È vittima di violenze ma ritratta la denuncia contro il marito dopo il suo arresto, tuttavia quest’ultimo è stato comunque condannato. A dicembre del 2020 l’uomo era finito in manette per tutte le violenze che la donna subiva ripetutamente da anni, anche in presenza dei figli della coppia di origine romena. Marito e moglie erano poi tornati a vivere insieme e la donna ha scelto di ritrattare dopo essere stata ascoltata in incidente probatorio.

Il ridimensionamento delle accuse però non ha fatto desistere il pm Davide Pretti che ha comunque chiesto una condanna a quattro anni di carcere. I giudici della terza sezione non si sono fidati e hanno deciso di applicare una norma del codice di procedura penale poco utilizzato e che, attraverso un comma, permette di acquisire le dichiarazioni rilasciate in fase di indagine “quando vi siano elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso”.

La coppia è tornata a vivere insieme e questo è stato uno degli elementi di sospetto sulla ritrattazione della vittima. Elemento al quale si aggiunge la chiamata minacciosa della sorella dell’uomo in arresto nei confronti della vittima, spingendola a ritirare la denuncia.

Vittima di violenze ritratta la denuncia contro il marito: cosa è successo, a quando risalgono i fatti, la dinamica, i casi di ritrattazione

I fatti risalgono a dicembre del 2020 quando l’uomo è stato arrestato. L’incidente probatorio era avvenuto a marzo 2021: il pm contestava alla vittima ben altre dichiarazioni. La donna si giustificò dicendo di parlare poco bene l’italiano e di essere stata “capita male dalla polizia”. La coppia si è riunita nell’estate del 2021 secondo quanto fatto notare dall’avvocato Yuri Marchis che non ha dato il consenso al pm di acquisire i verbali. Tuttavia secondo quest’ultimo già da marzo era in corso la riappacificazione che minava la trattazione. I giudici hanno sposato questa tesi.

I casi di ritrattazione sono piuttosto frequenti: si registra nel 30 per cento dei provvedimenti. Il vicepresidente di Telefono Rosa, Anna Ronfani, ha detto in merito: “Avviene perché frutto di pressioni familiari o dell’indagato. Si mettono in atto minacce o contropartite per ottenere una versione della vittima più favorevole, soprattutto nell’interesse, paventato, dei figli”. Come ha spiegato Anna Ronfani la riconciliazione “a volte” è “solo apparente” e il maltrattante “ripropone le condotte violente”. Le “retromarce” vengono tuttavia favorite dall'”attesa snervante di una definizione” e dalla generale “lunghezza dei tempi processuali”. Una donna vittima di violenze che ritratta “non è autonoma economicamente” e “non ha libertà di scelta”. Quindi “può cedere facilmente alle minacce o alle speranze di un cambiamento”, ha chiosato la vicepresidente della prima associazione al fianco delle donne e dei minori dal 1988.

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