Funzionario romano residente a Torino, logorroico, maniacale nella pianificazione e nella cura di ogni dettaglio, Furio Zoccano è una delle maschere comiche più azzeccate di Carlo Verdone. Furio è sposato con due figli in “Bianco, Rosso e Verdone” – film in onda stasera su Cine 34 a partire dalle ore 21 – e chi subisce di più la sua “follia” è la moglie Magda Ghiglioni, interpretata da Irina Sanpiter. La povera Magda sopporta e soffre in silenzio, ingoiando bocconi amari, completamente sopraffatta dall’energia del marito. Riesce a dare libero sfogo solo quando, ritrovandosi da sola, esclama: “Non ce la faccio più!“.

L’aspetto psicologico di Furio Zoccano

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Il personaggio introdotto da Verdone apre ad un’analisi psicologica profonda sulla tipologia di individuo. Il film ci svela come l’ossessione e la ricerca continua della perfezione porti in realtà ad una disfunzione sia nella gestione della vita quotidiana che nei rapporti con le persone. Secondo lo psicologo Marco Masi, questo disturbo di personalità “è psicologicamente guidato dal pensiero e dall’azione“. Un modo di fare che va in contrapposizione (“o assenza) rispetto al sentimento.

Furio non ascolta le persone che lo circondano, è prevaricatore nelle conversazioni, ha un forbito e asfissiante eloquio, ma non se ne rende neanche più conto. Non entra in sintonia con la moglie e non ne recepisce i messaggi. Se Furio riesce ad essere ossessivamente impeccabile nelle dinamiche materiali e burocratiche della frenetica vita quotidiana, non è altrettanto accorto e sensibile rispetto agli aspetti emotivi e sentimentali relativi anche alle persone che lo circondano.

Secondo lo psicologo, una personalità del genere proviene da un’educazione piuttosto rigida o prematura, “prendendo come riferimento la teoria psicodinamica“. Potrebbe trattarsi del profilo di un uomo che nell’infanzia sia stato sovraccaricato “dal continuo giudizio degli stessi genitori“. Quindi è possibile che il ragazzo, in gioventù, si sia “percepito” come “inadeguato, cattivo o vergognoso“. “Per tale motivo il bisogno di controllo, pulizia e puntualità diventano, durante le fasi della crescita, importanti per mantenere salda l’autostima e la propria identità“.

Il disturbo ossessivo-compulsivo di Furio Zoccano

La stessa rigidità educativa ricevuta, Furio Zoccano la impartisce ai suoi figli. Inoltre, gli individui ossessivi “sono orientati non solo al controllo della realtà esterna, ma anche alla rettitudine e correttezza morale“. Ecco perché Furio appare “ligio alle regole“, pedante, un “moralizzatore” e “oltremodo prodigo di critiche e giudizi etici nei confronti delle persone che lo circondano“. Secondo lo psicologo è proprio questo aspetto che Verdone riesce a trasmettere, come nel momento in cui i due coniugi discutono sulla telefonata al Soccorso Stradale. Furio dice: “Ma brava! Continuiamo sempre a ragionare come fai te! Così l’Italia andrà sempre più a rotoli! Ma che divento io? L’uomo che gridava al lupo al lupo!? Eh! Abbi pazienza!”.

Lo psicologo precisa che c’è differenza tra “Disturbo Ossessivo-Compulsivo e Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità“. Nel primo caso i pazienti hanno “vere e proprie ossessioni, ossia ripetitivi, indesiderati pensieri intrusivi che causano incontrollabile ansia, e compulsioni, vale a dire comportamenti rituali che non possono fare a meno di mettere in atto per controllare le loro ossessioni e sedare la propria ansia“. I pazienti in questione sono consapevoli del proprio disagio e soffrono, talvolta talmente tanto da richiedere aiuto.

Cosa che non avviene per Furio. Perché questi individui “non necessariamente” debbano soffrire di compulsioni, ma “ciò che rende il loro disturbo ancora più tragicamente complesso è la loro totale inconsapevolezza di avere un problema. Per Furio il suo comportamento non è sinonimo di disagio psicologico“, anzi è al contrario “l’unico possibile e moralmente accettabile da sostenere“. Non percepisce il disturbo, “per tale motivo si è soliti parlare di egosintonia del disturbo“.

Come nascono le maschere di Verdone

Come ha già raccontato Verdone, il personaggio inizialmente non garantiva il successo. Ma Furio non fu l’unico, accadeva spesso. In particolar modo se c’era Sergio Leone di mezzo. Il produttore non riusciva ad intuire, inizialmente, la buona riuscita dei personaggi interpretati dall’attore romano. Nel primo film, “Un sacco bello“, l’attore e regista romano brancolava nel buio, tra l’incertezza generale. Compresa la moglie, che non rise a nessuna battuta dopo la prima proiezione a casa di Leone, ancora prima che il film arrivasse in sala.

Ma in “Bianco, rosso e Verdone” i dubbi erano ancora più preoccupanti. Sergio Leone, infatti, non era per niente convinto di Furio. Nonostante l’anno precedente si era poi ricreduto di “Un sacco bello“, che in primo luogo non riusciva a “comprendere“, diventandone poi lui stesso il primo vero promotore del film (“Io sto film ce l’ho così“, diceva, e stringeva il pugno), al contrario della suscettibilità di Carlo. Leone odiava il personaggio di Furio e temeva che avrebbe ottenuto lo stesso riscontro emotivo dagli spettatori.

Una sera si ritrovarono tutti a casa di Sergio Leone: c’erano anche Monica Vitti, Alberto Sordi, Carlo e per l’occasione c’era anche l’allora calciatore della Roma, Paulo Roberto Falcao. Durante e dopo la proiezione, Monica e Alberto ridevano e imitavano il personaggio. Al contrario Leone non era ancora convinto, covava odio verso Furio. Alla fine della serata Alberto e Monica abbracciarono Carlo congratulandosi entusiasti. “Abbracciami, amore mio – gli disse Sordi – Quel marito è una cosa straordinaria!

Il consiglio che ha cambiato per sempre la vita di Carlo

C’è stato un colpo di fortuna nella mia vita o il destino è andato dove doveva andare – disse Carlo Verdone nel 2011 – Finisco il Centro Sperimentale, cerco di trovare lavoro in produzioni e tutti quanti mi dicevano: ‘Devi fa’ er volontario, non ce stanno tanti soldi’; ‘Te posso far fare 3 settimane, non te posso mette i contributi’. Alla fine capivo che questo diploma non serviva a niente. Allora mi misi a fare dei documentari per la presidenza del Consiglio, servizio culturale… Ma la fortuna arrivò una sera“.

Carlo ricevette a Roma “un amico da Londra che parlava solo inglese“. “E mi disse: ‘Portami a vedere uno spettacolo’. E non sapevo dove andare“. Vide su un giornale che c’era uno spettacolo di mimo e il suo amico accettò. Ma “non gli piacque molto“, così dopo, a cena, Carlo ricevette l’illuminazione. “Io cominciai a fare le voci con i ragazzi del teatro che gestivo. Timbravo delle voci e dei caratteri. Uno molto intelligente mi propose di scrivere 50 minuti di spettacolo e portare tutti i personaggi. Scrissi questa cosa e fu la mia fortuna. Quindi menomale che il mio amico inglese venne perché da lì cominciò la mia fortuna“.

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