“Costretta a sentire il battito del feto”. Nel 2020 ha avuto un aborto terapeutico alla 22esima settimana perché ha scoperto che il feto era affetto da sindrome di Down, Trisomia 21. Nessuno del personale sanitario l’ha accompagnata durante il percorso. “Non ho trovato empatia, né appoggio”, ha raccontato a Fanpage la ragazza, riconosciuta dal quotidiano con il nome di fantasia “Laura”. Insieme al compagno volevano interrompere la gravidanza ma non hanno trovato il supporto “di nessuno”. A cominciare dal “ginecologo: dopo avermi comunicato l’esito del Dna fetale è sparito”. “Vuoi interrompere la gravidanza? Chiedi ad altri”, si sarebbe sentita dire. Laura, nome di fantasia utilizzato da Fanpage, è stata abbandonata a sé stessa senza alcuna indicazione su cosa fare e come muoversi.

La psicologa le aveva fatto notare che con un caso di sindrome di Down in famiglia, avrebbe dovuto aspettarselo. “In realtà con la cordocentesi ho scoperto che era stata una casualità, non c’era nessun fattore ereditario”, ha chiarito la ragazza. Laura si sentiva “immersa in un limbo protettivo” e non riusciva a rendersi conto di vivere “delle violenze”. Ci è voluto “del tempo” per capire che “non era normale” quello che le stava accadendo.

Le fanno ascoltare il battito del feto. Il giorno del ricovero stava male, un infermiere disse: “Lasciala stare, fanno tutte così”

Il momento in cui è stata “costretta a sentire il battito del feto”. “Senza dirmi nulla mi hanno portata in una stanza a fare un’ecografia. Ho chiesto alla dottoressa quale fosse il senso dato che l’amniocentesi e tutti gli esami avevano accertato la Trisomia 21, mi ha risposto che era prassi e voleva controllare anche lei. A un certo punto ha messo il battito. Le ho chiesto perché stesse facendo questa cosa, l’ecografia con lo specialista l’avevo già fatta. Mi ha detto che secondo lei la bambina stava bene e che abortivo ‘a discrezione mia’. Tornata in reparto hanno aggiunto l’ecografia nella cartella clinica davanti a me, ma quando me l’hanno consegnata non ce ne era più traccia”.

Il giorno del ricovero “erano solo in quattro del personale medico su quel piano”. Prese la pillola e cominciarono “dolori atroci”. Nessuno però se ne curava sebbene i lamenti anche di “una ragazza che si trovava in stanza con me”. Un infermiere le avrebbe detto: “Lasciala stare, fanno tutte così”. L’ostetrica è tornata “dopo otto ore” poi è avvenuta “l’espulsione del feto: non mi hanno fatto espellere la placenta”. “Sono stata male altre ore senza che nessuno mi dicesse perché, fino a che mi hanno fatto il raschiamento. La ginecologa mi ha chiesto se volevo essere ricoverata, le ho risposto che volevo tornare immediatamente a casa mia. La bambina? Non mi hanno chiesto se volevo vederla, l’hanno messa in un contenitore di plastica e l’hanno portata via”.

“Nessuno mi diceva cosa potevo fare per alleviare il dolore, per provare a stare meglio. Non ho avuto mezza parola di conforto. Mi chiedo perché quando una donna partorisce le viene consentito di avere qualcuno accanto, come una mamma, mentre chi abortisce viene lasciata sola. Avevo bisogno di appoggio umano, di una persona vicina che potesse supportarmi nell’affrontare le contrazioni. E ho dovuto subire anche il trattamento inumano di chi in quel momento avrebbe dovuto aiutarmi”.

Battito fetale: quando si sete, come sentire il battito a casa, l’app, tabella del battito cardiaco fetale maschio o femmina, con sindrome di Down, valori normali, 180

Le attivista di “Non una di meno” alla manifestazione del 28 settembre scorso

Il battito cardiaco fetale si può rilevare già a 34 giorni di gestazione attraverso un’ecografica transvaginale ad alta frequenza di buona qualità. Passate altre due settimane il numero dei battiti salirà da 110 a 150-170 al minuto. Dopo 9-10 settimane di gravidanza si può sentire il battito cardiaco fetale per la prima volta. Esiste l’app “Baby voice” per ascoltare il battito del feto, collegando le cuffie senza microfono e impostando la modalità aereo sul proprio smartphone che, posizionato sulla pancia nuda, rileva il battito isolandolo da tutte le altre interferenze audio.

Molti prossimi genitori credono che attraverso il battito del feto si possa risalire al sesso del futuro nascituro. Secondo la teoria, se la frequenza cardiaca supera i 140 battiti al minuto ci sarebbe maggiore probabilità che si tratti di una femminuccia; al contrario sarebbe un maschietto. Il battito cardiaco fetale oscilla normalmente tra 120 e 160 battiti al minuto. Fuori da questi limiti si parla di bradicardia e di tachicardia.

L’ecografia della 12° settimana mostra la vitalità fetale e inoltre vengono effettuate misurazioni per stabilire l’età gestazionale che permettono la diagnosi di grandi malformazioni e determinare lo spessore della piega nucale (tecnicamente chiamata translucenza nucale). La misurazione della piega nucale è considerata un marker ecografico di alterazioni genetiche come la sindrome di Down o di Turner, ma anche di malformazioni cardiache. Tuttavia non è sufficiente per accertare una diagnosi. L’ecografia, accompagnata da esame del sangue (screening biochimico), e con esso alcuni dati della madre, forma lo screening combinato.

Le alterazioni genetiche che vengono individuate sono alcune malattie cromosomiche come la Sindrome di Down (trisomia 21), la Sindrome di Patau (trisomia 13) e la Sindrome di Edwards (trisomia 18).

La combinazione di questi test eseguiti prima della 13.ª settimana può rilevare fino all’85% delle anomalie cromosomiche fetali. Se il rischio dello screening combinato è elevato (valori inferiori a 1/270), si consiglia di eseguire ulteriori test come il test del DNA fetale nel sangue materno o, a seconda dei casi, eseguire test invasivi, come l’amniocentesi o la biopsia del corion per confermare la diagnosi.

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