Sordi e Verdone si incontrarono per la prima volta nel 1957. “Ogni estate ci trasferivamo nella solita casa” dice Carlo Verdone, quella “presa in affitto dai Signori Venturi in via Emo”. L’attore e regista romano è un contenitore vivente di aneddoti. Il papà di Carlo, Mario Oreste Verdone, nel 1957 portò con sé la famiglia mentre lavorava per la Mostra di Venezia, come di consueto.

L’attore ricorda il posto con grande passione ed “era bellissimo tutto”. È forte la memoria di Carlo: dai “canali” ai “vaporetti” e “motonavi” dei quali “conoscevo tutti i nomi: Concordia, Altino, Murano”. Con “la spiaggia dell’Hotel Excelsior” e poi “i motoscafi Riva che portavano gli attori importanti al Lido”.

Già, gli attori. Una professione che più lontano avrebbe visto Verdone tra i protagonisti di spicco nel genere commedia. Un passato che si affaccia per Carlo quasi a preannunciargli un ottimo futuro. Non la prima volta per lui che già fu compagno di classe di Christian De Sica, altro mattatore della commedia, nonché cognato di Verdone. Tuttavia in questo aneddoto l’approccio col cinema non fu felice per Carletto.

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Il primo incontro tra Verdone e Sordi

Quel giorno, al Lido di Venezia, c’era Alberto Sordi e la mamma di Carlo non esitò a dire al figlio “prendi questa penna e fatti fare un autografo su un foglio”. Carlo venne esortato dalla madre a mettersi in fila, “c’è un grande attore, si chiama Alberto Sordi”. E Carletto eseguì “educatamente”, come ricorda l’attore.

Quando “finalmente mi trovai Sordi davanti”, Verdone dice di aver chiesto “mi scusi signor Sordi, mi farebbe un autografo?”. L’Albertone nazionale lo guardò immobile per qualche secondo fin quando “con cattiveria” disse: “a te non lo faccio”. La motivazione? “Perché sei russo”.

Io paonazzo”, dice Carlo, noto per essere una persona molto sensibile, buona. Figuriamoci in età adolescenziale dopo che un attore del calibro di Sordi gli parlò in questo modo. Dunque rispose: “Veramente sono di Roma”. Sordi? Niente da fare, contro replica: “Non ce credo. Ci hai la faccia da russo”.

A quel punto il piccolo Carlo scappò via “per il disagio”. Mentre si allontanava, Sordi urlò: “N’do vai? Vie’ qui. Scherzavo!”. Tuttavia “ero ormai tornato sotto l’ombrellone”. Finì così il suo approccio con Sordi, il primo della sua vita. Conclusione? “Di quel Sordi e del cinema avevo deciso che non me ne poteva importare un fico secco”.

Dunque “mi feci l’idea che gli attori erano una categoria di gente cretina e antipatica con i bambini”. “Anzi, mi facevano pure paura”. Incredibile quasi immaginare quello che poi è stato il futuro per Carlo, in particolar modo il legame con Sordi, con il quale avrebbe collaborato in più occasioni. Tuttavia voci dicono che i rapporti tra i due non fossero così brillanti.

Secondo le stesse, sembrerebbe che dopo il film “Troppo forte” il rapporto lavorativo si fosse incrinato. Infatti dopo il film i due non collaborarono più sul set. Il motivo della discordia, se così si può definire, fu data dal fatto che in quella pellicola Verdone temesse di essere oscurato da Sordi nonostante ne fosse il regista.

Tuttavia è possibile che si tratti di una malignità senza fondamento da parte di malelingue sebbene fosse stata l’ultima collaborazione quella sul set di “Troppo forte“. Verdone ha sempre parlato bene di Sordi difendendolo dal “chiacchiericcio del popolo” che per Carlo non rispecchiava affatto la voce della verità.

Ad esempio quando Sordi veniva etichettato come “tirchio“. Al contrario “Alberto faceva tanta beneficienza senza dirlo a nessuno” disse raccontandolo in una intervista Carlo Verdone. In un’altra intervista tornò anche sull’aneddoto di Troppo forte ed effettivamente Verdone ne raccontò l’inserimento di Sordi quasi come una “intrusione” visto che la parte era “scritta per Leopoldo Trieste” ma a “15 giorni dalle riprese mi viene detto: questo ruolo lo deve fare Sordi“.

“Mi piace vedere che mio padre mi abbraccia protettivo”

Mario Oreste e Carlo Verdone

Al di là dell’aneddoto, Carlo ci ha tenuto a ricordare come “questa foto logorata dal tempo” lo emozioni. “Mi piace vedere che mio padre mi abbraccia protettivo”. Proprio lui che “il padre, morto in trincea sul San Gabriele, non lo conobbe mai”.

Quindi la chiosa, ancora con il signor Mario Oreste: “mio papà, nato nelle più atroci difficoltà economiche è stato il più grande esempio nella mia vita”. Un “grande uomo” e un “gran signore”.