“Conosceva il karate e la boxe”: accoltella il papà violento e chiama la polizia. “Venerdì si è licenziato e ha perso il lavoro da muratore per l’ennesima volta”

Una ragazza di 18 anni ha accoltellato a morte il papà violento: le forze dell’ordine l’hanno arrestata. Si chiama Makka, vive a Nizza Monferrato (Asti), luogo dove è avvenuta la tragedia. Il padre, Akhyad Sulaev, aveva 50 anni e “faceva boxe e karate, volevo solo salvare mamma”. Non voleva ucciderlo, ma ha agito d’istinto e paura, come raccontato nella ricostruzione fornita al pubblico ministero: “Aveva scritto a mamma che quando sarebbe tornata a casa l’avrebbe ammazzata”. In quel momento, durante la collisione, ha prevalso l’istinto di sopravvivenza quando il padre “se l’è presa con me”, mentre Makka era intervenuta solo per “dividerli, e difendere mia madre”.

I fatti risalgono allo scorso 1° marzo, avvenuti nell’Astigliano, all’interno del civico in cui viveva la famiglia, in via San Giovanni. La vittima, di origine russa, era agonizzante quando sono intervenuti i soccorsi e non è stato possibile salvarle la vita. Ad accompagnare la sospettata e reo confessa è l’avvocato Massimiliano Sfolcini, presente dinanzi al pm Andrea Trucano, della Procura alessandrina.

“Venerdì papà si è licenziato. Per l’ennesima volta aveva perso il lavoro da muratore e dopo si era diretto al ristorante dove mamma lavora come lavapiatti e io come cameriera nei weekend. A mia mamma ha chiesto di licenziarsi, lei gli ha detto di no e gli ha chiesto come avremmo fatto altrimenti con i soldi. Per questo è scoppiata la prima lite, mamma lo ha anche allontanato dal ristorante ma arrivato a casa ha ricominciato. Le aveva mandato anche un messaggio sul cellulare, diceva che quando sarebbe tornata a casa l’avrebbe uccisa”.

Arrestata Makka, le dichiarazioni choc: “In Cecenia era anche peggio”

Ma la violenza non rappresentava il caso singolo, né la novità. Purtroppo, le botte e i soprusi erano all’ordine del giorno: “Ci ha sempre picchiate”. Ricordando poi il periodo in Cecenia, “quando ero piccola”, ha riferito che le cose erano “anche peggiori”. Sapeva anche come colpire per fare del male, “praticava arti marziali, conosceva la boxe e il karate”. La violenza la perpetrava soprattutto sulle donne della famiglia, lei e la mamma, “con i miei fratelli alzava le mani solo se intervenivano nelle discussioni”. La famiglia completa era composta da marito e moglie e oltre alla figlia accusata dell’omicidio del genitore, vi erano infatti altri tre fratelli maschi.

L’approdo ad Asti è avvenuto nel 2015, quando i figli più grandi non superavano i 14 anni d’età. Diventata maggiorenne, Makka rappresentava una minaccia nella mente contorta dell’uomo, che non la voleva “indipendente”. Così come odiava la stessa caratteristica nella mamma della giovane, per questo la pressava affinché lasciasse il lavoro. Il più classico e il più temibile dei “padri padroni”. Per reprimere ulteriormente il desiderio di indipendenza delle donne di casa, il 50enne le privava dei soldi che guadagnavano lavorando.

“Dopo essere rincasato, intorno alle 18, ha picchiato mia madre e poi si è scagliato su di me quando ho cercato di difenderla. Io volevo dividerli, lui invece se l’è presa con me. Mi ha inseguita fino alla mia stanza e mi ha presa a pugni. Mamma si è rimessa tra noi e io ho preso un coltello per difendermi. L’ho colpito lasciandolo a terra, ma non volevo ucciderlo. Ho chiamato i carabinieri e li ho attesi”.

Nel racconto al pm, Makka ha spiegato come il papà fosse ossessivo, “voleva conoscere ogni spostamento, ma voleva anche comandare su di noi”. In precedenza, non vi è mai stata alcuna denuncia di maltrattamenti in famiglia, “nessuno o quasi ha mai visto i lividi della 18enne”, ha spiegato il legale Sfolcini. “A scuola nessuno si era accorto di nulla, ma lei aveva raccontato tutto all’unica amica che ha”. E sarà ascoltata dagli inquirenti, come precisato dall’avvocato. La ragazza frequenta il medesimo istituto scolastico di Makka, il Liceo Scientifico. La 18enne accusata di omicidio è una studentessa piuttosto diligente, che ottiene ottimi voti a scuola. Al momento si trova in una struttura protetta.

Le parole della mamma

Alle parole della giovane hanno fatto eco quelle della mamma, altrettanto terrorizzata e sotto choc. Incredibilmente sollevata, dopo le torture subite per anni. Condizionata ad una vita di sofferenza e di stenti, solo per il retrogrado e antiquato, nonché criminosamente patriarcale modo di vedere la vita di un uomo mentalmente debole, oppressivo, violento e molto probabilmente sociopatico. L’ennesimo caso che denuncia la violenza di genere e che deve continuare a far accendere i riflettori della giustizia, ancora troppo labile dinanzi a fenomeni che avvengono quotidianamente e in quantità ben maggiori e cruente rispetto alle denunce presentate. Una realtà che va vissuta sul “campo” per comprenderla e risolta adeguatamente, e non negli slogan. “Se non ci fosse stata mia figlia mio marito mi avrebbe uccisa”, ha dichiarato la genitrice.

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