Il crudo ricordo del conduttore Angela: il rapimento durato 15 ore, “eppure siamo stati attenti a non sconfinare. Eravamo una troupe di sei persone”
Sono state “15 ore di incubo”: Alberto Angela ricorda il suo rapimento avvenuto nel 2002. “Ho rischiato di essere ucciso”. Questa intervista la rilasciò tre anni fa, spiegando nei dettagli il calvario interminabile di quelle 15 ore al settimanale DiPiù. “Sono stato sequestrato e picchiato da criminali nel Niger. Ho temuto davvero di non rivedere più mia moglie”. Sono passati 21 anni, ad oggi, ma il ricordo è ancora fresco. In Niger è stato picchiato e rapinato insieme alla sua troupe, composta da sei operatori.
“15 ore da Arancia meccanica”
“Erano tre banditi, armati”. Poi il parallelismo con il celebre film di Stanley Kubrick: “Quindici ore da Arancia meccanica, da condannati a morte – raccontava, al rientro all’aeroporto di Fiumicino (Roma) – Siamo stati picchiati, minacciati, derubati di tutto: attrezzature, soldi, fedi nuziali, orologi, cellulari, bagagli. Sempre sul filo di una tortura psicologica”. Ma come è potuto accadere? Assicura di essere stato molto attento a non “sconfinare”, visto che “eravamo su un percorso ben noto, che ci era stato assicurato tranquillo, frequentato fino al giorno prima da turisti, tra Algeria e Niger”.
Il conduttore si trovava “appena in territorio nigerino, dopo una cinquantina di chilometri in pieno deserto”. All’improvviso, “si è materializzato un veicolo velocissimo da cui sono scesi tre individui”. Si capiva da subito che qualcosa sarebbe andato storto: avevano “turbante e occhiali da sole, kalashnikov e pistole alla mano”. Intimavano di “arrestarci”. Sebbene all’apparenza sembrassero militari, in realtà erano solo dei malviventi. Dal momento del rapimento, si sono seguite ore drammatiche, all’insegna della violenza: erano “sotto tiro”. Subivano: “Calci nel costato, pugni alla tempia, schiaffi a mano aperta per sfondarti i timpani, interrogatori con urla e violenze psicologiche, uno alla volta, senza capire cosa volessero. Prima ci chiedevano hashish, poi alcol, soldi, ci domandavano se fossimo spie. Giocavano con noi, terrorizzandoci”.
La liberazione
All’indomani mattina, il miracolo: “Siamo stati liberati”. Una liberazione alla quale non speravano neanche più. Questa è stata un’esperienza che “ti porta a fare un bilancio e a riflettere sul valore della vita, e ad amarla poi di più”.