Vincenzo Salemme sprizza “napolinità” da ogni poro: tiene perfettamente fede all’autenticità partenopea tifando la squadra della città, neanche a dirlo, il Napoli, mangiando la pizza e non ha mai lasciato la terra natia. “Quando mi incontrano in città, mi ringraziano di essere rimasto sotto il Vesuvio“. Stereotipi, è vero, sui quali però Salemme ci ha costruito degli spettacoli.
Primo fra tutti “E fuori nevica“, quando durante lo spettacolo viene fuori la battuta “Napoletano? E famme ‘na pizza“. Sul quale ci ha scritto un libro e ne ha ispirato anche lo spettacolo che lo vede in questi giorni impegnato in tour. Al momento Vincenzo è in una tournée partita da Milano e che sta culminando questi giorni a Roma, che è un po’ la sua seconda casa “abito sia nella capitale sia a Napoli“.
Tornando agli stereotipi, “se sei napoletano” dice “sei anche un po’ imbroglione“. Se non altro “per le conseguenze comiche di questo concetto“. Vincenzo ha raccontato un episodio sfortunato risalente a “qualche tempo fa” mentre era fuori città. “Quando l’ho detto ai miei amici mi sono sentito rispondere ‘ma come, ti sei fatto fregare. Che razza di napoletano sei’. Come se fosse un deterrente per i ladri“.
Vincenzo Salemme: Napoli è “garanzia di risate“
Pregiudizi che però esistono solo da alcune parti “a Milano, se dici di aver mangiato un buon risotto a Palermo, nessuno si offende“. Tuttavia “guai a dire che hai trovato una pizza buona a Roma” riferendosi alla sua Napoli, perché ti risponderebbero “ma fammi il piacere, la pizza è buona solo qui“. Per loro è come un “tradimento“.
Quando durante l’intervista gli viene fatto notare che si tratta di “campanilismo“, risponde “fino a un certo punto“. Perché “un napoletano che fa la pizza a Milano lo trovi” sebbene “nessuno ha aperto una risotteria a Napoli“. Ad ogni modo “amo il risotto. E stasera, con il brodo del bollito, me lo cucino alla milanese. Alla faccia della geografia, anche se nel mio caso conta“.
E conta perché quando viene presentato “in tv” o “a festival o rassegne“, “parte la dicitura per esteso ‘L’attore comico napoletano Vincenzo Salemme’“. Una circostanza unica “non accade per nessun’altra regionalità“. Presentarlo così è “come se fosse garanzia di risate assicurate“.
Eduardo De Filippo, il padre artistico di Vincenzo Salemme
Un po’ come diceva il suo padre artistico, Eduardo De Filippo, che lo ha artisticamente adottato, Napoli è “un palcoscenico a cielo aperto” e il “napoletano” “non può essere normale” in quanto “deve risultare simpatico, avere la battuta pronta“. Sì, anche “un po’ buffone“. Quel palcoscenico, “la nostra città” effettivamente “lo è“.
Restando sul discorso “figlio d’arte“, Eduardo “con me aveva la dolcezza di un nonno“. Vincenzo ha raccontato l’incontro in gioventù “non avevo ancora vent’anni” ed era “mingherlino“. Così magro che “si era convinto che soffrissi la fame“. De Filippo aveva 77 anni “ed era un mito“.
“Al primo passaggio in televisione mi fece dire qualche battuta, così dovettero darmi una paga da attore. E avrei avuto un pasto decente, secondo lui“. Tuttavia Vincenzo non era a questi livelli di povertà “fortunatamente“. Sebbene “a casa puntarono tutto sui miei fratelli“. La madre lo definiva “un randagio” e in quanto tale diceva “se la caverà“. Ed effettivamente “ha avuto ragione“.
Lui nutriva “una riverenza assoluta ma dolce” e a Eduardo “credo di essere piaciuto“, si mostrava “affettuoso e aveva molta fiducia“. Poi per carità, quello che si diceva era in parte vero, magari non cattivo ma “severo, questo sì“, tuttavia “gli ho voluto bene come se fosse stato il mio, di nonno“.
De Filippo era rigido nel lavoro “pretendeva impegno“. Nel descriverlo parla di “un uomo solo” e di quel tipo di “solitudine dei grandi“, perché sebbene avesse “Isabella Quarantotti, sposata quell’anno, e Luca” a volergli bene, era “uno di quelli destinati a restare soli” in quanto risulta “difficile stargli vicino senza essere condizionati dalla loro grandezza“.
“Ma pecché tenete paura ‘e me…”
Non è stato facile dividere il talento dai rapporti familiari per lui, Salemme lo descrive come una persona che “conviveva con il dolore” tanto che la voce “si spezzava continuamente“, aspetto che ne “sottolineava la sofferenza“. Conviveva con “tutte le interruzioni della vita“, compreso “il suo trauma più grande“: ovvero “la morte della figlia Luisella” a soli dodici anni.
Sebbene Vincenzo non abbia avuto “la gioia della paternità, purtroppo” riesce a “immaginare” cosa poteva provare per quel dolore che “non superò mai“. Dopo il fattaccio “si legò al teatro ancora di più“, così pure “dopo il ritiro dalle scene. Con disperazione“. Salemme poi passò con Luca De Filippo con quella che era una “compagnia di giovani” e “provavamo mille volte gli spettacoli“.
Poi arrivava Eduardo, zitto zitto, “silenziosissimo“. Eppure, sebbene la discrezione, quando si aggirava lui restavano tutti “impietriti“. Una volta se ne accorse “eravamo paralizzati“. Lui non si rendeva conto di essere “leggenda“, e quindi disse “Ma pecché tenete paura ‘e me…”.
Il teatro oggi dagli occhi di Vincenzo Salemme
Salemme ha conosciuto grandi registi che al momento di rivedere il loro film in sala “avrebbero voluto cambiare” alcuni aspetti. “Il teatro è profumi. Odori. Sapori“. Salemme è un attore comico e regista ma anche autore di molte e anche celebri commedie teatrali. Debuttò nel 1976 e si trasferì a Roma entrando a far parte della compagnia teatrale del padre artistico Eduardo De Filippo.
Dopo la morte di quest’ultimo passò molti anni sotto la direzione di Luca De Filippo e infine decise di mettersi in proprio fondando una compagnia. Salemme fece il boom nel 1998 con il film “L’amico del Cuore“, il primo da regista oltretutto. Vincenzo è anche scrittore. Ha scritto “La bomba di Maradona” nel 2018 e “Napoletano? E famme ‘na pizza!” di due anni dopo.
Sebbene gli viene fatto notare come quel mondo oggi sia probabilmente ormai “tramontato“, Salemme corregge ricordando che la sua Napoli è “una città in fermento” tuttavia non può non ammettere che oggi “molti giovani disertano i teatri e recitano sul web“. Il palco non attira, non quanti “ne vedo online“.
Sarà un segno dei tempi, avrà dato un’ampia mano la pandemia da Covid-19 ma “lo spettacolo dal vivo” resta sempre tutta “un’altra cosa“. Tuttavia a teatro ti puoi correggere. Dopo anni di esperienza ormai Vincenzo Salemme sa come si fa, ed è lo stesso pubblico a darne i segnali che un ottimo autore come lui sa cogliere.
“Quando tossisce” o se “si muove sulla poltrona” o il più chiaro dei segnali come uno sbadiglio o semplicemente “smette di seguire“, questo significa “che qualcosa va rivisto“. E i classici? “Con i testi di Salemme si può” ritoccare ugualmente, anche se sono i classici. “O meglio, io posso“, perché “le mie commedie non sono tipiche della tradizione napoletana“.
Le sue commedie, dice, “non valgono certo le opere di Eduardo” che tuttavia “non fanno recitare a me“. Di questo non ne è deluso perché “bisogna andare avanti” e non serve “fermarsi al passato” e poi “non aiuta autori né attori“. Infatti se si chiedesse agli artisti “di ancorarsi alle loro tradizioni“, non nascerebbe “mai niente di nuovo, e di buono“.
Dopo il virus è stato come un secondo debutto
“Ho il terrore di essere dimenticato“, dice quando gli chiedono cosa teme di più oggi. La pandemia ha scombussolato tanto, anche dentro di noi “ho debuttato a fine novembre a Orvieto dopo la pandemia” ha detto. Non appena il sipario è venuto su, “è scoppiato un applauso che mi ha commosso“.
“Mi è spuntata una lacrima” confessa. Ricorda che prima di tutto questo “alla fine di ogni spettacolo, salutavo dicendo ‘Noi artisti, senza voi pubblico, non esistiamo’“. Oggi, rientrando in scena, quello che pensa è diventato “chissà se si ricorderanno ancora di me…”.