Mario Draghi sale al Quirinale dopo aver ottenuto la fiducia del Senato ma con soli 95 sì e 38 voti contrari, approvando la risoluzione sulle comunicazioni del presidente del Consiglio presentata da Pier Ferdinando Casini. I senatori di M5S, Lega e FI si sono astenuti. I cinquestelle si dichiarano “presenti non votanti“. Molto probabilmente si andrà allo scioglimento delle camere. I tempi tecnici per le votazioni dopo lo scioglimento sono i tradizionali 60 giorni a meno che non ci sarà un tentativo in extremis di salvare la legislatura.
Fiducia ristretta per Mario Draghi: la mattinata
Stamattina Mario Draghi, in aula al Senato, ha motivato le dimissioni rassegnate lo scorso giovedì al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Decisione giunta in seguito al “venir meno della maggioranza di unità nazionale che ha appoggiato questo governo sin dalla sua nascita“. Unità nazionale che in questi mesi “è stata la miglior garanzia della legittimità democratica di questo esecutivo e della sua efficacia“.
“Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile – ha proseguito il premier nel suo intervento in aula – Questo presupposto è ancora più importante in un contesto di emergenza – crisi della guerra in Ucraina, il conseguente caro vita e Covid – in cui il Governo deve prendere decisioni che incidono profondamente sulla vita degli italiani“.
Nel corso dell’esecutivo, sebbene la “domanda di coesione che arrivava dai cittadini“, le forze politiche si sono opposte con un “crescente desiderio di distinguo e divisione“. Draghi ha colto l’occasione per sottolineare il “progressivo sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese” in merito alle riforme del Consiglio Superiore della Magistratura, del catasto e delle concessioni balneari.
“Patto di fiducia giunto alla fine“
Dunque è venuto meno “il desiderio di andare avanti insieme e con esso la capacità di agire con efficacia” e “tempestività“. Il patto di fiducia “che ha tenuto insieme questa maggioranza” è giunto alla “fine” con il voto dello scorso giovedì, ed è impossibile ignorare come “non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte” sia “un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente“. Secondo Mario Draghi ignorare questo aspetto equivale “a ignorare il Parlamento“.
Ed è impossibile anche “contenerlo” e “minimizzarlo” perché nel primo caso “vorrebbe dire che chiunque può ripeterlo“, nel secondo perché si è reduci da “mesi di strappo e ultimatum“. L’unica strada percorribile, “se vogliamo ancora restare insieme“, ha continuato Draghi, “è ricostruire da capo questo patto: con coraggio, altruismo, credibilità“.
“L’Italia è un Paese libero e democratico. Davanti a chi vuole provare a sedurci con il suo modello autoritario, dobbiamo rispondere con la forza dei valori europei. L’Unione Europea è la nostra casa e al suo interno dobbiamo portare avanti sfide ambiziose“. Niente “fiducia di facciata” dunque è stato il monito di Draghi, la quale scompare “davanti ai provvedimenti scomodi“.
“Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese – ha chiosato il premier che poi ha proposto – I partiti e voi parlamentari siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?”. Al primo posto ci sono i cittadini italiani: “Siamo qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani“.