Renato Pozzetto tira le somme a 83 anni e dopo aver pubblicato la sua autobiografia, in cui ha parlato della mancanza della moglie Brunella Gubler

Oltre quarant’anni d’amore per la moglie Brunella Gubler, deceduta il 21 dicembre del 2009: la sua morte non ha cambiato il sentimento di Renato Pozzetto, che ancora oggi la ricorda con nostalgia. Quella raccontata al Corriere della Sera. Quando si spense, aveva 69 anni Brunella, la donna misteriosa, che poco amava gli inevitabili riflettori, essendo la moglie di uno degli attori comici più apprezzati del cinema italiano. “Penso a lei in continuazione”. A luglio Renato compirà 84 anni, la salute oggi è la cosa più importante, anche se in una straziante lettera all’amico Enzo Jannacci scriveva “arriverò presto da te”. “Ho cercato di essere onesto nel descrivere le storie preziose della mia vita”, parlando del suo libro nel quale ha ripercorso l’infanzia.

Brunella, amata anche dopo la sua morte

“Ne uccide più la gola che la sciarpa”, si intitola il suo ultimo lavoro, una raccolta di aneddoti, storie inedite. Non è mancato quindi il pezzo dedicato a Brunella Gubler, la compianta consorte venuta a mancare all’età di 69 anni. Si sono sposati nel 1967, hanno avuto due figli: Giacomo e Francesca. “Ha allevato i nostri figli, sacrificandosi, dedicando pazienza e speranza anche a me. Era dotata di senso dell’umorismo”. Ha rappresentato “l’unica donna amata” in tutta la sua vita. Lei era speciale, “rideva mentre provavamo i nostri testi, a casa”. Quindi la confessione: “Penso a lei in continuazione e credo che avrei potuto darle di più”.

Il libro autobiografico “è stato come ascoltare qualcosa che mi raccontava un’altra persona per la prima volta. Ho sorriso, mi sono emozionato, ho riscoperto qualcosa che si era perduto nella memoria. E ho cercato di essere onesto nel descrivere le storie preziose della mia vita”. Al Corriere si è detto fortunato. Anzi, per autocitarsi: “Ho avuto una fortuna della Madonna”. Questo “mi pare abbastanza per essere sereno quando entri, diciamo così, nel rettilineo di arrivo”. E ci risiamo, ennesimo pensiero che torna lì. Laddove i fan proprio non vogliono raggiungerlo neanche con l’idea.

Nell’ultimo capitolo del libro ha quindi tirato le somme, facendo una sorta di “bilancio finale”, quello del “rettilineo d’arrivo”. Jannacci dicevamo, non manca la parentesi:

“Enzo era un poeta. Fu un vero ispiratore per noi, raccontava e cantava storie struggenti anche per lui. Ed era imprevedibile. Lo stavi a sentire e potevi ridere o piangere nel giro di un minuto. Ci siamo trovati naturalmente. Noi ascoltavamo i suoi brani, lui veniva ad ascoltare noi, ci apprezzava. Ci siamo voluti bene e abbiamo condiviso una vena umoristica comune”.

E quel debutto al cinema, che proprio non andava giù all’amico:

“Quando arrivò la proposta non sapevo come fare perché avevamo sempre lavorato in coppia. Mi confessai con Cochi. Fu accogliente. Se vuoi fare questo film, fallo pure. Lesse il copione anche il nostro Gesù Cristo e cioè Jannacci. Risposta: per me è una cagata pazzesca. Gli risposi con la frase di una sua canzone, Prete Liprando: “E io lo faccio lo stesso!”. Poco dopo chiesero anche a Cochi di recitare in un film importante, Cuore di cane, tratto dal romanzo di Bulgakov. Così mi sentii a posto nei confronti del mio compagno di vita e di lavoro”.

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