Compagni di scuola” è il primo film in cui Carlo Verdone ha dimostrato la maturazione del suo personaggio, ma la pellicola ha affrontato molte difficoltà. Intanto terminava la pluralità dei personaggi mostrati nelle precedenti pellicole. Ha saputo farlo senza snaturare la verve comica ma aggiungendo un pizzico di malinconia per i tempi andati. Dimostrati nei vani e goffi tentativi di alcuni personaggi, mai cresciuti, che provano ad emulare sé stessi in gioventù. Un lato malinconico e nostalgico che nei finali dei suoi film in realtà non è mai mancato, ma qui è inevitabilmente più marcato.

Nel film ci sono momenti “divertenti” ma anche “inquietanti“. Lo disse lo stesso Verdone a Ugo Gregoretti davanti alla platea di pubblico e giornalisti nel 2009, a “Percorsi di cinema“: “Forse è stato un film un po’ duro. Quella sequenza sul mare con una resa di conti tra me e questo politico – interpretato da Massimo GhiniÈ un film cattivo sicuramente. Tant’è che quando uscì, Benvenuti e De Bernardi, che l’andarono a vedere a Firenze, mi chiamarono allarmati: ‘Ma l’hai fatto troppo cattivo…’“.

Gli sceneggiatori gli dissero che uscivano tutti tristi in volto dalle sale. “Nessuno mi ha mai detto: ‘Carlo, hai fatto un grande film’. Mi hanno detto tutti: ‘Carlo, sei depresso? Il film è bello, importante, ma è triste’. Pensavo che forse ero andato un po’ oltre. Però io mi sentivo che il clima era giusto. Un film di luci e ombre, in quella casa che ha qualcosa di cupo. Quello mi sono sentito di raccontare. Non ho barato“.

Sulla malinconia c’è poco da fare, fa parte del suo essere: “Sono un malinconico. Basta vedere come finiscono tutti i miei film. C’è sempre un finale malinconico. A volte me lo impongo di non farlo così, ma alla fine c’è indubbiamente una certa malinconia“.

Con Fabio Traversa, nei panni di Piermaria Fabris

Compagni di scuola e la nostalgia dei “miei migliori anni

Quegli anni, quelle musiche, hanno rappresentato gli anni più belli della mia vita“. Ma lui non è un depresso. “Un grande medico mi disse: “Ricordati Carlo, tu hai un fondo di depressione per natura ma ci devi convivere. Mi disse di accettarla questa piccola ansia. Altrimenti sarei diventato un cog****e come tanti“. Gli segnò dei farmaci da prendere a vita: “Ma non li prendo più. Magari solo se ho un volo. Prendo qualcosa per dormire, sennò non chiudo occhio“.

Verdone era felice “a 18 anni“. “Era una bella epoca, c’era divertimento, non c’era tensione. Ci si divertiva. Ogni sera si andava a un cineclub a un film studio, c’era tanta energia. Di sapere, di conoscere. Chi aveva poi interessi cinematografici o musicali e chi no. Si andava ad ascoltare il jazz, si andava al cinema. C’erano momenti importanti della mia famiglia che mi hanno positivamente segnato“.

Mario Cecchi Gori su Compagni di scuola: “Avete scritto ‘na stron***a!“. Carlo Verdone: “Mi arrabbiai molto…”

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Compagni di scuola” non si presenta come un film semplice. Sicuramente bellissimo da apprezzare una volta terminato, ma girarlo non è stato affatto una passeggiata. Tuttavia per Carlo i problemi cominciarono da molto prima. “È un film che rappresenta un momento di grande disagio. Non è furbo ma vero e sincero. Non è di quelli costruiti per il botteghino, tant’è che ebbi molte difficoltà con Mario Cecchi Gori“. Ovvero il produttore del film. Queste parole Verdone le pronunciò il 7 ottobre del 2009, ancora nella serata di “Percorsi di Cinema“, condotta da Ugo Gregoretti. “Io quando portai a Mario il soggetto di ‘Compagni di scuola’, ebbi subito un parere negativo perché mi disse: ‘È troppo verboso, non si ride mai, 18 personaggi? E tu quando fai ride’?‘.

Quando portai il copione a Mario mi chiese: ‘Quante pagine sono?’. Dissi: ‘210’. Rispose: ‘Troppe! Sono troppe!’. Secondo lui dovevano essere ‘180’“. Rifece il lavoro “stringendo e asciugando” il più possibile, in collaborazione con i fedeli sceneggiatori De Bernardi e Benvenuti. Accorciarono fino a “185 pagine“. “Gli chiesi però di leggerlo con calma senza essere precipitoso“. Si ripresentò l’indomani. Ad accoglierlo la segretaria: “Il dottore l’aspetta“.

Aprì la porta: “Cecchi Gori, col sigaro, guardava in direzione della scrivania con il copione in mano e mi disse: ‘Avete scritto ‘na stron***a’ e mi lanciò il copione di ‘Compagni di scuola’ addosso. 185 fogli che volano per tutta via Barnaba Oriani. Io a quel punto replicai: ‘Come ‘na stron***a?’. Mi disse: ‘Verboso! Non si ride mai, 18 troppi! Capisco 8 o 9, ma 18! Cominciò a urlare con la cenere – del sigaro – che bruciava la camicia. Fu una cosa pietosa. A un certo punto io mi arrabbiai, mi inca***i veramente, allora mi chinai per terra e raccolsi tutte le pagine del copione. Forse gli feci pena e lui col suo cul**e venne e me diede una mano a rimette’ le pagine. Volevo andare via per telefonare subito agli sceneggiatori e dirgli: ‘Guardate che mi sa il film non si fa più’“.

Prenderemo schiaffi da tutti! E butterò i soldi“. Verdone rispose: “Ma perché mettermi tutta questa ansia?“. Le difficoltà di Compagni di scuola

Invece, sulla porta, Cecchi Gori lo fermò dicendogli, sorprendentemente: “Io te lo fo’ fare ma ricordati quello che ti dico: prenderemo schiaffi da tutti!“. Carlo rispose: “Ma perché mettere subito un regista su questo piano d’ansia, ma tu mi fai del male“. Il produttore disse: “No, io ti dico le cose giuste. E prenderemo schiaffi da tutti. E butterò i soldi“. Carlo raccontava l’episodio trasmettendo perfettamente la tensione di quei giorni: “Madonna mia, cominciai nel modo veramente peggiore. Mi diede un organizzatore, non dico il nome – poi lo rivelò alla stessa serata, Gianni Cecchin sul quale si è ispirato per il personaggio di ‘Amitrano‘ in ‘Bianco, rosso e Verdone‘ – mi sembrava uno degli ultimi che mi doveva dare. Non si capiva niente quando parlava. Sembrava il personaggio mio dell’emigrante di ‘Bianco, rosso e Verdone’ – appunto – Ci voleva un traduttore“.

La scelta del cast: “Ho portato la verità, nessuna finzione teatrale. C’era anche gente che non aveva mai recitato

Chiese un sostituto a Cecchi Gori: “Non lo capisco a questo, e poi mi sa sto film non lo vuole fare“. Arrivò il nuovo organizzatore. “Nel frattempo cominciai a fare il cast e a scegliere degli attori che mi sembravano molto interessanti. Per esempio Massimo Ghini che giocava con me a pallone il sabato mattina. Attore di teatro, bravo, l’avevo visto al Sistina e mi piaceva. Lo avevo visto bene nella parte del politico. Gli dissi: ‘Fatte vede’ lunedì’“. Non fu complicato convincere gli attori a recitare per un suo film, “ebbi subito una grande adesione“, d’altronde Verdone era già uscito con altri suoi film, sebbene rivalutati nel tempo, aveva già avuto un grandioso successo. “Gli attori erano contenti di esserci“.

Presi il caro Piero Natoli che oggi non c’è più e lo presi perché non l’ho mai considerato un grande attore ma un grande personaggio. Anche i suoi toni, i tempi stonati, ma era estremamente vero anche se c’erano delle cose che non funzionavano. Presi la Cenci che vinse il David come miglior attrice non protagonista. La Brilli, all’epoca sposata con Ghini“. Tutto sommato “riuscii a fare un bel cast“. C’erano “quei tre” che “erano di Trastevere. “Finocchiaro Angelo Bernabuccivendeva i libri per l’enciclopedia… Non avevano mai fatto gli attori in vita loro. Quando hai la capacità di saper cogliere questi personaggi e farli recitare, hai un valore aggiunto. Non hai l’attore impostato di teatro che ti leva la verità. Il dialetto non deve essere finto“.

Dovevo assolutamente iniziare dalla scena 1: 18 personaggi e una trama difficile. Mi costrinsero a iniziare dalla 42. Piansi…”

Si arrivò a girare. I problemi non erano affatto terminati. Ne sopraggiunse uno nuovo, determinante: “Chiesi all’organizzatore: ‘Mi raccomando, fammi iniziare dalla scena 1 che se iniziamo dalla 37 qui ci si perde’. Siccome in questa villa sull’Appia Antica affittavano i matrimoni, non si sa per quale motivo un’ala che doveva essere preparata a un certo punto non ce la diedero più per una settimana. Dovetti cominciare dalla scena numero 42. Fu un colpo mortale perché dovevo già immaginare tutto quello che era successo e non sapevo la progressione dei fatti, del racconto, anche un attore come si esprimeva…”

Se Carlo Verdone dovesse scegliere uno dei momenti più complicati della sua carriera, collocherebbe questo senz’altro sul podio: “Fu uno dei momenti più difficili e drammatici della mia carriera. Dovevamo pensare come s’erano messi nella scena prima, come erano arrivati dalla scena prima. Una cosa assurda. Mi chiusi nel silenzio e me ne andai nel bagno del gabinetto che ci avevano dato per servirci e per la prima volta ho pianto. Mi sono detto: ‘Stavolta sbaglio film’“.

La preghiera a Sergio Leone: “Aiuteme te

A quel punto mi è partita una preghiera a Sergio Leone“. Chiese al compianto produttore: “Sergio mio, aiuteme te“. E forse Sergione una mano la diede davvero al suo pupillo perché “effettivamente“, ma “piano piano“, riuscirono a comporre quella sequenza. “Che era a metà film!“.

Il clima sul set

Giorno dopo giorno, sono riuscito a instaurare una bella atmosfera nella troupe e tra gli attori. Nessuna lite, nessuna competizione. C’era il gruppo più amalgamato Ghini, De Sica, Brilli e quello Natoli, Bernabucci ecc… La sera andavano a ristoranti diversi ma stavano bene insieme. Io non andai con loro, ero distrutto dalla regia e dalla recitazione. Avrò di questo film uno splendido ricordo. Forse perché è stato il mio primo passo importante, delicato. Anche in questo caso il valore del film si è scoperto dopo. All’inizio infatti aveva 2 stelle o 2 stelle e mezzo. Era quasi come un pensare: ‘Un attore comico che se mette a fa’ l’autore?’. Io non volevo fare l’autore, volevo fare uno scatto in più restando l’attore comico e divertente che sono. Il tempo mi ha dato ragione“.

La fine della proiezione: “Cecchi Gori fumava e io dietro a farmela sotto“. Poi la pace: “‘È che giri meglio di come scrivi’, e m’abbracciò

La fine delle ostilità con la produzione, se così si possono chiamare, terminò. “Mi ricorderò sempre la fine della proiezione. Al controllo della pellicola c’era Cecchi Gori da solo a guardare il film e fumare il sigaro, io dietro di lui e me la stavo facendo addosso. A un certo punto ha acceso la luce, si alzò, venendo verso di me, burbero, e mi dissi: ‘Oddio…’. Invece mi abbracciò e disse: ‘E’ che tu li giri meglio di come li scrivi’. Mi abbracciò forte”.

Con ‘Compagni di scuola’ volevo fare un salto di qualità“, il film si ispira alla vita reale “e ad una mia cena di classe fatta due anni prima

Sono molto legato a questo film perché ci ho messo veramente tutta la colonna sonora dell’epoca della terza liceo. ‘Compagni di scuola’ è uno dei figli prediletti. Proprio per la difficoltà che presentava, per la direzione e concentrazione, rimane sicuramente una delle cose a cui sono più affezionato“.

Dopo il rimprovero iniziale di Mario Cecchi Gori, “io Benvenuti e De Bernardi scrivemmo con molta delicatezza questo film“. Carlo voleva fare quel “piccolo saltino di qualità” già sperimentato in “Io e mia sorella“. Prima di girare il film gli mancava “la regia corale“. Quindi Carlo voleva mettersi alla prova: “Inizialmente mi aveva colpito molto ‘Il grande freddo‘. Però non è un remake. Questo è un film che racconta molto bene la crisi che io vedevo tra le persone, gli amici che stavano accanto a me. Di coppie che si separavano e si scioglievano, matrimoni che finivano dopo 6 mesi. In Italia ricordo che gli anni Ottanta erano quelli delle prime vere crisi di coppia. Capii che c’era uno sbandamento“.

Era un periodo in cui cambiava il rapporto uomo-donna: “Io ho cominciato a fare i film non avendo argomenti molto importanti forse, come li hanno avuti Sordi, Tognazzi e Gassman che hanno raccontato periodi interessanti del nostro Paese come la guerra, il dopo guerra, la ricostruzione, la contestazione… Io mi sono trovato in un periodo in cui questi attori erano entrati in crisi, ma non per fattori anagrafici ma perché il mondo stava cambiando. Era cambiato il rapporto uomo-donna”.

La donna aveva preso le redini del comando: “L’uomo era succube. Non è più quindi la figura del Sordi, del Gassman, che partono e rimorchiano e mettono le corna. No, qui siamo di fronte alla figura di uomini spaesati che non capiscono più l’universo femminile. Il film racconta la grande confusione nel rapporto che c’era tra gli uomini e le donne”.

Come risultato finale abbiamo: “La constatazione del crollo delle coppie, quindi la coppia che non è più solida. Problemi, analisi e compagnia bella. Tutto che aumenta. Lo smarrimento generale mi ha portato a pensare che il film sarebbe stato un’ottima idea, trovando il comun denominatore in una rimpatriata tra compagni di scuola, per rappresentare in 18 personaggi alcuni caratteri e fragilità. E poi tutt’ora mi sembra che i tempi siano anche peggiorati e lo smarrimento e la confusione ci sono ancora. Ecco perché il film è attuale e piace ancora. Probabilmente ci sono battute efficaci, ho fatto un ottimo cast“.

L’ispirazione ad una cena di classe

Verdone ha già specificato che il film non è un remake de “Il grande freddo” di Lawrence Kasdan, tuttavia ha ammesso di aver preso sicuramente spunto. Ma la vera ispirazione nacque ad una cena di classe con i vecchi compagni di scuola. “Due anni prima di fare questo film ci fu una cena della mia vecchia classe. E fu fatta su un ristorante sulla Cassia. Non vennero tutti, su 32 vennero in 12-13. Quello che mi rimase impresso di quella serata fu la grande tristezza. Non ci vedevamo da tanto tempo e ci fu il miserabile tentativo da parte di qualcuno di rifare quegli scherzi…”.

Il cancellino “che ci lanciavamo a scuola” era diventato “la braciola presa dal piatto e lanciata addosso“. Un goffo e “patetico” tentativo di ripristinare impropriamente e inopportunamente una gioventù, ormai, poco realistica. “Da grandi è una cosa talmente patetica. Tornai a casa con un malumore… Però mi segnai questa cosa, della cattiveria gratuita e inutile. La serata finì addirittura tirando il sasso contro la macchina di uno. Fu una cosa veramente brutta. Con altri mi rivedo, adesso sono professionisti. Ma il tentativo era sbagliato, quello di tornare quello che eravamo. Darsi questo comportamento giovanilistico. C’erano divorziati, disastri sentimentali, non era il caso“.