Un centinaio di tifosi della Lazio, in trasferta a Monaco per il ritorno di Champions con il Bayern, sono stati protagonisti di inni al duce e saluti romani

La polizia di Monaco ha asserito di aver condotto nella serata di ieri, martedì 5 marzo, un’operazione presso la birreria Hofbräuhaus am Platzl – tristemente nota per essere stata sede di molti discorsi di Adolf Hitler – in cui, nel pre-gara di Champions League con il Bayernun, centinaio di festanti tifosi della Lazio inneggiavano inni al duce e saluti romani. E ad incastrare il gruppetto di tifosi sarebbero stati alcuni video girati all’interno del locale in cui si notano chiaramente braccia tese e cori fascisti. I filmati sono in mano ora alla polizia tedesca che analizzerà il comportamento dei “turisti” e adotterà i dovuti provvedimenti. Visto che in Germania le autorità prendono piuttosto seriamente (e per fortuna ‘duramente’) azioni di questo genere.

Tutto ciò solo venti giorni dopo il “presunto” striscione nazista issato in curva in occasione della partita di andata, sempre con il Bayern Monaco. Che assurdamente è passato quasi inosservato da molti. Mentre altri avevano concesso il beneficio del dubbio al suo significato intrinseco. “L’unica cosa che vi invidiamo: la birreria.” Era scritto nello striscione. Poteva finire così, con un innocuo equivoco. Una birreria. A Monaco. Non bisognava per forza trovarci il nesso con il nazismo. E invece ecco la conferma. Il messaggio è chiaro. Il senso era proprio quello. Lo striscione torna ad essere issato nelle menti non solo dei maliziosi e degli scettici, ma di tutti.

Un messaggio cristallino quello di alcuni ultras “biancocelesti”. Sventolato davanti a tutta Europa, con fierezza e orgoglio, da parte di individui a cui la storia non ha insegnato proprio niente. Individui che ora dovranno preoccuparsi meno del Daspo in Italia e più della pena in Germania. Perché lì il braccio teso è un reato grave. Per il gruppetto di sconsiderati che hanno macchiato in modo inequivocabile la memoria di una città, di una storica squadra, di una nazione. Dell’Europa tutta e della storia in generale.

Prima di tornare a parlare di Hofbräuhaus e degli episodi di ieri, sarebbe lecito soffermarsi ancora un po’ sul senso di “birreria”, nello slogan esposto nella partita d’andata, in cui è presumibilmente riassunta, oltre all’ignoranza, anche il ricordo di una delle più grandi e terribili tragedia che il mondo abbia subito. Uno scempio costato la vita a milioni di innocenti, sul campo di battaglia e nei campi di concentramento. Una parola che si riferisce schiettamente all’ascesa del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei o NSDAP) che tentò, l’8 novembre del 1923, un colpo di stato durante la Repubblica di Weimar.

Il cosiddetto “Putsch di Monaco”. O, appunto, “Putsch della birreria”. Allora, la futura guida della Germania nazista, insieme a un gruppetto di fedeli sostenitori, tra cui Hermann Göering, Rudolff Hess, Alfred Rosenberg, Heinrich Himmler e Martin Bormann, fecero irruzione in una grande birreria situata proprio a Monaco, la nota Bürgerbräukeller. Dove il governatore di Baviera, nazionalista e ultraconservatore, Gustav von Kahr stava tenendo un discorso.

Per il futuro Führer della Germania nazista era giunto il momento di prendere una posizione ben precisa. Oltre che il comando della Baviera, che era il secondo Land della Repubblica per estensione del territorio. E per farlo bisognava far scoppiare una rivoluzione nazionale per spazzare via, una volta per tutte, la Repubblica di Weimar e coloro che firmarono il Trattato di Versailles. I cosiddetti “criminali di novembre”. Quelle figure delle istituzioni tedesche che decretarono, con la fine della Prima Guerra Mondiale, il declino della Germania.

Il tentativo di Hitler di rivoluzione finì nel sangue, con 16 membri del partito nazista e 4 agenti di polizia morti. Il futuro leader del Nazismo venne arrestato e accusato di tradimento. Ma la sua permanenza nella prigione di Landsberg durò solo un anno su cinque di condanna. Dietro le sbarre, in quel periodo in particolare, dettò il Mein Kampf ai suoi compagni di cella Rudolf Hess e Emil Maurice.

Il resto, purtroppo, è storia. Un genere di pagina della storia mondiale che non vorremmo rivedere mai più. E che, tuttavia, attraverso alcuni signori che credono di rappresentare una squadra, riviviamo nostro malgrado. Tornando ai fatti di ieri, erano circa tremila i tifosi laziali arrivati a Monaco per sostenere la squadra, che poi ha perso nettamente per 3-0. L’agenzia tedesca Dpa avverte che la polizia bavarese ha avviato un’indagine sull’accaduto. “L’Hofbräuhaus ha dichiarato che un gruppo di tifosi della Lazio è stato seguito dalla polizia per tutta la serata. Non eravamo a conoscenza di cori fascisti, né abbiamo notato relativi gesti da parte degli ospiti. Altrimenti saremmo intervenuti in ogni caso.” Riporta l’agenzia tedesca.

Nel corso dell’indagine è scattato anche il primo fermo ai danni di un 18enne italiano. “Lunedì 4 marzo, intorno alle 23.30, c’è stata un’operazione di polizia in un ristorante. L’antefatto era che un ospite aveva mostrato il cosiddetto ‘saluto hitleriano’. Il sospettato, un turista italiano di 18 anni, è stato trovato sul posto e temporaneamente arrestato.” Ha comunicato un portavoce della polizia. In seguito il giovane è stato rilasciato dopo che le misure di polizia sono state completate ed è stato versata una cauzione.

Il filmato e le immagini dello sconcertante comportamento dei tifosi in trasferta è arrivato anche agli occhi e alle orecchie di Alessandro Onorato, assessore di Roma Capitale a Grandi Eventi, Turismo, Moda e Sport. “Le immagini dei tifosi della Lazio che, a Monaco per assistere alla partita di Champions League, inneggiano al duce e fanno saluti romani, sono una vergogna. Sono fango sulla squadra, su tutta la tifoseria e sulla città di Roma.”

Un messaggio, quello dell’assessore, condiviso dalla quasi totalità degli italiani, si presume. Perché in quei gesti, nei cori e negli atteggiamenti di quei presunti tifosi non c’è calcio, non c’è lo sport. E non c’è nemmeno il pensiero di una città. O di una squadra e di una grossa fetta di tifoseria, che va allo stadio per godersi 90 minuti di svago, magari con un figlio, un fratello o un nipote. In quei cori, nella frase dello striscione di 20 giorni fa, in quei gesti in trasferta, c’è solo l’allegoria della miseria umana.

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