In una lunga intervista rilasciata a Sette, Ambra Angiolini ha ricordato la carriera, entrando nei dettagli più intimi, compreso il periodo in cui, per lavoro, le veniva richiesto di mantenere il peso forma costringendola a restare perennemente “magra” al punto da arrivare a soffrire di bulimia. “È come avere un tumore all’anima”.
Come spiegato nel suo libro “InFame”, il disturbo di cui soffriva ha reso il suo corpo “colpevole di essere diventato diverso” in confronto a quello con il quale era “diventata famosa”. Così “un giorno, in aeroporto, vedo una rivista con la mia faccia. Titolo: ‘Ambra “scoppia” di successo'”. Quel “scoppia, era tra virgolette”.
“Poi – prosegue – vado in autogrill e la signora delle pulizie mi dice: ‘Ma va, mica sei grassa’. Ho capito che gli effetti di questa situazione erano sotto gli occhi di tutti”.
“Alla gente interessava solo che tornassi magra, mentre io stavo facendo i conti con la voragine che avevo dentro”. Come racconta l’attrice e cantante, qualcosa scattò in lei da quando era piccola. “Vidi un film in cui c’era una ragazza ad una festa in ciò tutti erano benvestiti e si divertivano. Le veniva una crisi di panico: prendeva a mangiare qualsiasi cosa dal buffet, poi correva in bagno a vomitare tutto. Quella scena mi è entrata in testa e, quando ho cominciato a non stare bene l’ho copiata”.
Ma la sua famiglia le è sempre stata accanto. “Mia madre mi lasciava bigliettini ad altezza vomito. O delle canzoni. Lì per lì mi facevano sentire in colpa poi è stato importante sentire che non c’era giudizio, che per lei io non ero la mia malattia. Ho cominciato a pensare che la bulimia fosse qualcosa da cui potevo allontanarmi”.
Ambra Angiolini e la bulimia: “Jolanda, mia figlia, ha riempito un vuoto”
Nel suo caso, la guarigione ha un nome: la figlia, Jolanda. “Ha riempito un vuoto. Quando me la sono trovata dentro la pancia, ho sentito che quel pezzo d’amore che cercavo ovunque in realtà era dentro di me”.
Ma ci tiene a specificare che “cure immediate” non sono “uguali per tutti”. Anzi, si tratta “di un processo personale che va attraversato fino in fondo. Se ti anestetizzi, la malattia diventa te e non te la levi più di dosso”. Questa, in fondo, “è solo la mia storia”. E dunque, precisa: “Non è che fare figli salvi dai disturbi alimentari”.