Si chiama Gianluca Molinaro l’uomo che ha ucciso a fucilate in strada la sua ex, Manuela Petrangeli. I fatti sono avvenuti intorno alle 14:00 di giovedì 4 luglio, in via Portuense a Roma. Il 53enne, tra l’altro, negli istanti successivi al femminicidio ha tentato la fuga e avrebbe chiamato un’altra sua ex, con cui ha una figlia. Sarebbe stata proprio la donna a convincere l’uomo a costituirsi, anziché ammazzarsi.

La ex che ha convinto il killer a costituirsi

Gianluca Molinaro mi ha telefonato poco dopo le 14:00, dicendomi di aver ucciso Manuela. Quando ho capito ho pensato di essere finita in un incubo”. È Debora Notari a parlare, ex del killer di Manuela Petrangeli. Anche lei, come la vittima, aveva avuto una relazione finita male con l’uomo. “L’ho convinto io a venire dai carabinieri, lui voleva ammazzarsi. Ma ora non so che fare, mia figlia non sa niente, con lui aveva rapporti non buoni, ma un conto è un padre st**nzo che non paga gli alimenti, un altro un padre assassino”.

Quando ha squillato il telefono e ho visto che era lui, ho creduto avesse discusso con nostra figlia. Anche noi avevamo pessimi rapporti, lo denunciai per maltrattamenti quando nostra figlia andava alle elementari, mi picchiava e lo feci arrestare”. Gianluca Molinari, invece, aveva appena ucciso la fisioterapista 51enne e in quel momento viaggiava in auto in stato confusionale, con il fucile sul sedile del passeggero.

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La chiamata di Gianluca Molinaro poco dopo aver ucciso Manuela Petrangeli

La donna, infine, ripercorre gli istanti in cui le è giunta la telefonata del killer Gianluca Molinaro, che aveva appena ucciso Emanuela Petrangeli. “Ho risposto e lui era ubriaco, biascicava. Mi ha detto che aveva sparato, che l’aveva uccisa. Non capivo, non ci volevo credere. Non riuscivo ad alzarmi. Quindi gli ho chiesto dove fosse, ha detto che era in macchina a Selva Candida, che voleva ammazzarsi. Ma io sapevo che non lo avrebbe mai fatto. A quel punto ho fatto quello che avrebbero fatto tutti: gli ho detto di andare dai carabinieri, che tutto si sarebbe risolto, che tanto lo avrebbero preso e che sarei andata a trovarlo con nostra figlia, anche se non lo pensavo”.

Non so nemmeno come ho fatto a convincerlo, ma ci sono riuscita. L’ho tenuto al telefono per tutto il tempo, fino a quando non è arrivato dai carabinieri e mi ha chiesto ‘Che ci faccio col fucile?’. Voleva portarselo dietro. Gli ho detto di lasciarlo in macchina e ho attaccato solo quando mi ha passato un carabiniere e ho capito che ce l’avevo fatta». «Mi tremavano le gambe. Potevo esserci io lì, ho pensato. Forse la famiglia di lei aveva sottovalutato il suo passato. Adesso riesco solo a pensare a quella povera creatura rimasta sola”.

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