Il ruolo di Fabris in Compagni di Scuola gli è rimasto addosso come un’etichetta indelebile che inevitabilmente vive come croce e delizia: ecco che fine ha fatto l’attore Fabio Traversa

Se lo chiedono in molti, perché lui è rimasto nel cuore degli appassionati della commedia, in particolar modo quella “verdoniana”: che fine ha fatto il Fabris di “Compagni di Scuola”? Il famosissimo personaggio deriso dal compianto Angelo Bernabucci nei panni del pungente e simpaticissimo Walter Finocchiaro: “Guardate com’eri, guardate come sei. Me pari tu’ zio”. Quel Fabris lì ha un nome ed un cognome: Fabio Traversa. Per quanto possiamo apprezzarlo per quella parte, che piaccia o meno, Traversa è una persona che ha una vita propria e una carriera personale. Bisogna saper scindere il personaggio, anche se di successo, dall’attore e poi, ovviamente, dalla persona. Un passo sempre più difficile nello show-biz di oggi. Lo ricordiamo per una parte poi neanche così lunga in proporzione al film, visto che a metà pellicola (circa), esausto delle battute taglienti di tutto il gruppo, decide di abbandonare la rimpatriata con tanto di “invio” a quel paese nei confronti di Carlo Verdone, nei panni di Pietro Ruffolo.

“Non sono solo Fabris”

Che fine ha fatto Fabris di "Compagni di Scuola", Fabio Traversa: "Ruolo di successo ma limitante, colpa dei registi", lo sfogo

Oltre trenta film e, al momento, come spiegato in un’intervista rilasciata a Repubblica, gestisce un teatro nel quartiere Pigneto, a Roma. Il film è uscito 35 anni fa, ma il personaggio di Fabris è ancora fresco nella memoria di tutti: “Mi riconoscono ancora per strada e quando capita sono felice e imbarazzato allo stesso tempo”. Una sorpresa ogni volta, perché il tempo passa ma non cancella, a quanto pare: “Non pensavo che il mio personaggio venisse ricordato dopo 35 anni. Non me lo aspettavo”. Un successo favorito sicuramente dai social network, dai vari gruppi e dalle pagine appassionate di commedia, che citano spesso il famoso scambio di battute con Finocchiaro, facendo diventare quella scena un meme piuttosto ricorrente.

“Si congratulano – continuando nell’intervista – vogliono farsi i selfie. Mi dicono ‘Mi hai fatto ammazzare dalle risate’. Sono soprattutto 30-40enni”. La generazione cresciuta a pane e commedia, quella vera. Quella di un tempo. Ma non c’è solo quella famosa battuta tra le più richieste dai fan: “Ma vaffan**lo a te e villa Scialoja”, tiene il secondo posto ben saldo. Esattamente la scena trattata pocanzi, in quel rapido scambio di battute con Ruffolo nel momento in cui decide di abbandonare gli amici e la serata.

Il problema delle etichette

“Si ricordano tutti il nome di Fabris, ed è una cosa rarissima. Si vede che ho fatto un buon lavoro”. Ma il bel lavoro spesso non è sinonimo di futuro vincente. Lui non si lamenta, ma avrebbe meritato maggior considerazione in generale. Tuttavia, il tema delle etichette è un male per il quale ne hanno pagato lo scotto tantissimi attori, anche più noti del buon Traversa. “Sarò stato anche bravo a ‘stampare’ un personaggio, però i registi non sono stati in grado di andare oltre. Da un lato è stata una mia responsabilità non sapermi sganciare da quel personaggio, ma c’è anche la cecità dei registi che non mi hanno saputo vedere in un altro ruolo”. Ed ancora: “Speravo di essere apprezzato di più, ma non mi hanno dato occasioni”.

L’attore è umile e cerca di attribuirsi responsabilità che purtroppo non possiede pienamente, perché il fenomeno è diffuso e ci sono artisti come Francesco Montanari che hanno vissuto le stelle e sono finiti alle cosiddette stalle senza una ragione specifica. Pregiudizio? Etichetta? Tuttavia, Traversa oggi ha una vita ed è felice. Ci tiene a farlo sapere: “Vivo con mia moglie, l’attrice e regista Tiziana Lucattini con cui in questo momento stiamo mettendo in scena una rivisitazione de I giganti della montagna di Pirandello. In scena dal 24 al 26 maggio. Ho due figli grandi, avuti dalla mia prima moglie. Alice ha 36 anni, Gabriele 32. Lei fa la biologa, lui il manovale. Ma scrive anche testi di teatro”.

Gli inizi

“Facevo il liceo a Roma, non avevo un orientamento preciso. Mia sorella aveva trovato una compagnia di periferia: un teatro della parrocchia di Santa Francesca Cabrini, vicino a Piazza Bologna. Era la prima volta che entravo a teatro”. L’impatto fu devastante, “rimasi folgorato”: era il periodo in cui “frequentavo il liceo Lucrezio Caro”. Era nella stessa classe di “Nanni Moretti” che però non era ancora interessato al teatro, “all’epoca”. L’aneddoto: “Una volta dovevamo fare una rappresentazione per la scuola. Lui era stato convocato, ma non venne: aveva paura di recitare. Insieme giocavamo a pallone e andavamo al cinema. Il suo interesse per la recitazione e la regia maturò dopo le superiori. Mi chiese di partecipare a uno spettacolo perché sapeva che avevo fatto teatro. Eravamo amici davvero, poi ci siamo allontanati. Oggi non ci frequentiamo, ma se ci sentiamo è come ci fossimo visti ieri”.

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