Scontro in aula tra accusa e difesa: “Lei cresciuta nell’incuria e nell’abbandono”. La risposta: “Prove di colpevolezza granitiche”
Inizia in aula a Milano la requisitoria di Alessia Pontenani, avvocatessa di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio aggravato della figlia Diana, morta di stenti a soli 18 mesi. «Alessia Pifferi non voleva uccidere la bambina. Ha avuto una vita terribile, è cresciuta nell’incuria e nell’abbandono», afferma l’avvocatessa Pontenani, chiedendo l’assoluzione della sua assistita.
Dall’altra parte, Emanuele De Mitri, avvocato di parte civile, sostiene con fermezza la colpevolezza di Pifferi. «Alessia Pifferi è colpevole dell’omicidio della piccola Diana, sapeva benissimo che abbandonando la figlia in quel modo ne avrebbe provocato la morte», afferma De Mitri. «Ci troviamo di fronte a una condotta di natura volontaria, a un caso agghiacciante in cui la responsabilità è chiara a seguito di granitiche prove, mai scalfite dagli esiti dell’istruttoria. In questo processo c’è solo una verità».
Chiesta l’assoluzione per Alessia Pifferi
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Secondo l’accusa, Pifferi avrebbe deciso autonomamente di lasciare la figlia in casa, mentendo al compagno e ai familiari su dove fosse la bambina. «Non ci sono anomalie comportamentali, non ci sono anomalie che possono inficiare l’istinto materno», aggiunge De Mitri, sottolineando che in aula non c’è stato un solo elemento a favore di Pifferi.
L’avvocato De Mitri conclude la sua requisitoria chiedendo di non concedere le attenuanti generiche a Pifferi e di liquidare 200mila euro per la madre dell’imputata e 150mila euro per la sorella come danno d’immagine. «È stata una donna presuntuosa, è stata una donna lussuriosa che ha seguito l’appetito del corpo. Non c’è nessuna responsabilità dei familiari, Maria e Viviana mai avrebbero potuto pensare che Alessia Pifferi abbandonasse la figlia», conclude De Mitri.
L’avvocato ha chiesto infine di non concedere le attenuanti generiche e di liquidare 200mila euro per la madre dell’imputata e 150mila euro per la sorella come danno d’immagine (o 100mila euro ciascuna come provvisionale) per una famiglia che è «già attinta dall’ergastolo del dolore».