Il giornalista si sfoga durante la trasmissione e ricorda i momenti difficili e quell’accusa ingiusta: il racconto di Giovanni Terzi
A due settimane dallo sfogo contro i giudici del programma di Ballando con le Stelle, Giovanni Terzi torna ad aprire la porta dell’intimità quando parla di carcere: “Alle sei della mattina bussavano a casa mia per prendermi ed arrestarmi”. Perché? Il giornalista, che ha già confessato di lottare contro la malattia, per la quale fa chemio da tempo, aveva da poco superato i trent’anni quando i carabinieri lo svegliarono di prima mattina con l’accusa di aver intascato una tangente di 250 milioni del vecchio conio. Terzi era consigliere comunale a Milano.
In carcere: il ricordo di Giovanni Terzi
Il racconto è intriso di dolore: “Mi misero in isolamento giudiziario, mi hanno chiuso in cella, piccola, ma c’era uno spioncino”, la sua unica speranza. “Non avevo l’ora d’aria in isolamento”. I ricordi sono freschi, come se tutto fosse appena accaduto: “Una volta a settimana potevo fare la doccia”.
Poi, “dopo 30 giorni, la mattina presto vennero a prendermi, pensavo di essere liberato, invece mi trasferirono. Mi misero le manette a mani e piedi, scoppiai in un pianto pazzesco”. Purtroppo non era così: altro che liberazione, si sarebbe solo trasferito. “Mi misero le manette a mani e piedi e poi mi misero dentro una gabbia”, ricordando gli atroci momenti. “Una volta arrivati dei giovani, aprirono la gabbia e mi tolsero i cerchi ai piedi”.
Il giornalista rimase rinchiuso in carcere per tre mesi, non potendo avere diritto di replica: poi venne scagionato definitivamente nel 2006. Aveva ragione lui: non era colpevole, anche se non si poteva dichiarare innocente durante il periodo di reclusione. Eppure, per la società ormai avrebbe l’etichetta dell’uomo “che è stato in carcere”. Infatti, lo dice: “Sì, però se lo hanno arrestato…”, simulando il pensiero dell’opinione pubblica.
“Non fecero andare mio figlio all’asilo, si nascondeva sotto al letto temendo che suonassero i carabinieri di nuovo”
Fu dura anche per la sua famiglia, anche quando la sentenza della Cassazione ribaltò il giudizio della Procura. Quest’ultima venne accusata di “agire in preda al delirio di onnipotenza”. Il danno era ormai fatto: “Sto male se penso alla sofferenza degli altri”. La famiglia: il figlio Ludovico, i genitori. “Sto male perché non hanno mandato mio figlio all’asilo; ero su tutti i giornali. Per mesi si nascondeva sotto al letto – l’allora piccolo Ludovico (ndr) – se suonavano il campanello”. Una vicenda che ha traumatizzato tutta la famiglia, ma oggi il giornalista ha trovato il coraggio di parlarne. Poi, evidentemtne emozionato, ricordando ancora il suo piccino: “Lì sto male”. Lì, quando il pensiero finisce proprio a quel ricordo. “Quello che pesa è il giudizio della società. Non accetto quando c’è qualcosa a schiacciarmi, ho una mentalità che mi ha permesso di non subire facendo la vittima”.
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