L’intervista completa ad Antonio Iannone, l’uomo che aveva deciso di aprire un chiringuito ai Caraibi e che poi se n’è pentito dopo due anni: la sua storia
“Mollo tutto, lavoro compreso, e vado ad aprire un bar sulla spiaggia ai Caraibi”: quante volte lo abbiamo pensato o sentito dire, compreso il protagonista di questa storia Antonio Iannone, oggi in parte pentito (anche se lui giura di no)? Tantissime. Qualcuno addirittura ha scelto di abbandonare il lusso per andare a vivere nella giungla. C’è chi ci ha provato davvero, trasformando in fatti determinati desideri. Antonio aveva scelto di mollare la sua vita sedentaria d’ufficio nel 2015: era un manager comasco di Albiolo, lavorava presso una ditta farmaceutica svizzera. Aveva detto basta, salvo ripensarci e tornare indietro “dopo due anni”. Indietro significa a Milano: “Dietro la facciata turistica, fatta di mare e colori, la Aruba di tutti i giorni è ben diversa”.
Come sempre è l’iconografia della gente che determina le emozioni di un posto specifico: abbiamo costruito nella nostra testa l’immagine serena, appagante e spensierata di una vita perennemente in vacanza, sulla spiaggia, quella dei Caraibi appunto. Eppure, come raccontato a Il Milanese Imbruttito da quest’uomo, la quotidianità non è uno spot pubblicitario di 15 secondi, né un film di una durata un po’ maggiore. Ma andiamo con ordine, perché Antonio è partito dall’inizio, da quando nel 2015 si era letteralmente “ingabbiato” in una routine che lo vedeva succube di una vita “terribilmente monotona e abitudinaria”, anche se “stabile”. Per alcuni sarebbe una gabbia d’oro, anche perché “appagante dal punto di vista economico”.
Ma in lui era scattato qualcosa: non riusciva più a tenere i ritmi. “Sveglia, corsa, doccia, 90 minuti di auto, ufficio, pausa pranzo, ufficio, 90 minuti di macchina, cena, film, letto. Lavoravo per avere una casa sempre più grande, una macchina sempre più potente, un orologio sempre più costoso. In breve, mi stavo lentamente spegnendo”. Cose che moltissime persone non possono neanche permettersi di ambire, eppure era arrivato al punto di saturazione. Appassionato di cucina e gastronomia, ha scelto di mettere in pratica il sogno di una vita: aprire un food truck di sfiziosità italiane presso il lungomare di Aruba. Addio stipendio cospicuo, addio vita d’ufficio, frenetica e stressante.
Il ripensamento: il rientro a Milano da freelance
Maturata la decisione, passati alcuni mesi per le faccende burocatiche e organizzative del caso, ha preso moglie e figlia e si è trasferito definitivamente al di là dell’oceano, per quello che sembrava essere uno dei più tipici “a mai più”. Poi qualcosa è andato storto: “Dietro la facciata turistica, fatta di spiagge e colori, la Aruba di tutti i giorni è ben diversa. Diseguaglianza sociale, povertà, nessuna educazione alimentare. C’è da considerare poi che, essendo un’isola, tutto è estremamente caro”. Più caro anche perché “è tutto più difficile da ottenere”.
Quello che in città a Milano si può definire un “banale” pezzo di ricambio, ai Caraibi si trasforma in un’odissea che può durare anche “settimane d’attesa”. Altro mito da sfatare è quello di pensare al popolo arubiano come solare, sorridente, sempre disponibile e simpatico. I latini caldi, focosi, attraenti. “Dimenticate tutto – ha detto Antonio -, pensate ad un popolo isolano colonizzato dagli olandesi… poi ovviamente ci sono le eccezioni”.
Oggi però non rimpiange nulla, al contrario di ciò che si possa pensare: non è stato un vero e proprio pentimento il suo, quanto più un “ripensamento”. “Rifarei tutto”, è sempre esperienza d’altronde, no? Così, dopo un biennio di test (fallito), è tornato a Milano e fa il freelance e si occupa di innovazione in campo agroalimentare. Da questa esperienza ne è uscito con più consapevolezza, ha maturato l’idea di vivere nella terra di mezzo: né troppo stressato dalla routine della vita d’ufficio, né troppo lontano da questa realtà.
Anche se ogni tanto il pensiero nostalgico attraversa la sua mente: i Caraibi un po’ gli mancano. “Per le spiagge, il mare nel tempo libero. Questo è quello che ci manca di più dei Caraibi”. In quanto a Milano, conclude così: “Certo, per essere felice e stabile da freelance è necessario davvero reinventarsi quasi giornalmente, ma forse il bello è proprio quello”.
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