Il killer di Giulia Cecchetin, il suo ex fidanzato Filippo Turetta, ripercorre davanti al pm di Venezia gli ultimi istanti prima di uccidere la giovane di Vigonovo
Nel corso dell’interrogatorio davanti al pubblico ministero di Venezia, Filippo Turetta, ripercorre gli ultimi orribili istanti di vita della 22enne Giulia Cecchettin, uccisa da lui l’11 dicembre scorso. Le parole dell’assassino sono come un pugno allo stomaco: i regali rifiutati, la rabbia che è salita in lui quando capì di aver perso il suo “amore”. E poi il coltello che affonda mentre lei grida implorando aiuto e pietà. Tentando allo stesso tempo di difendersi parando i fendenti.
Il giovane, nel carcere di Verona, ricostruisce passo per passo il brutale omicidio della laureanda di Ingegneria biomedica di Vigonovo. A cominciare dalla serata a fare shopping in un vicino centro commerciale e la cena all’interno di esso, a Marghera. Poi il ritorno in auto che viene fermata in un parcheggio isolato, a poco meno di 150 metri da casa della vittima.
“Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava ‘sentendo’ con un altro ragazzo.” Afferma nel verbale di inizio dicembre diffuso da ‘Quarto grado’.
Quindi il diverbio sfocia nella violenza. “Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando ‘Sei matto, vaffan**lo, lasciami in pace’.” Riferisce il giovane al pubblico ministero. “Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava ‘aiuto’ ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore.” Le stesse grida che saranno percepite da un testimone ma che non basteranno a salvare la povera Giulia.
Così Turetta si mette al volante dell’auto e guida per circa cinque chilometri, ovvero dal parcheggio di via Aldo Moro a Vigonovo fino a un luogo più discreto e isolato. “Mentre eravamo in macchina lei ha iniziato a dirmi ‘cosa stai facendo? sei pazzo? Lasciami andare’. Era sdraiata sul sedile, poi si è messa seduta. Si toccava la testa. All’inizio pensavo solo a guidare. Poi ho iniziato a strattonarla e tenerla ferma con un braccio. C’eravamo fermati in mezzo alla strada, ho provato a metterle lo scotch sulla bocca, non mi ricordo se se l’è tolto o è caduto da solo perché non l’avevo messo bene. Si dimenava. È scesa e ha iniziato a correre. Anch’io sono sceso.”
Un tentativo di salvarsi la vita ripreso in parte da una delle telecamere di videosorveglianza, che preannuncia il drammatico finale. “Avevo due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l’avevo lasciato cadere a Vigonovo. Ho preso l’altro e l’ho rincorsa. Non so se l’ho spinta o è inciampata. Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia.”
Stando all’autopsia, Giulia Cecchettin ha subito 75 coltellate ed è morta per shock emorragico provocato dal colpo al capo. “Mi ricordo che era rivolta all’insù, verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio. Giulia era come se non ci fosse più. L’ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti. Avevo i vestiti abbastanza sporchi del suo sangue.”
Un epilogo che poteva concludersi anche con il suicidio del killer, in due diverse circostanze. La prima lungo la strada per il lago di Barcis, dove abbandona il cadavere di Giulia. “Mi sono fermato in un punto in cui non c’erano case e sono rimasto un po’ lì. Ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi, però anche dopo averlo legato con lo scotch non sono riuscito e l’ho strappato all’ultimo. Allora ho preso lei e sono andato a nasconderla.” Poi la decisione di scappare in Germania. In una fuga che termina a Lipsia, dopo sette giorni.
“Avevo un pacchetto di patatine in macchina e una scatolina con qualche biscotto. Non ho mai comprato nulla da mangiare. I soldi che avevo li ho spesi per i rifornimenti di benzina. Volevo togliermi la vita con un coltello che avevo comprato, ma non ci sono riuscito. Pensavo che se avessi fumato e bevuto sambuca sarebbe stato più facile suicidarmi, ma invece ho vomitato in macchina.”
Quindi la resa quando legge online le notizie che riguardano lei e la sua ex fidanzata. “Ho riacceso il telefono. Cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi, ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ciò ha avuto l’effetto opposto. Mi sono rassegnato a non suicidarmi più e ad essere arrestato.”
La Procura di Venezia, dunque, contesta a Turetta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e legame affettivo. Oltre ai reati di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Inoltre, nella chiusura dell’indagine, risulta che l’omicida spiava e seguiva la vittima con un’applicazione sul suo smartphone. E che avrebbe poi studiato il femminicidio dall’inizio del mese di novembre.
