Site icon Chronist

Alberto Sordi, l’incarnazione dell’italiano medio di ogni epoca dal ‘900 ad oggi: sornione, furbo, seduttore, marchese, sceicco e cialtrone

Alberto Sordi non rappresenta solo uno dei cinque nomi che hanno fatto grande la commedia all’italiana insieme a Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman. Sordi è stato un artista poliedrico capace di prestarsi anche in film drammatici per i quali la critica ne ha riconosciuto l’apice del suo talento. Alberto è stato un attore pluripremiato e riconosciuto in tutto il mondo grazie alla sua inconfondibile caratterizzazione: sornione, furbo, allegro e intelligente.

Senza volermi sostituire ai manuali didattici – disse una volta – vorrei dare un contributo alla conoscenza di questo Paese“. Nei duecento film interpretando tutti “quei personaggi“, disse di aver “raccontato tutti i momenti del Novecento“. Di recente le videocassette di “Storia di un italiano” sono state distribuite in allegato didattico ai libri di testo scolastici.

La serie “Storia di un italiano” andò in onda per la prima volta nel 1979 e fu riproposta per diversi altri anni. Era condotta da Sordi e nel materiale scolastico ci sono anche spezzoni dei film dell’attore romano che si mischiano ai filmati d’archivio. Sordi non è solo un mattatore della commedia per il nostro Paese: è storia, che ci racconta il vissuto di di ogni epoca, dalla più lontana alla più recente. Ripercorrendo, appunto, la storia della società italiana. Sordi era reale.

Alberto Sordi nel 1960

Sordi è stato la rappresentazione della società italiana di ogni epoca dagli inizi del Novecento

Alberto ha interpretato uno spaccato dell’Italia di ogni epoca in ogni sua interpretazione: dagli inizi del Novecento sino ad oggi. In particolar modo ci ha sempre mostrato la lettura dell’italiano medio di ogni epoca e fungeva da specchio verso gli spettatori che, mentre sorridevano, subivano il riflesso dei loro vizi ma anche delle loro virtù.

I vizi e le virtù del popolo italiano partendo dai tempi del boom economico, periodo nel quale l’Albertone nazionale esplodeva in Italia, e non solo solo, cominciando a fare incetta di premi e riconoscimenti. “Il mio scopo era quello di riprendere il neorealismo di De Sica e Rossellini dandogli uno sfondo satirico,” disse in una nota intervista.

Se loro avevano raccontato l’Italia che lottava per sopravvivere“, Albertone voleva raccontare “l’altra Italia, quella borghese, che cambiava“. Quindi le “esperienze vissute ripartendo dalla guerra, dal dopoguerra” verso “l’evoluzione del costume“. Così “incominciai un genere nuovo“. Un genere in grado di “far ridere con cose realistiche“.

Il neorealismo di Sordi “era ironico, talvolta anche drammatico“, disse lo stesso attore. “Veniva recepito e io ero convinto di dover continuare su quella strada“. L’unica “che sarei stato in grado di percorrere“.

Alberto Sordi moglie e figli

Alberto Sordi: “Non mi sposo perché non mi piace avere della gente estranea in casa!

Un pensiero sufficiente a spiegare la sintesi della vita sentimentale dell’attore che non ha mai avuto moglie, né figli. Gli vennero attribuite relazioni con Katia Ricciarelli, Silvana Mangano, Shirley MacLaine, Patrizia De Blanck. Poi Uta Franzmeyer, con la quale ci andò vicino a sposarsi e la principessa Soraya Esfandiary Bakhriari.

La vita privata dell’attore era molto riservata al punto che gli unici amori della vita di Sordi accertati sono stati quello con la nobile austriaca, appunto Uta Franzmeyerm, e quello con Andreina Pagnani, quest’ultimo durato nove anni. Con Andreina si conobbero nel 1941 in fase di doppiaggio per il film “Il giardino di Allah“. Sordi aveva 22 anni e lei 36 e dopo quella relazione (che si interruppe per tradimento di lui) non ebbe alcun legame sentimentale serio.

Alberto non era fatto per la famiglia perché, come rivelò in molte interviste, la sua totale dedizione per la professione non gli avrebbe mai consentito di dedicare il tempo e l’impegno adeguati. Luca Manfredi ha rivelato che durante un pranzo disse la famosa frase: “E che mi metto un’estranea in casa!“.

Quando fu scelta la data del matrimonio ma Sordi mandò l’amico e agente Bettanini a fermare tutto

Alberto Sordi: “Quest’anno non possiamo sposarci perché siamo molto occupati

Stava per farcela una volta l’Albertone nazionale. Infatti nel 1955 l’attrice austriaca Uta Franzmeyer stava per portare Sordi sull’altare. Tuttavia, preso dal panico, l’attore inviò direttamente il suo amico, agente e segretario Gastone Bettanini a riferire: “Quest’anno non possiamo sposarci perché siamo molto occupati“.

Sordi “avaro” ma chi lo conosceva diceva che faceva molta beneficienza

Sordi è avaro“, si diceva. La “vox populi” di cui ha parlato Carlo Verdone a più riprese, ritenendola totalmente infondata. “Non è vero niente“, disse. Lo stesso Sordi si difese personalmente dicendo: “Dicono così perché i soldi non li sbatto in faccia alla gente“. Al contrario di quel che facevano “certi miei colleghi…”. Sordi custodiva in maniera estremamente gelosa la sua privacy, ma è noto che regalò un terreno dal valore di 10 miliardi di lire per la creazione del Centro per la Salute dell’Anziano e fu attivo in altre iniziative di solidarietà.

La vita privata di Alberto Sordi

Abbiamo visto che il grande Alberto preferiva tenere un profilo basso nel privato. Non amava la vita mondana. Era “geloso” dei suoi “spazi” come disse Verdone. Ovviamente anche della sua villa, immersa nel verde di Caracalla: Quando mi affaccio mi sento a Roma, nella città, ma fuori dal caos” diceva in una nota intervista.

Lì ammetteva solo gli intimi. Acquistò la villa nel 1954, “nel giro di un pomeriggio“, in quanto fu subito colpo di fulmine per lui. In poche ore la vide e se ne innamorò immediatamente. Voci dicono che l’abitazione era ambita anche da Vittorio De Sica che tuttavia non aveva il denaro necessario e, lamentandosene con Sordi, questi gli risposte: “Se è così, non ti ho offeso“. Vittorio fu uno dei pochi eletti alla frequentazione della villa insieme a Franca Valeri, Monica Vitti, Federico Fellini e Giulietta Masina e altri intimi.

Il 21 aprile su Rai1 è andato in onda il film biografico “Permette? Alberto Sordi“, di Luca Manfredi, figlio di Nino. Il regista ha detto che nel privato era “un uomo chiuso e schivo“. Quando era a casa verso metà pomeriggio in compagnia di “un Campari Soda“, indossava il pigiama e si metteva a commentare il traffico che scorreva fuori.

Ma ‘ndo andate co’ ste macchine“, diceva affacciato a osservare le automobili in coda. Una volta Verdone, esausto del buio della villa, “teneva le persiane sempre accostate“, gli disse: “Apri, c’è tutta Roma intorno a te“. Sordi lo guardò e rispose: “La luce mi rovina i quadri“.

La villa di Alberto Sordi

Alberto Sordi: la famiglia d’origine, gli inizi, la carriera, la filmografia con i film più belli, i premi, i riconoscimenti e quando fu sindaco di Roma per un giorno

Alberto Sordi è nato a Roma, inevitabilmente a Roma. E come ci si può sbagliare, proprio lui che insieme ad Anna Magnani e Aldo Fabrizi fu uno dei massimi esponenti della romanità sul grande schermo. Albertone nacque nel rione Trastevere, in via San Cosimato al civico numero 7. Era il 15 giugno del 1920 e solo pochi mesi prima era nato un altro grande artista per il quale il cinema ancora ringrazia: Federico Fellini.

Il noto regista divenne una figura importante per Alberto, e viceversa, ancor prima che entrambi diventassero chi sappiamo oggi. Ma andiamo per gradi e restiamo nel cuore di Trastevere, a casa di Alberto, ultimo figlio di Pietro Sordi e Maria Righetti, i genitori dell’artista. Pietro era un professore di musica e strumentista nonché concertista presso il Teatro dell’Opera di Roma. Maria era una insegnante alle scuole elementari.

Alberto aveva tre fratelli: Savina, verso la quale era molto legato al punto che dopo la sua morte Carlo Verdone definì la casa di Sordi “in continuo lutto” tanto che “fu interdetta” a chiunque, o quasi; Giuseppe e Aurelia. Il terzogenito, suo omonimo, morì il 24 maggio del 1916 a pochi giorni dalla nascita.

Già a 7 anni Alberto iniziava ad accumulare premi come quello dei “Bimbi belli“. Passò l’infanzia a Valmontone e si improvvisava burattinaio. Per vestire le marionette utilizzava ragnatele appena filate e calzoncini da bambini. Aveva una comitiva e attribuì un soprannome a tutti gli amici. Come raccontò lui stesso “c’era er capoccione, er caghetta, Peppino er sordo, Lo sfasciacarrozze e Lilletto“.

Sordi viveva in un contesto di povertà. La sua era una famiglia umile che viveva stringendo i denti e andando avanti in qualche modo. Sperava ad ogni Epifania di poter ricevere in regalo la sua amata bici che però non arrivava mai viste le condizioni economiche in cui versava la sua famiglia. Ma già da bambino Alberto era ingegnoso e rimediava compensando con una palla di gomma e piccoli regali.

Tuttavia non bastava mai. Alberto era troppo ambizioso di già per accontentarsi. Quindi ogni domenica andava al bar Caffè Arango, presso la Galleria Colonna, ritrovo artistico frequentato prevalentemente da uomini facoltosi che si godevano la vita. Li osservava sperando di diventare come loro in futuro.

La nostra realtà è tragica solo per un quarto. Il resto è comico. Si può ridere quasi di tutto

Così, in adolescenza, disse ai genitori di non voler proseguire gli studi e di voler diventare attore. Il padre non approvò l’idea e non ha vissuto abbastanza per osservarne il futuro successo. In seguito Alberto cantò per le voci bianche della Cappella Sistina e iniziò a studiare lirica come basso.

A tredici anni incise un disco di fiabe musicali scritte da lui stesso per la casa discografica Fonit Cetra. Si trasferì a Milano per frequentare l’Accademia dei Filodrammatici, dove però ebbe ben poco successo a causa del suo marcato accento romanesco.

Non ancora maggiorenne, faceva già da comparsa in alcuni film e, mentre debuttava in programmi radiofonici popolari, lavorava come doppiatore ed era imitatore da avanspettacolo. Aveva ancora sedici anni ma il talento era già ammirevole. Vinse il concorso della MGM (Metro Goldwin Mayer) e divenne doppiatore di “Ollio” di “Stanlio e Ollio“, al tempo ancora sconosciuti.

Avevo un timbro da soprano che avrei barattato a ogni costo” disse lo stesso Sordi in merito. Desiderava così tanto avere quel tono di voce che “una mattina il miracolo si compì“. Dopo essersi svegliato “andai in cucina e dissi a mia madre: ‘Buongiorno’, tirando una voce da basso la fece trasalire“. Una voce che “sarebbe stata in seguito la mia fortuna“. La stessa che avrebbe accompagnato Alberto “per tutte la carriera“. Una caratterizzazione “sia nella recitazione che nella vita“.

Sebbene gli anni dopo vennero oscurati dalla seconda guerra mondiale, Alberto si affermò ulteriormente nel mondo della rivista di varietà, spettacolo teatrale di alto livello tra i più seguiti dagli italiani. Contemporaneamente la parentesi con il grande schermo restò aperta. Anzi, si ampliò nel 1942 in quanto fu tra i protagonisti del film drammatico “I tre aquilotti” di Mario Mattoli.

L’anno seguente fu attivo a teatro per “Ritorna Za-Bum” di Mario Mattoli, scritto da Marcello Marchesi con i quali collaborò anche nel 1944 con “Sai che ti dico?“. Nel biennio 1944-1945 per la prima volta il nome di Sordi apparve in grande sui manifesti dello spettacolo di “Imputati…alziamoci!” di Michele Galdieri.

Nel 1948 fu il conduttore di “Vi parla Alberto Sordi“, programma radiofonico del quale ne fu anche l’autore. Per l’occasione incise delle canzoncine scritte di suo pugno come “Nonnetta“, “Il carcerato“, “Il milionario” e “Il gatto“. Il debutto nel mondo mediatico gli consentì di dar luce a personaggi che lo lanciarono rendendolo popolare. Tra questi “il signor Coso, Mario Pio ed il conte Claro“.

Fu grazie a ciò che riuscì a proseguire la carriera cinematografica ampliandola con “Mamma mia, che impressione!“, di Roberto Savarese, uscito nel 1951. Sordi era finalmente il protagonista e gli anni Cinquanta si aprivano sotto i migliori auspici sebbene, come lui stesso raccontò, prima di quei periodi vagava “con Fellini fantasticando sul futuro“. Il regista gli fece una promessa: “Diventerò un grande regista – gli disse – Forse il migliore di tutti“.

Vedi anche: SORDI E FELLINI “SENZA ‘NA LIRA” PASSEGGIAVANO SUL LUNGOTEVERE FANTASTICANDO SUL LORO FUTURO

Al tempo entrambi erano ancora acerbi e piuttosto sconosciuti. Iniziarono la collaborazione artistica proprio agli inizi degli anni Cinquanta con “Lo sceicco bianco” che fu un grande successo. Ma nonostante ciò Alberto scelse di non abbandonare il palco e gli spettacoli dal vivo nei quali collaborò con autori del calibro di Wanda Osiris, Pietro Garinei e Sandro Giovannini.

Fellini stava diventando Fellini e il precedente con Sordi fu così positivo che scelse di richiamare a sé l’attore per una nuova collaborazione. Stavolta però la fecero grossa e nel senso più positivo possibile: nel 1953 uscì un grande cult immortale come “I vitelloni“, subito accolto alla grandissima e che gli valse il primo di 6 Nastri d’argento. Il premio fu come miglior attore non protagonista.

Il personaggio di Sordi cominciava ad assumere la caratterizzazione che avremmo rivisto nei film successivi e con la quale lo conosciamo oggi. Nel 1954 si consacrò al cinema al punto che uscirono ben tredici suoi film, tra i quali “Un americano a Roma” di Stefano Vanzina.

Un film che gli valse il riconoscimento simbolico di “Governatore onorario” degli Stati Uniti per il quale fu invitato direttamente a Kansas City. Un premio dovuto alla propaganda che il suo personaggio, Ferdinando Mericoni, muove nella pellicola a favore degli Stati Uniti.

Nando Mericoni è un personaggio che si era già visto in “Un giorno in pretura” del 1953 per la stessa regia e che rispuntò fuori nel 1975 nel film “Di che segno sei?“, di Sergio Corbucci.

Due anni dopo rivinse il premio ma stavolta come miglior attore protagonista ne “Lo scapolo” di Antonio Pietrangeli. Premio che replicò in seguito per un grande classico come “La grande guerra” del 1960 di Mario Monicelli e 17 anni dopo per un altro capolavoro da alcuni riconosciuto come “il livello di recitazione più alto” di Sordi, “Un borghese piccolo piccolo“, di genere drammatico.

Consacrato e sulla cresta dell’onda, Sordi rivisitava i suoi personaggi mostrando i pregi e soprattutto i difetti tipici del popolo italiano. A volte mostrati e accolti con benevolenza, delle altre decisamente meno. Sordi incarnava il racconto tipico dell’italiano medio nelle sue recitazioni non solo ironiche, non solo leggere, ma anche feroci quando specialmente si esaltavano i difetti della società.

Proprio con “La grande guerra” portò a casa il primo di nove David di Donatello come miglior attore protagonista. Premio che replicò già l’anno seguente per il film “Tutti a casa“, di Luigi Comencini, uscito nel 1960. La pellicola gli valse anche una “Grolla d’oro“.

Il film “Il diavolo” di Gian Luigi Polidoro, del 1963, gli valse un Golden Globe dagli USA e l’Orso d’oro da Berlino. Citare i circa 200 film di Sordi sarebbe impossibile, così come tutti i premi ricevuti. Ormai l’attore era lanciato e il resto fu solo una normale conseguenza di un lavoro magistrale grazie al quale ottenne due lauree Honoris Causa in Scienze della comunicazione dallo IULM di Milano e dall’Università di Salerno per aver “comunicato” e “trasmesso” valori e costumi “dell’Italia del Novecento“.

Nel 1966 esordì anche alla regia con “Fumo di Londra” che gli valse il terzo David di Donatello ancora come miglior attore protagonista. Premio che replicò tre anni dopo per “Il medico della mutua“, del 1968, di Luigi Zampa. Il film ebbe un sequel tre anni dopo ma per la regia di Luciano Salce, “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue“.

Nel 1971 fu diretto da Nanni Loy in “Detenuto in attesa di giudizio“, un altro film drammatico che gli valse un nuovo David da miglior attore protagonista. Con “Un borghese piccolo piccolo” Sordi non portò a casa “solo” il Nastro d’argento ma anche l’ennesimo David.

Cimentandosi nel genere drammatico Sordi dimostrò ancora una volta di essere un vero artista poliedrico. Non una novità per chi lo seguiva già dagli inizi. Tuttavia il film lo consacrò agli occhi della critica che riconosceva, nel ruolo interpretato, il vertice più alto delle sue capacità di recitazione.

Nel 1981 uscì il mitico “Il marchese del Grillo” di Mario Monicelli. Più tardi, da regista, nel 1982 uscì “In viaggio con papà“, con Carlo Verdone, e l’anno seguente “Il tassinaro“. Nel 1994 diresse il suo penultimo film in cabina di regia, “Nestore – L’ultima corsa“, del quale fu anche sceneggiatore in collaborazione con l’immancabile Rodolfo Sonego.

Una pellicola drammatica alla quale Alberto fu molto affezionato. Le tematiche toccate nel film spinsero il Ministero della Pubblica Istruzione a una campagna di sensibilizzazione nelle scuole in merito alle problematiche degli anziani e degli animali.

Nella serata della presentazione del film di Ettore Scola del 1995, “Romanzo di un giovane povero“, che valse la Grolla d’oro ad Albertone, lo stesso attore fu premiato con il Leone d’oro alla carriera. Due anni dopo, a Los Angeles e San Francisco, il west America dedicò a Sordi una rassegna di 24 film che riscosse grande successo.

Premi e riconoscimenti ovunque, Alberto Sordi è stato un trofeo vivente. Così tanto celebre e amato che lo stesso sindaco di Roma del tempo, Francesco Rutelli, gli “cedette” la città per un giorno. Era il 15 giugno del 2000 e Albertone Nazionale entrava negli 80 anni di età.

Alberto Sordi e la fede

Sono un credente, un cattolico osservante. La domenica vado a messa. Faccio la comunione. Be’, diciamo la verità, non è deprimente constatare che questa mia elementarissima religiosità stupisce, non le pare? Vuol dire che siamo messi male, ma proprio male“.

Hanno detto di lui

Mario Monicelli: “è stato un comico capace di contraddire tutte le regole del comico

Sono innumerevoli gli artisti che hanno speso parole di elogio e ammirazione verso il grande Albertone. Non poteva mancare il parere del regista che, se vogliamo, lo ha lanciato al grandissimo pubblico negli anni Sessanta, Mario Monicelli. Perché Sordi per Mario “è stato l’attore più grande” ma anche “uno straordinario autore“.

Sordi era “l’artefice del suo personaggio“, con il quale “ha attraversato più di cinquanta anni di storia italiana“. Con Monicelli Sordi è esploso nel film “La grande guerra” sebbene fosse già la quarta di otto collaborazioni cinematografiche totali tra i due. Un sodalizio artistico che Monicelli ricordò così: “Era straordinariamente facile lavorare con Sordi“. Infatti “bastavano poche occhiate e ci si capiva sul tono da dare” all’interpretazione e al film.

Pier Paolo Pasolini e la denuncia verso la società italiana: “Ma di che specie è il riso che suscita Alberto Sordi?

Pasolini è stato un attento osservatore dei cambiamenti della nostra società. Quella italiana. E lo ha fatto dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Settanta. Nelle parole del poeta la denuncia verso la società italiana: “Pensateci un momento – diceva – è un riso di cui un po’ ci si vergogna“.

Ridiamo e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso“. “Ridiamo solo noi” perché “conosciamo il nostro pollo“. Secondo Pasolini era l’occasione di accorgersi di aver sorriso “sulla nostra viltà” come società e “sul nostro qualunquismo” nonché “sul nostro infantilismo“.

Vittorio De Sica: “Pur facendo satira un po’ cattiva, lui moralizza

Sordi è riuscito a mettere in mostra il lato storto, ridicolo del carattere italiano e l’ha colpito“. Per Vittorio De Sica nessuno ha mai saputo così ben caratterizzare l’uomo medio. “Ha fatto della satira che molti considerano crudele“. Per Vittorio la crudeltà “nasce da una forza morale“.

Sordi è “un uomo che ha sofferto molto, ha quasi patito la fame” e “ha fatto mille mestieri“. Tutto ciò “lo ha arricchito di istinti buoni” e “umanitari“. Vittorio riconobbe in Sordi “un’amarezza” interna “di fronte ai vizi” che avrebbe voluto “non esistessero” e nelle sue parti li denunciava colpendo e godendo “a frustare”. “Pur facendo della satira un po’ cattiva, moralizza“.

Christian De Sica: “Il mio modello è Sordi. Amava far ridere anche nelle occasioni più inaspettate

Christian rappresenta il “ruolo dell’italiano imbroglione” incarnato per “tutti questi anni” proprio come Sordi. Il suo modello. Lui che grazie al papà Vittorio lo ha conosciuto sin da piccolo. “Era uno zio e un uomo e un attore che ha rivoluzionato la comicità del nostro Paese“.

A casa De Sica “Sordi era uno di famiglia“, grato a Vittorio per “aver prodotto il film Mamma mia, che impressione!” con il quale aveva una grande amicizia. Lo si evince anche dal racconto di Sordi dell’aneddoto con Vittorio, di quella volta che lo spinse addosso a Fanfani. Potete ritrovare l’aneddoto qui: SORDI SPINSE DE SICA ADDOSSO A FANFANI: COME ANDARONO LE COSE

Mina: “Il doppiaggio di Stanlio e Ollio è una delle cose più deliziose del cinema di quel periodo

Sordi e Zambuto si sono inventati questo modo di parlare“, diceva Mina che oltretutto ha cantato in uno spot pubblicitario sulle immagini del mitico duo comico. Ma il doppiaggio di “Sordi e Zambuto” è un qualcosa di più riuscito e “molto lontano” di quello che era “l’originale” secondo l’artista. “Si sono inventati questo modo di parlare” spostando “gli accenti” e “diversificando le voci“.

Altre curiosità: Alberto Sordi voleva interpretare Benito Mussolini

Alberto Sordi eredità

Aldilà dell’enorme e inestimabile eredità cinematografica di Alberto Sordi, l’attore ha lasciato un patrimonio dal valore di 50 milioni di euro di cui ne ha beneficiato sua sorella Aurelia.

Ecco quale malattia aveva Alberto Sordi: il cancro

All’attore fu diagnosticato un tumore ai polmoni. Era il 2001 e da quel momento comparve sempre di meno sullo schermo. L’ultima apparizione avvenne in occasione del programma televisivo “Italiani nel mondo“, a luglio del 2002. Nell’inverno forme di polmonite e bronchite peggiorarono la salute di Alberto in maniera drastica.

Alberto Sordi morte e funerali

Alberto Sordi ci lasciò a Roma il 24 febbraio del 2003. I funerali furono celebrati nella basilica di San Giovanni in Laterano davanti a oltre 250 mila persone. Sulla sua lapide, al cimitero Monumentale del Verano a Roma, è incisa la battuta nota “Sor Marchese, è l’ora” tratta dal film “Il marchese del Grillo“.

Exit mobile version