“Voglio guardarti negli occhi e chiederti la verità. Voglio provare a cercare di capire perché e come sei arrivato a compiere un atto così terribile” – le parole della donna

Oggi, Pamela Mastropietro avrebbe compito 25 anni: ma la sua vita è stata spezzata in maniera atroce il 30 gennaio del 2018: quel giorno, un uomo di nome Innocent Oseghale la uccise, la fece a pezzi e rinchiuse i suoi resti in una valigia.
Il killer, all’epoca 29enne, è stato condannato all’ergastolo. La mamma di Pamela, la signora Alessandra, con un coraggio invidiabile, ha scritto all’assassino di sua figlia, chiedendogli un incontro.
Voglio incontrarti in carcere, guardarti negli occhi e chiederti la verità” – scrive in una lettera.

La lettera della mamma di Pamela

Alessandra Verni lo fa non per rabbia o desiderio di vendetta.
Secondo lei ed i suoi legali infatti, Oseghale non sarebbe l’unico responsabile dell’efferato omicidio.
E scrive: “La perdita di mia figlia, causata da te/ voi, ha lasciato una ferita enorme e Incolmabile nella mia vita. Le parole non possono descrivere il dolore e  l’ angoscia che provo ripensando a quello che ha subito Pamela da parte vostra”.

Inoltre, Alessandra ricorda un particolare ad Oseghale: “L’ultima tua lettera risale al 10 maggio 2023,  giorno in cui Stefano (il papà di Pamela) è volato in cielo dalla nostra bambina. Hai sempre ribadito il tuo pentimento, chiedendo il nostro perdono. Perdono, parola difficile da pronunciare e ancor più difficile da  praticare, soprattutto di fronte ad un crimine così atroce, disumano e demoniaco
Sento, però, che è arrivato il momento di affrontare questo dolore in modo costruttivo. Accetta questo regalo che, oggi, dal cielo ci donano. È una grande occasione, un’opportunità per entrambi”.

La mamma di Pamela Mastropietro: “Non cerco vendetta, ma verità”

“Per me un passo fondamentale nel mio percorso di crescita e guarigione nella ricerca di una pace interiore” – prosegue la donna nella lettera.
“Per te un modo per redimerti e capire l’enormità del dolore che hai causato e lavorare per cambiare, per fare qualcosa di buono nonostante tutto. Per questo motivo chiedo pubblicamente di incontrarti in carcere, luogo protetto. Voglio guardarti negli occhi e chiederti la verità. Voglio provare a cercare di capire perché e come sei arrivato a compiere un atto così terribile! Se fosse successo a tua figlia, cosa avresti fatto?”.

Ed ecco la speranza di Alessandra Verni: “Spero che da questo incontro possa emergere un barlume di umanità e di verità che possa portare ad una profonda riflessione. Sono consapevole che questo percorso è difficile e doloroso ma credo fermamente in questo incontro.
Non cerco vendetta ma verità, giustizia e Pace. Se è vero il tuo pentimento, approfitta della giustizia riparativa per richiedere un incontro con me” – conclude la mamma della 18enne. 

L’omicidio di Pamela Mastropietro

Violentata, uccisa, massacrata, fatta a pezzi e inserita in due trolley: il tutto in condizioni psico-fisiche deteriorate. Ma anche ombre, menzogne, versioni contrastanti, coinvolgimento di altre persone poi scagionate e una verità emersa a fatica: l’omicidio di Pamela Mastropietro è uno dei più casi discussi e controversi della recente storia della cronaca nera italiana.
Per comprendere esattamente come siano andate le cose, bisogna fare un passo indietro e analizzare nel dettaglio il passato della ragazza, che al momento della morte non ha ancora compiuto 19 anni.
Originaria di Roma, Pamela soffre di un disturbo di personalità borderline ed è dipendente dalle droghe.

Così, quand’è poco più che maggiorenne, si trasferisce nella comunità di recupero per tossicodipendenza di Corridonia, in provincia di Macerata. Seguita costantemente da uno psichiatra, la ragazza ammette di abusare di alcol dall’età di 12 anni. Ad appena 14 anni, inizia ad assumere droghe quotidianamente.
Poi, un giorno, esattamente il 19 gennaio del 2018, la giovane si allontana volontariamente dalla comunità: in cambio di un passaggio alla stazione, accetta di avere un rapporto sessuale con un tassista. Quella notte la trascorrerà in compagnia di quell’uomo, con cui andrà a letto.
Poi, il giorno successivo, Pamela ricasca nel suo incubo e si reca presso i giardini Diaz di Macerata, per procurarsi una dose di eroina. Sul suo percorso, incontra Innocent Oseghale, uno spacciatore nigeriano di 29 anni con un permesso di residenza scaduto e precedenti penali per spaccio di droga.

L’ultimo giorno di vita di Pamela

Insieme a Oseghale, c’è un altro malvivente, dal quale Pamela acquista una dose: si chiama Desmond Lucky e, in cambio della droga, riceve una catenina d’argento appartenente alla mamma della ragazza.
Da questo momento in poi, quello che è accaduto non è molto chiaro.
Nel corso del tempo, delle indagini e dei processi, ci sono state numerose versioni: ci limiteremo a riportare quella ufficiale degli inquirenti.
Dunque, Oseghale convince Pamela a salire nel suo appartamento di via Spalato, mentre Desmond Lucky rimane ai giardini. In questa casa, accade qualcosa di atroce.
Probabilmente in cambio di una dose d’eroina, lo spacciatore si scaglia contro la ragazza e la violenta. Pamela cerca di ribellarsi e minaccia di chiamare i carabinieri. A questo punto, Oseghale, in preda a un raptus di rabbia, la accoltella al fegato. Pamela sembra reagire, il nigeriano, però ha appena iniziato: così, la colpisce un’altra volta. Pamela muore a soli 18 anni.

Le telecamere inchiodano Oseghale

Ma la violenza, l’accanimento e la brutalità del nigeriano non finiscono qui: come confermerà l’autopsia, il corpo senza vita di Pamela viene lavato con della varechina, per cancellare ogni traccia.
Poi viene smembrato e fatto a pezzi “in modo scientifico“, come scrive il medico legale.
Il 29enne decide di chiudere quel che resta del cadavere di Pamela in due grandi trolley, che abbandona nella periferia di Pollenza. Quando quelle due valige vengono ritrovate, scattano le indagini.

A incastrare Innocent Oseghale sono le immagini delle videocamere di sorveglianza all’esterno di una farmacia di Macerata, che lo immortalano mentre pedina la ragazza. Quando i carabinieri perquisiscono la sua abitazione, trovano i vestiti di Pamela e diverse tracce di sangue.
Pochi giorni dopo il delitto, l’uomo viene arrestato con l’accusa di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere.

La difesa di Oseghale e gli altri indagati

Interrogato dagli inquirenti, Oseghale cambia versione più volte: tuttavia, nelle sue contraddizioni, ci sono due elementi che non ammetterà mai. Il primo, che non ha mai violentato Pamela. Il secondo, che non l’ha uccisa, ma che è morta di overdose. Ma l’autopsia smentisce il nigeriano: la morte è sopraggiunta a causa di due colpi di arma da punta e da taglio “penetrati alla base del torace a destra quando la vittima era ancora in vita“. Nel corso delle indagini, i sospetti si concentrano su altre tre persone: si tratta di tre pusher, connazionali di Oseghale. Il primo è proprio quel Desmond Lucky che ha venduto la dose a Pamela quel giorno. Il secondo si chiama Lucky Awelima: i due vengono arrestati, accusati anch’essi di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere. C’è poi un quarto spacciatore coinvolto nell’orribile delitto, che però verrà solamente indagato a piede libero.


Tuttavia, le accuse nei confronti dei tre ragazzi nigeriani cadranno ben presto: alcune perizie eseguite dai Ris e gli accertamenti sui cellulari escludono la presenza dei tre nell’appartamento di Via Spalato.
Lucky e Aweilma non hanno a che fare con la morte di Pamela: in ogni caso, vengono condannati a scontare una pena di 4 anni e 8 mesi per spaccio di eroina.


Dunque, gli inquirenti si concentrano maggiormente sulla figura di Oseghale per comprendere le modalità dell’omicidio. Inoltre, vogliono capire se ha abusato o meno di Pamela. Sono convinti che la violenza è avvenuta: sospetto confermato da alcune frasi intercettate nel carcere di Ancona, dove Lucky e Awelima parlano di un invito a casa da parte di Oseghale per “stuprare una ragazza che dormiva“.
Nel giugno del 2018, quattro mesi dopo la morte di Pamela Mastropietro, si chiudono le indagini a carico del 29enne nigeriano.

Il processo e il supertestimone

Il processo nei confronti di Innocent Oseghale inizia il 13 febbraio del 2019, quando l’imputato compare davanti ai giudici con un processo ordinario. In precedenza, il gip aveva respinto la richiesta di rito abbreviato presentata dagli avvocati del nigeriano.
Acrobata della menzogna“, Oseghale continua a ribadire la sua versione: ha “solo” fatto a pezzi Pamela, ma non l’ha né violentata, né tantomeno uccisa. In tribunale, attraverso una lettera, chiede scusa ai familiari della ragazza. “Scuse inutili, di cui non me ne faccio nulla” – dirà Alessandra Verni, la madre di Pamela.

La versione del supertestimone

Nel marzo del 2019, nella seconda udienza, ecco che spunta un supertestimone, un pentito e compagno di cella del pusher nigeriano.
Si chiama Vincenzo Marino, è un ex ‘ndranghetista ed è diventato un collaboratore di giustizia.
Le sue parole risulteranno decisive ai fini della condanna del 29enne.
Secondo il pentito crotonese, Innocent incontrò Pamela ai giardini Diaz di Macerata, prima di portarla nella mansarda di Via Spalato per consumare una dose di eroina. Approfittando dell’effetto della droga sulla ragazza, che versava in pessime condizioni, ne approfittò per avere un rapporto sessuale. Pamela reagì e Oseghale la accoltellò.


Questa la versione di Marino, che aggiunge.
Innocent mi disse che, quando iniziò a tagliare il suo corpo, la ragazza ebbe un fremito, fece un movimento“: dunque, Pamela, dopo la prima coltellata, era ancora viva.
Una versione inattendibile secondo la difesa del pusher, smentita però anche dal suo “collega” nigeriano, Lucky Awelima, che agli inquirenti riferisce di aver telefonato il suo amico e di aver sentito in sottofondo una ragazza che piangeva e si disperava.

L’ennesima versione di Oseghale e la condanna

Non ho ucciso io Pamela, lo dico davanti ai suoi familiari. Pamela è morta quando ero fuori casa per vendere una dose di marijuana a un amico che mi aveva contattato. Si è sentita male perché si era iniettata una dose di eroina ed è caduta a terra. Ho provato a farla riprendere e sono uscito da casa. Quando sono rientrato non respirava più, era già morta. Voglio pagare per quello che ho fatto veramente” – con queste parole, Innocent Oseghale continua a professare la sua innocenza.
Ma “Pamela è morta dissanguata, non ricevendo alcun tipo di soccorso e Oseghale ha cercato di nascondere le prove della sua responsabilità in vari modi, eliminando tutto il sangue e lavando tutto con la varechina“, evidenzia in aula il sostituto procuratore Stefania Ciccioli.


In base alle prove raccolte, alle tracce di sangue, all’autopsia sul corpo di Pamela, alle testimonianze degli altri pusher e del pentito compagno di cella, il 29 maggio del 2019 i giudici condannano Innocent Oseghale alla pena dell’ergastolo per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Pamela Mastropietro.
La violenza sessuale viene assorbita dalle aggravanti. Inoltre, per 18 mesi, l’assassino deve rimanere in isolamento diurno. La condanna ricalca in pieno la richiesta dell’accusa, che ha chiesto per Oseghale il massimo della pena.


Condanna all’ergastolo confermata in tutti e tre i gradi di giudizio.
Ha agito da solo, senza l’aiuto di nessuno: si è approfittato della fragilità di Pamela, delle sue condizioni deteriorate e l’ha uccisa, forse perché si sentiva minacciato. L’ha fatta a pezzi e l’ha messa in due valigie. Un delitto cruento, sanguinoso, malvagio.

La storia di Pamela è una lezione per un’intera generazione

Quella di Pamela è la storia di una generazione di ragazze interrotte nella spensieratezza della loro adolescenza: ragazze che nel bisogno di colmare un vuoto, hanno scoperto il mondo della droga e molto spesso ne hanno subito la violenza, il buio dei vicoli e le compagnie malfamate, perdendo il rispetto per se stesse e per il proprio corpo. La lotta alla tossicodipendenza va rafforzata e l’impegno deve partire dall’alto, dalle istituzioni, attraverso campagne a sostegno dei giovani, per spingerli a stravolgere i propri stili di vita.

Ragazzi che devono essere ascoltati, compresi, presi per mano e aiutati: la vita è un dono prezioso; le droghe, soprattutto quelle pesanti, sono in grado di rovinarla.
Macchiano la reputazione, compromettono le facoltà cognitive, uccidono giorno dopo giorno: entrare nel vortice è semplice, per uscirne, però, c’è bisogno di aiuto, di forza di volontà e di comprensione.
La speranza è che la vicenda di Pamela sia un monito per tanti giovani, affinché la sua morte non sia “inutile”: l’augurio è che da questa tragedia, tante persone possano comprendere che su questa terra siamo solo di passaggio. E che non si può gettare un’intera esistenza al vento: per rispetto di noi stessi e per le persone che ci amano. 

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