In una lunga intervista a Walter Veltroni, l’ex fuoriclasse Roberto Baggio si racconta parlando del rigore sbagliato nella finale del 1994 e del suo infortunio
Roberto Baggio, uno dei più grandi interpreti del calcio moderno, italiano e mondiale, si racconta in una intervista fiume a Walter Veltroni per il Corriere della Sera, parlando di tutto, dal rigore sbagliato nella finale di Coppa del Mondo del 1994, persa contro il Brasile di Dunga, Romario e Bebeto, fino all’infortunio che ne ha compromesso la meravigliosa carriera. Nel fitto colloquio il “Divin Codino”, classe 1967, ha percorso ogni tappa sportiva, dalle gioie ai dolori.
E apre le danze con un tema molto attuale, almeno nel calcio italiano: la mancanza di veri numeri 10. “Sembrava che il calcio non avesse più bisogno di fantasia, che considerasse l’estro un reato. Tutto era finito in mano alla tattica. Le partite non le vincevano più i giocatori, le vincevano gli allenatori.” E precisa. “So solo che per me quel numero corrispondeva al desiderio di fare le giocate, di inventare, di sentirsi liberi.”
Ma la straordinaria carriera di Roberto Baggio, oltre a prodezze inimmaginabili, è costellata anche di infortuni, iniziati già nel 1985 con un orribile infortunio al ginocchio. A soli 18 anni. Uno stop che poteva costargli la permanenza nel mondo del calcio. Ma il campione si è rimboccato le maniche ed è andato avanti con quel ginocchio. Sei operazioni e numerosi infortuni vari non hanno mai impedito al numero 10 di continuare a deliziare il pubblico con le sue giocate.
Ma i difficili momenti dell’infortunio lo ricorda ancora benissimo. A distanza di decenni. “Era come se mi fosse scoppiato un ginocchio. Un dolore impensabile. Ci sono voluti due anni per tornare a giocare. Ma mi ha segnato per la vita. È stato un compagno fedele, non mi ha mai lasciato». Anche affrontare l’operazione non fu semplice: «Quando mi svegliai e vidi la mia gamba in quello stato dissi a mia madre che, se mi voleva bene, doveva ammazzarmi.”
Ma se il tema infortuni gli ricorda momenti difficili, c’è un episodio in particolare che per lui è un vero e proprio incubo: il rigore sbagliato contro il Brasile nella finale del 1994. “Cercavo un badile, mi volevo sotterrare, cazzo. Mamma mia, mamma mia. Non si possono cancellare cose così. Quella partita, proprio Italia-Brasile, l’avevo sognata e immaginata tante volte quando ero bambino. Avevo tre anni ma la sconfitta del 1970 non riuscivo a dimenticarla. Volevo vendicare Riva e gli altri. Era il mio sogno, davvero. E quando è finita così mi è crollato il mondo addosso.”
Poi da parte di Veltroni un’altra domanda scomoda, che stavolta non riguarda lui nello specifico. Ma riguarda comunque la nazionale: l’assenza della rappresentativa italiana ai Mondiali per due volte di seguito. “Una sensazione strana, alla quale non siamo abituati. Però a me sembra assurdo che una nazionale che ha vinto gli europei non sia ai mondiali di diritto. Avevamo vinto a Wembley, mica poco. Ora spero. Noi italiani siamo fatti così. Se ci attaccano, se ci mettono in discussione, diamo il meglio. Così fu nel 1982, nel 2006 e anche nel 1994. Abbiamo un orgoglio invidiabile. Non solo nel calcio, in tutti gli sport.”
Per finire c’è spazio anche per parlare dei suoi due anni in FIGC e del suo volontario allontanamento dal mondo del calcio. “Contavo meno del due di coppe quando regna bastoni. Avevo fatto un progetto per i giovani, ma le mie idee e le loro non combaciavano. Ne ho preso atto”.