non avevo soldi da dargli da mangiare“.

Il produttore Robert Chartoff rivelò che al tempo Stallone “tinteggiò persino il suo appartamento di nero, era questo il suo stato mentale in quel periodo“.

Il cane di Sylvester Stallone: Butkus, Birillo nel film di Rocky

La foto postata su Instagram nel 2020 da Sylvester Stallone che lo ritrae con il suo cane, Butkus, mentre scrive la sceneggiatura di Rocky

Non un cane qualsiasi, ma il migliore amico di Sly come lo stesso attore ha ricordato un paio di anni fa postando su Instagram una foto che lo ritrae con Butkus. Il cane poi tornò con Sylvester in seguito e apparve anche nel film stesso. Morì prima delle riprese del terzo film della saga.

Era il 1971” disse Stallone parlandone in merito “eravamo entrambi magri e affamati“. I due vivevano “in un motel sopra una stazione della metropolitana“. Quando lo vendette lo fece per 40 dollari. Poi “miracolosamente, la storia di Rocky ebbe successo” e una volta ottenuta la stabilità economica lo ricomprò.

Tuttavia il nuovo proprietario “sapeva che ero disperato” e chiese la bellezza di 15 mila dollari per i quali Sly non si è mai pentito, anzi “è valso ogni singolo penny speso“. Nella foto era ancora cucciolo ed “era il mio migliore amico, il mio confidente” e poi “rideva sempre dei miei scherzi“. Butkus “mi tirava su il morale” era l’unico a volergli bene “per quello che realmente ero“.

Nella descrizione della foto Stallone ha presentato “il mio brillante co-sceneggiatore a quattro zampe“. Infatti l’immagine appartiene al momento in cui “ho scritto la sceneggiatura originale nel 1975“. Anche se “in realtà sapeva scrivere meglio di me“, aveva chiosato l’attore scherzandoci su.

La svolta per Sylvester Stallone

All’epoca tutti mi consideravano un tipo pericoloso, un rapinatore, un teppista e allora pensai ‘perché non prendo questa immagine di me e tento di scrivere qualcosa sull’anima di una persona che si nasconde sotto il suo aspetto rude’“. Poi arrivò quel giorno. Il vero giorno della svolta: il 24 marzo del 1975.

Stallone stava guadando il match di pugilato tra Muhammad Ali e Chuck Wepner. Se del primo non vi è bisogno di presentazioni, il secondo era un pugile sconosciuto proveniente dal New Jersey. “Quel pugile apparentemente incerto dimostrò una resistenza impressionante e mandò Ali al tappeto” contro ogni aspettativa.

L’incontro tra Muhammad Ali e Chuck Wepner che ispirò Sylvester Stallone in Rocky

Il pugile al quale si ispirò Sylvester Stallone, Chuck Wepner, fece causa all’attore per non aver riconosciuto che la sua storia fu fonte di ispirazione per la saga di “Rocky“. Stallone gli versò una cifra mai resa nota per il risarcimento

Quindi l’idea: “ero un grande fan di Rocky Marciano e vidi alcuni suoi incontri che mi fecero venire l’idea“. Ovvero “perché non interpreto un pugile depresso e povero in canna con un nome come Rocky e farlo diventare il portavoce di tutti coloro che non hanno mai avuto una possibilità nella vita?”.

L’incontro ispirò completamente Stallone perché quello che era previsto come un incontro più che abbordabile per il campione della gente, Ali, fu un’agonia per lo stesso. Si trovò dinanzi un toro che non mollava mai. Un pugile che resistette a 15 storici round contro Ali e che rischiò anche di vincere l’incontro sovvertendo ogni pronostico.

La sceneggiatura di Rocky scritta in tre giorni

Nel 1975 l’attore disoccupato decise di crearsi da solo un ruolo incredibile che diede vita all’eterna saga. Tutto iniziò quando incontrò i suoi produttori: Robert Chartoff e Irwin Winkler che lavoravano alla United Artists. Chartoff lo ricevette nel suo ufficio e Stallone si era subito mostrato brillante, interessante e divertente.

Prima di andar via dall’ufficio disse “lo sa? Io mi diverto pure a scrivere“. Risposta “ah sì? Se hai qualcosa, mostracelo“. I produttori non sapevano fosse anche uno sceneggiatore. Stallone aveva ben otto progetti in mente e spedì uno di questi ai due produttori “Taverna paradiso” (uscito poi nel 1978). Tuttavia sebbene il suo modo di scrivere piacesse, Winkler rispose per conto della United Artists dicendo di non essere interessati alla storia.

Così Stallone disse “ho un’altra storia, se la scrivo mi promettete che la leggerete?“. Passarono quattro giorni e Stallone riempì ben 80 pagine. La produzione restò folgorata, lo scritto fu fenomenale. Stallone scrisse in tre giorni e mezzo la sceneggiatura, tuttavia per portare l’idea sullo schermo scoprì che Hollywood non presentava garanzie.

Mi riempirono di clausole“. Quindi gli dissero: “d’accordo, ti daremo una possibilità. Ma se fai qualcosa di sbagliato…” come anche “…fumare con una mano piuttosto che con l’altra” o “se posi male la forchetta” allora “sei fuori“. Nacque solo un piccolo grande problema: il protagonista. La casa di produzione, come comprensibile, preferiva un attore conosciuto nei panni del pugile Rocky.

Mi dissero: grandioso, grazie mille. E io: no no, lo devo interpretare io“. Aggiunse “è come cucirsi da soli un vestito che ti sta a pennello, non ne troverai mai uno uguale“. Stallone insistette al punto che rifiutò di vendere il copione se non avesse avuto la parte dell’attore protagonista.

Dall’altro lato le paure erano chiare e concrete: come si poteva scommettere su un tipo che si chiamava Sylvester Stallone, mai visto e senza mai averne sentito parlare? Per la United Artists era un grosso rischio e Stallone al tempo era “inesperto” e “molto ingenuo” tanto da non rendersi conto “di quanto fosse difficile la vita in questo settore” come lui stesso rivelò.

Frank, il fratello di Sly, disse che non aveva affatto “l’aspetto del protagonista” dato il modo di essere, di parlare e la presenza molto…”muscolosa“. Sylvester rifiutò 300 mila dollari per la sceneggiatura sebbene avesse bisogno di soldi. Tanto era forte il desiderio di interpretare in prima persona il personaggio da lui creato.

I vertici della casa di produzione statunitense non volevano produrre un costoso film sul pugilato con un attore sconosciuto. Le loro preferenze erano dirette verso altri volti. Verso nomi di spicco. Del calibro di Burt Reynolds, Robert Redford, James Caan o Ryan O’Neal tutti affermati chi può

La cifra iniziale di spesa prevista per la realizzazione di Rocky era di circa 3 milioni di dollari. “Troppi“, dunque la stessa fu abbattuta a meno di 1 milione: esattamente a 950 mila dollari. Chartoff disse di voler seguire il suo istinto: quel tipo “era divertente e affascinante” e oltretutto aveva “storie da raccontare e scrivere degne di essere portate avanti“.

Con i costi abbattuti si poteva scritturare chiunque volessero i produttori. Stava iniziando il sogno americano per Stallone, sebbene la strada fosse ancora molto in salita, fu un primo raggio di luce. Talia Shire, la “Adriana” di Rocky, disse che ai tempi del primo Rocky si viveva il sogno americano puro.

Era il tempo in cui un coltivatore di arachidi di Atlanta stava per diventare il presidente degli Stati Uniti“. Si sentiva “la freschezza del futuro“. L’uomo “comune” aveva il diritto “di essere ascoltato“.

Happy Days – La banda dei fiori di pesco

I dirigenti della United Artists promossero Stallone ma solo perché lo scambiarono per Perry King in “Happy Days – La banda dei fiori di pesco

Tuttavia i dirigenti della casa di produzione preferirono studiare Stallone in “Happy Days – La banda dei fiori di pesco” prima di darne il via libera definitivo. Uno dei dirigenti esclamò: “strano. Quel ragazzo è biondo” pensando che Stallone fosse Perry King e questo equivoco andò avanti per tutta la visione del film. Avevano promosso Stallone giudicando l’ottima recitazione di Perry.

Un equivoco che fu fatale e si risolse nel modo più positivo possibile per tutti come sappiamo. Così, scritturato Sly che accettò un compenso di 350 dollari a settimana (il minimo sindacale per un attore), tutto ebbe davvero inizio. Serviva dunque un regista e John Avildsen, che poi diresse il primo Rocky, non fu esente dalla solita osservazione: “il pugilato? No, grazie“.

Proprio Avildsen che del pugilato non ne sapeva nulla. Pensate che prima di Rocky non si era mai imbattuto nella visione di un solo incontro di boxe. Era un mondo sconosciuto, era oltretutto risaputo che col cinema la materia si sposava malissimo. Tuttavia fu rapito dal dialogo tra Rocky e le sue tartarughe “era alla terza pagina” del copio, come disse lo stesso regista.

Ero incantato, era uno studio su un personaggio e una storia d’amore“. Dunque era come “Via col vento, che non parlava solo di guerra civile“, e comprese che “Rocky non parlava solo di pugilato“. John fu ritenuto perfetto alla regia: si concentrava sui personaggi e Rocky era il film adatto per lui e viceversa.

Rocky i personaggi

La vera sfida cominciò nel momento in cui si doveva comporre il cast. La fase più complicata: trovare la giusta connessione tra gli attori da scegliere e la storia dei personaggi del film.

Apollo Creed, il campione del mondo rivale di Rocky

Si cominciò dal ruolo di Apollo Creedio volevo Ken Norton, all’epoca era enorme” disse Stallone sul pugile professionista. Tuttavia la scelta ricadde su Joe Frazier, l’ex campione dei pesi massimi. Ma non andò bene. Sylvester raccontò: “salimmo sul ring e dopo 11 secondi dovettero mettermi 4 punti“. Allora “pensai: non può funzionare, serve qualcuno non così bravo a frantumare le teste“.

Proseguirono i numerosi provini e si presentò chiunque. Anche un ex giocatore di football. “Alla fine si presentò Carl Weathers alle 10 di sera“. Carl disse di ricordare che fosse “un venerdì sera” e si trattasse di uno “di quei provini Hollywoodiani pieni di persone“. Stallone lo ricordava “molto arrogante nel modo di parlare” imitandone la voce e scimmiottandone i movimenti: “dov’è che dovrei sedermi? Ah lì? Bene“.

Lo presentarono a Stallone e provarono insieme qualche battuta. Carl era in piedi e recitava con Stallone, seduto, del quale non sapeva sarebbe stato Rocky nel film, lo credeva “solo” un autore. Alla fine della recitazione Carl disse che sarebbe andata meglio se si fosse interfacciato con un vero attore. Tuttavia gli fecero notare che dinanzi aveva proprio il protagonista del film.

Stallone disse che era il candidato “più bello, pomposo, fisicamente dotato. Era perfetto“. “Il mio lavoro fu rendere il mio personaggio antagonista senza renderlo una canaglia” disse Carl. “Lui non ti piace per quello che dice ma ti piace perché è intelligente: sa il fatto suo e sa dove spingersi“. Era perfetto. Scritturato. Fu faticoso ma finì bene e visto come andò, possiamo dire ben oltre le aspettative. L’interpretazione di Weathers è fenomenale e caratterizza il personaggio esattamente come da lui descritto.

Mickey Goldmill, l’allenatore di Rocky

Scrissi il personaggio per Lee J. Cobb” disse Sly che lo apprezzò molto in “Fronte del porto“, film del 1954. Cobb sarebbe stato l’unico attore vero e riconosciuto, era già molto affermato. Tuttavia quando il regista gli disse “andiamo a pagina 16 e proviamo” rispose: “prego?“. Si indignò così tanto che non le lesse “ho fatto 60 film” disse.

Cobb, prima di liquidarsi, rivolgendosi a Stallone, disse “se io scrivessi come te non vorrei fare l’attore“. Non fu l’unico grande attore che non ebbe la parte pur andandoci vicino: c’era anche Lee Strasberg, Broderick Crawford e Lew Ayres. Ma poi arrivò Burgess Meredith e per Stallone fu “bingo“.

Il provino andò bene ma la vera scintilla per la produzione scattò quando terminò. Burgess, fuori dal copione, mentre Stallone era di spalle, lo chiamò dicendo “hey, Rocky“. Sly si voltò e Burgess chiese “hai mai pensato di ritirarti?” Stallone disse “no” dunque la risposta “pensaci allora“. Per Avildsen era fatta “grandioso! La parte è tua. Questo è proprio ciò che avrebbe detto Mickey“.

Nelle prime bozze della sceneggiatura Mickey era un razzista arrabbiato con la vita. La produzione aveva così poco budget che Burgess e Carl Weathers dovettero condividere un camerino minuscolo. Anche in questo caso, come in quello di Weathers, il risultato è andato ben oltre le aspettative. L’interpretazione di Mickey non sarebbe stata la stessa con un attore che non fosse stato il mitico Burgess Meredith.

Paulie Pennino, amico e cognato di Rocky

Il ruolo fu di Burt Young, caratterista che aveva già lavorato con Chartoff e Winkler, i produttori. Non fu complicato stavolta trovare la persona giusta per il profilo tracciato dalla sceneggiatura che fu rivisitata più volte dopo la prima scrittura di Stallone.

Infatti secondo Sly “Burt doveva essere una ragazza. E Adriana doveva avere una madre ebrea. Corressi il copione e sostituì la madre con un fratello italiano che lavorava in una macelleria“.

Per Chartoff era la persona giusta “faceva già parte della nostra scuderia” e per Burt “era un ruolo fantastico“. L’incontro con Stallone avvenne in un bar della MGM (Metro-Goldwin-Mayer). Young era seduto e Stallone lo affiancò accovacciandosi e presentandosi: “ho scritto Rocky“. Burt fu subito sorpreso, meravigliato ed entusiasta.

Ai produttori piacque subito così come a Stallone: aveva un modo di camminare unico ed “era un uomo infelice proprio come Paulie e rappresentava la tipica persona che è sempre stata lasciata indietro“. Young fu perfetto per la parte proprio per questa somiglianza con il personaggio. Era il miglior amico di Rocky oltre che cognato: a tratti ubriacone, a tratti burbero e invidioso del successo di Rocky ma anche fratello, spalla e confidente del protagonista.

Adriana, fidanzata e poi moglie di Rocky

La foto inedita della MGM con Rocky e Adriana

La “vera odissea” per Stallone e soci fu trovare il volto e la recitazione giusti per Adriana, una figura chiave per Rocky, come asseriva lo stesso Sly. Con il suo uomo nel film sono due reietti che traggono forza l’uno dall’altra e viceversa. La loro è ben oltre che una storia d’amore. “Un gioco di squadra” come la stessa Talia Shire disse nel documentario di History Channel.

All’inizio la prima opzione fu per “Susan Sarandon” ma Stallone rivelò che l’idea non li convinceva molto “era troppo sensuale” quindi pensarono a Sher, attrice e cantante. Poi a Bad Midler. Alla fine Carrie Snodgress incantò tutti. “Fece un ottimo provino” e Stallone la voleva “fortemente“. Tuttavia il suo agente chiese troppi soldi.

A pochi giorni dall’inizio delle riprese Adriana non aveva un volto ma improvvisamente “entrò Talia” ed “era fantastica“. La Shire disse di non essere brava a fare i provini ma per Stallone era fatta “lesse le battute ed era lei, non avemmo alcun dubbio“. La caratterizzazione del suo personaggio di Adriana è molto raffinato e rispecchia “l’umanità di Rocky“. Uno dei più riusciti della saga.

Le riprese di Rocky e le difficoltà con poco budget a disposizione

Le riprese iniziarono a novembre del 1975. Gli ostacoli non erano affatto terminati, anzi era solo l’inizio: come Rocky anche Stallone e tutta la produzione incontrarono problemi di ogni tipo. A cominciare dal basso budget. Sorsero problemi ignorati in precedenza tuttavia le riprese ebbero inizio. Ma il budget di 950 mila dollari non permetteva errori.

Talia Shire rivelò che fosse convinta che “il cibo che ci davano fosse quello avanzato da New York, New York” in riferimento al celebre musical di Martin Scorsese. Gli attori indossavano abiti personali “che custodisco ancora nel mio armadio” disse Sly. Era “un film fai da te“. Sembrava “una compagnia di vagabondi” secondo il produttore Winkler.

L’intero set utilizzava un solo camper nel quale: si mangiava, ci si cambiava e si utilizzava un solo bagno in comune per tutti. Il film venne girato in fretta e le riprese durarono un solo mese. 28 giorni per l’esattezza. Non c’era tempo da perdere con un basso budget. Un giorno “facemmo più di 60 inquadrature” una dopo l’altra e le scene “non venivano ripetute molte volte”. Tutt’altro: dalla fretta ci sono alcune scene del film girate una sola volta.

Il primo appuntamento di Rocky e Adriana sulla pista di ghiaccio

Sebbene il poco budget a disposizione imponesse dei vincoli e costringesse la produzione a influenzare il copione con determinate scelte forzate, questo disagio permise di esplorare nuove idee. E in alcuni casi le stesse si rivelarono anche migliori di come furono previste in origine.

Ad esempio in occasione del primo appuntamento di Rocky e Adriana. Un appuntamento che in origine era previsto in un bar con “sei o sette pagine di battute da scambiare“. Avildsen bocciò l’idea per scegliere la pista di ghiaccio ma “ci volevano molti soldi per riempire la pista di persone“.

Dunque l’idea: il regista adattò il budget del film alla situazione la quale inoltre si sposava con le condizioni di povertà e disagi sociali iniziali di Rocky e Adriana. Scelsero di farli pattinare da soli con Rocky che sarebbe riuscito a convincere il custode a farli entrare. Tutto si sposava alla perfezione.

Una situazione di limitazione e costrizione che si rivelò la chiave giusta per introdurre quello che metaforicamente si sarebbe visto in seguito nello sviluppo della storia del film, e della saga, in merito all’amore sbocciato tra i due. Rocky e Adriana: due persone sole che si aiutano a vicenda per non cadere visto il precario equilibrio e la scarsa praticità di pattinaggio.

La scelta della location: Philadelphia era la città perfetta per Rocky ma il film fu girato di nascosto perché non aveva i permessi

Philadelphia era vera, era una città di esclusi, era ancora inesplorata. Un Rocky ambientato in un’altra città sarebbe stato impossibile. La città era perfetta per la storia. Memorabili le immagini che immortalano le location degli allenamenti di Rocky o quando vaga per la città.

In particolar modo è celebre la scalinata del Philadelphia Museum, la quale nel film viene percorsa a distanza di tempo ma sul set la distanza temporale tra le due scene fu solo di un paio di ore. Tutto bello sì, tuttavia per tagliare i costi era importante tenersi fuori della giurisdizione di varie organizzazioni.

I produttori volevano e dovevano girare nella città di Philadelphia quanto più possibile, “almeno finché i sindacati non ci avessero scoperti“. La speranza della produzione era quella di riuscire a spuntarla di fortuna, magari grazie al fatto che era comunque “un piccolo gruppetto” che si aggirava per la città.

L’allenamento di Rocky e le riprese non autorizzate

Dunque ci sono scene nel film girate senza i permessi delle autorità locali e le comparse erano casuali. Come quando Rocky attraversa un mercato mentre corre durante il suo allenamento mattutino. Nella scena si può notare l’espressione incuriosita dei passanti e dei clienti del mercato.

Addirittura qualcuno lancia un’arancia verso l’attore, un episodio casuale e non preventivato dal copione. Tuttavia la scena sembra perfetta perché se nella realtà le comparse erano solo stupite e incuriosite, nel film appaiono come affascinate e ammirate nell’osservare il passaggio del campione locale di pugilato.

L’allenamento di Rocky

Come un po’ in tutte le dinamiche attorno al film, anche in questo caso le immagini che sono entrate nel cuore degli appassionati della saga durante gli allenamenti di Rocky, con la celebre musica ad accompagnare, furono frutto di un caso. Infatti Stallone una volta realizzato che “potevo solo tirare pugni, fare la corda e colpire al sacco” disse “tutto qui?“.

Quindi: “usiamo Philadelphia“. La città fa da sfondo durante gli allenamenti di Rocky e accompagna le scene cult meravigliosamente. L’operatore degli effetti speciali di ripresa, Garrett Brown disse “battemmo dei record, correvamo sempre e seguivamo Stallone“.

Si correva per chilometri e si sfruttavano tutti gli ambienti migliori e adatti alle corse di Rocky. Il tutto era sempre improvvisato. Come muoversi, dove correre, per quanto correre e dove aumentare il passo era solo frutto della fantasia spontanea di Stallone. L’improvvisazione fece la fortuna del film.

Tuttavia non era sempre ben accolta dal set. Tanto che Brown raccontò che l’autista del furgoncino che seguiva Stallone durante le corse imprecava data la velocità dell’attore. “Era molto in forma e atletico, riusciva a correre per molto tempo” come spiegò il regista Avildsen. Questo fu grazie alla preparazione di pugilato che Stallone e Weathers condivisero per cinque mesi.

Gonna Fly Now“, la nota musica durante l’allenamento di Rocky rischiava di non essere composta

Il risultato del film non sarebbe mai stato lo stesso senza la giusta musica d’accompagno a “colorare” le scene di allenamento di Rocky. Le location e le gesta di Sly sarebbero state inespresse, inutili e goffe senza la celebre canzone composta da Bill Conti, all’epoca 33enne. E oggi probabilmente non staremmo parlando dello stesso film né della stessa saga.

Come tutte le cose belle intorno alla pellicola, anche questa opera d’arte rischiava di non essere composta a causa del basso budget che per la musica era solo di 25 mila dollari. Il compositore Bill Conti tuttavia accettò fiutando l’occasione e oltretutto fu costretto a lavorare in fretta.

Molta fretta: bastarono solo tre ore per comporre tutte le musiche del film. Un tempo nel quale Bill non ebbe neanche la possibilità di riascoltare il lavoro fatto “ma no, va bene, andiamo avanti” gli diceva il regista. Nacque così, in fretta e furia, il tema musicale immortale di Rocky.

La canzone “Gonna Fly Now” vinse l’Oscar come miglior canzone e nel 1977 raggiunse la prima posizione nella classifica statunitense dei singoli più venduti.

La prima steadicam sul set, l’invenzione rivoluzionaria di Garrett Brown

Garret Brown, Sylvester Stallone e la steadicam

Garrett Brown sul set di Rocky introdusse un innovativo strumento tecnologico che a prima impressione gli attori e la produzione definivano un po’ “inquietante” date le sembianze quasi umane. “Era un aggeggio con un piccolo schermo verde ed era pieno di cavi e altre componenti” diceva Avildsen. Quel “mostro” come lo definì Stallone, non aveva ancora un nome.

Aveva un aspetto “pesante, forte ma mobile” ed era perfetto per le inquadrature in movimento. Rivoluzionò il modo in cui venivano effettuate determinate inquadrature. La steadicam era dinamica e permetteva alla produzione e a Rocky di muoversi più velocemente. Non presentava immagini mosse alla visione e ne veniva fuori “una sequenza eccezionale“.

Stallone disse “potevo fare qualsiasi cosa” perché Brown “era alto due metri ed era abile” quasi fosse un’estensione del suo corpo la steadicam. L’inventore dello strumento si disse convinto che Rocky avrebbe avuto comunque successo senza l’introduzione di questo fenomenale “aggeggio“, tuttavia “credo di aver dato un grande contributo“.

Stallone ne riconobbe l’ingegno ma anche l’autenticità di utilizzo che ne faceva Brown: “solo lui poteva starmi appresso e saltare i gradini alla mia stessa velocità. Correva accanto a me senza guardarsi i piedi“. Così ebbe luogo la famosa straordinaria ripresa non preventivata una volta giunti in cima alla scalinata del Philadelphia Museum. “Cominciava a girarmi intorno” e divenne “l’immagine del film” ma anche “della mia vita“.

La scena dell’allenamento nella cella frigorifera sarebbe stata impossibile da realizzare con i normali mezzi di ripresa che avrebbero avuto bisogno di un carrello con appositi binari posizionati a terra su cui muoversi. Il tutto mentre penzolavano “tutti quegli animali appesi e dondolanti“. Stallone ha rivelato di aver danneggiato in modo permanente le sue nocche dopo aver ripetutamente colpito le carcasse di animali nella scena.

La scena del dialogo tra Rocky e Adriana la notte prima dell’incontro con Apollo Creed rischiava di non essere girata ed ebbe un unico tentativo

La scena del dialogo tra Rocky e Adriana la notte prima dell’incontro rischiava di non apparire nel film. Pensate che fu girata una sola volta e solo dopo una certa insistenza di Stallone che ci teneva molto. Sebbene la produzione resistette molto all’idea perché presa dall’ansia dei ritardi sulla tabella di marcia, permise questo unico tentativo che ovviamente andò a segno perfettamente.

La scena dà quel giusto pizzico di umanità in più in Rocky. I pensieri della vigilia prima che si accendono i grandi riflettori. La vigilia di un momento incredibile ma che sulla carta si presenta come figuraccia annunciata, un’esibizione di festa, una manifestazione di scena. Null’altro avrebbe potuto rappresentare un incontro simile per lo sconosciuto e inesperto Rocky, sebbene in palio ci fosse il titolo dei pesi massimi.

Le scene di pugilato in Rocky

Il film prendeva forma, i segnali erano quelli giusti ed era tutto meraviglioso perché c’era armonia sul set e ognuno faceva il suo. Era una squadra. Tuttavia era chiaro per tutti che per rendere credibile il film, niente sarebbe stato più importante del combattimento di pugilato. Un tema difficile da affrontare sul set, motivo per il quale in molti bocciarono l’idea in principio.

La missione era ardua e non si poteva proprio arrangiare alcuna soluzione in merito. Stallone e Weathers, nei panni di Rocky e Apollo, non erano affatto dei pugili. Quando il consulente tecnico, Jimmy Gambina, chiese a Weathers “hai esperienza nel pugilato?“, e Carl rispose “certo“.

Tuttavia non era affatto così. Fece una prova di allenamento con uno dei “miei pugili“, disse Gambina, ma dopo circa un minuto era esausto. “Non sferrò neanche un pugno” disse Gambina ma nonostante tutto andò bene. “Io e Sylvester passavamo molte ore in palestra ad allenarci” ricordò Weathers nel documentario del 2011.

Divenne un duro e faticoso lavoro di fondamentali e acquisizione dei movimenti sfruttando la memoria muscolare. Andarono avanti con gli allenamenti per cinque mesi dedicando ben sei ore al giorno. Stallone ai tempi si alzava all’alba per tirare pugni all’aria in casa e per andare a fare jogging.

Ma il duro allenamento non bastava, per Avildsen serviva un’aggiunta. Quel qualcosa di fondamentale per rendere avvincente l’incontro. “Vidi moltissimi film sul pugilato e rimasi sorpreso di come fu scadente“. Il vero pugilato non bastava. Stallone propose di prendere spunto da match reali ma la sua idea fu bocciata. Serviva qualcosa di innovativo.

Le tensioni sul set di Rocky

Mentre si cercava la giusta direzione e la giusta tecnica d’esecuzione dei colpi per non snaturare lo sport e contemporaneamente rendere avvincente la sfida, il set conobbe altri ostacoli. Ma stavolta i problemi erano interni: le tensioni sul set. “Vorrei che Carl Weathers scagli quattro destri di seguito“, la richiesta di Stallone allo stunt coordinatore.

Fu questa la frase che fece scattare l’ira dello stunt coordinatore. “Non accadrà” rispose a Stallone che più provava a convincerlo “lui può farlo è Apollo Creed” e più dall’altra parte trovava un muro. “I pugili non danno quattro destri” e se ne andò. Tutti rimasero perplessi e Stallone si attirò occhiatacce da tutti “come per dirmi ma tu che ne sai, avevi un vero esperto…”.

Il momento era disperato perché persero l’unico vero “occhio” tecnico della materia “aveva fatto tutti i più grandi film sul pugilato” disse Stallone “e pensai che non ce l’avremmo mai fatta”. Così nacque l’idea di scriverne i movimenti, proprio “come si impara un dialogo” impararono la scena del combattimento “come fosse un balletto“.

Dovevamo anche pensare alla macchina da presa” disse Weathers, non era solo questione di pugilato. “La gente non ama vedere due pugili che si girano attorno, vogliono vedere i pugni“. Garrett Brown rivelò quanto fu complicato tenersi in equilibrio per seguire la scena con la steadicam.

Le riprese del combattimento andarono avanti per 14 ore e dovevano essere impeccabili dalla prima all’ultima perché coprivano l’intero match: dal primo al quindicesimo round dell’incontro. Il povero Brown dopo 14 ore era esausto, tuttavia doveva garantire lo stesso impegno per tutte le riprese, a maggior ragione le ultime, faticosissime, ma risolutive dell’incontro.

La distribuzione, la recensione negativa del New York Times e il grande successo di Rocky

Sebbene la United Artists desse priorità ad altre distribuzioni prima di Rocky e minacciasse di vendere i diritti del film alla televisione, alla fine a novembre del 1976 Rocky finalmente uscì nelle sale. Tutto era ancora incerto. Il film doveva attirare il pubblico su un pugile. La scommessa era ancora aperta.

La prima recensione uscì sul New York Times e fu “devastante“: il film fu bocciato immediatamente. Il produttore Winkler raccontò un aneddoto in merito. Si trovava fuori dal cinema mentre leggeva la recensione negativa e vide uscire dalla sala Peter Falk che si congratulò.

Winkler gli fece notare la recensione sul film ma Falk lo convinse a non farci caso e a vedere con i propri occhi cosa stesse accadendo in sala. “La gente applaudiva e saltava da una parte all’altra dicendo: non ho mai…non ho mai…” disse Avildsen, il regista. Fu una “cosa più grande di noi“. Iniziarono la distribuzione da sole “tre sale” per poi arrivare a “tutto il mondo“.

Le premiazioni

La critica promosse il film che vinse il Golden Globe. La pellicola ottenne dieci candidature agli Oscar. I pronostici erano diretti verso “Quinto potere” e “Questa terra è la mia terra” e pochi credevano che Rocky avesse delle possibilità di trionfo. La notte degli Oscar Rocky portò a casa tre premi Oscar.

Rocky vinse il premio come miglior film, miglior regia e miglior montaggio. Fu inoltre la prima pellicola sullo sport a ricevere il premio come miglior film. Nonché divenne la prima pellicola a vincere un Academy Award per la migliore fotografia. Stallone ottenne la nomination sia per la sceneggiatura che per la recitazione, ci erano riusciti sino ad allora solo Charlie Chaplin e Orson Welles. La canzone “Gonna Fly Now” vinse l’Oscar come miglior canzone.

Gli incassi

Gli incassi negli Stati Uniti furono di ben 117 milioni di dollari dopo una spesa a budget ridotto di 950 mila dollari. Era il film con il budget più basso tra i candidati e riuscì comunque a trionfare. In totale la pellicola portò a casa 225 milioni di dollari attestandosi al terzo film della saga con maggiore incasso.

Tuttavia è bene ricordare che questo è stato anche il film dell’intera saga con il budget più basso. Dopo tutta la saga l’incasso totale è stato di un miliardo di dollari, partendo da 106 dollari Stallone è arrivato al sogno americano.

Il quaderno della sceneggiatura di Rocky scritta da Sylvester Stallone è stato venduto per 437.500 dollari

Il quaderno della sceneggiatura di Rocky di Sylvester Stallone venduto per 437.500 dollari

Avete letto bene: quel quadernino sul quale Stallone scrisse tutta la sceneggiatura in tre giorni e mezzo è stato battuto all’asta da Julien’s Auctions di Los Angeles per quasi mezzo milione di dollari. Siamo ben oltre rispetto alla sua stima di partenza di 50 mila dollari. Sul quaderno ci sono dettagli originali della trama dopo la prima scrittura di Stallone con inediti non di poco conto.

Ad esempio personaggi che poi non appaiono nel film o dialoghi mai realizzati o realizzati ma con le modifiche che conosciamo nell’esposizione cinematografica. Addirittura sembrerebbe che Rocky dovesse mollare il combattimento finale abbandonando in via definitiva il mondo della boxe, probabilmente considerando il film come storia unica senza un sequel.

Altre curiosità

  • Per riempire l’arena di pubblico in occasione dell’incontro di pugilato tra Rocky Balboa e Apollo Creed, furono utilizzati fotogrammi estrapolati da altri eventi sportivi. Con uno sguardo attento è possibile rilevare diversi posti vuoti tra la folla.
  • Il film ha coinvolto non solo Sylvester nella famiglia Stallone. Infatti suo padre, Frank Sr., è il cronometrista; il fratello Frank è il cantante di strada che Rocky saluta; Sasha, la moglie di Sylvester al tempo, era la fotografa delle produzioni di scena.
  • Come è noto, Stallone apparve in un film porno del genere “soft“. Prima della fama era solo una comparsa in quel film dal titolo “The Party at Kitty and Stud’s“. Tuttavia dal 1976, dopo il successo del film Rocky, il titolo divenne “Italian Stallion“, citando il soprannome di Rocky Balboa. In Germania venne addirittura distribuito con il titolo “Bocky“, dal tedesco “bock” significa “montone“. Oltretutto l’immagine promozionale del film ritraeva Sylvester nei panni di Rambo in “Rambo 2 – La vendetta“.
  • Nella scena del bacio in cucina tra Rocky e Adriana, l’attrice Talia Shire fece “sudare” letteralmente Stallone prima di cedere. Era davvero timida anche sul set? No, in realtà la povera Talia era solo premurosa in quanto era influenzata e temeva di contagiare l’intero set.
  • Nel primo film della saga Stallone è doppiato da Gigi Proietti nella versione italiana