La storia di Emma ha inizio nel 2013: la donna che in quel momento aveva appena 30 anni iniziò ad avvertire delle difficoltà a muovere il mouse. Inizialmente l’allora 30enne pensava di aver contratto la sindrome del tunnel carpale e prenotò una visita dal dottore. Da lì iniziò il calvario di Emma che in seguito ad esami specialistici scoprì di avere il Parkinson a 30 anni.

Una visita neurologica non ha lasciato dubbi, la donna aveva il Parkinson a 30 anni

La donna dopo alcune visite chiese il parere di un neurologo. La scansione del cervello non lasciò alcun dubbio: aveva il Parkinson.

“La mia vita – racconta Emma – non sarebbe più stata come avevo sempre pensato che sarebbe stata. Sposarsi, avere figli, avere una carriera di successo. Era qualcosa che pensavo avessero i nonni delle persone. Ma in realtà ci sono più di 40 possibili sintomi del morbo di Parkinson e chiunque può contrarlo, giovane o vecchio”.

Ha 30 viti in titanio nella colonna vertebrale

Dalla diagnosi di Parkinson a 30 anni, sono passati 10 anni ed Emma ha visto la malattia progredire fino a rendere sempre più difficile la vita della ragazza. Nel corso del tempo, per esempio, i muscoli della testa hanno iniziato a non rispondere più e per molto tempo le è stato impedito di sollevare in autonomia la testa. Solo recentemente Emma, grazie a un intervento chirurgico è riuscita a rafforzare la colonna vertebrale e la testa, grazie all’applicazione di 30 viti in titanio che le hanno permesso di tornare a padroneggiare la sua testa.

Le parole del Professor Calabresi:

Il caso del Parkinson a 30 anni di Emma ha, naturalmente destato interesse in ambito scientifico. Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica di Roma ha spiegato che per Parkinson giovanile si intende l’insorgere della malattia prima di compiere 30 anni.

“Fortunatamente è una malattia piuttosto rara. Le forme giovanili della malattia di Parkinson hanno una base genetica per cui è fondamentale svolgere un’indagine precisa per scoprire quale tipo di mutazione genetica si è verificata e per valutare anche una maggiore o minore vulnerabilità ai problemi motori e cognitivi della persona”.

I sintomi del Parkinson:

“Quelli motori sono tre: la rigidità muscolare, la riduzione della velocità nei movimenti e il tremore a riposo; tanto è vero che molto spesso i pazienti affetti da Parkinson si rivolgono prima all’ortopedico perché pensano di avere problemi articolari. Successivamente vengono orientati alla visita dal neurologo”.

Oltre ai farmaci, l’attività fisica può migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da Parkinson

Secondo Calabresi, oltre ai farmaci sintomatici, un elemento fondamentale per migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da Parkinson giovanile, come nel caso di Emma, la ragazza affetta da Parkinson dall’età di 30 anni, è l’attività fisica. Praticare sport come il Tai-Chi, ma anche semplicemente camminare in modo aerobico per 5 o 6 chilometri al giorno può aiutare.

Continua a leggere su Chronist.it