La madre ha tentato di prendersi la colpa: “Alla guida c’ero io”. Ma la sua versione è caduta in fretta
Lo scorso 9 febbraio Emanuele Catananzi è stato travolto e ucciso da un suv, una Bmw X4 M Competition. Inizialmente ad addossarsi la colpa è stata una donna di 46 anni, sostenendo di essere lei alla guida del veicolo. Una versione smentita presto da inquirenti e testimoni. Ed è emersa infine la verità: quel suv non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Il veicolo, un bestione da 510 cavalli, era infatti guidato da D. Cecconi, 18 anni, ancora senza patente. La madre lo aveva noleggiato due giorni prima. Il ragazzo ha preso le chiavi ed è uscito a fare un giro, inconsapevole forse del rischio che stava correndo. Poi, il dramma.
Travolto e ucciso da un suv: “Ero io alla guida”, ma stava tentando di coprire il figlio
D. imbocca via dell’Archeologia a Tor Bella Monaca. Infila una curva a velocità troppo elevata, secondo quanto riportano gli inquirenti. Perde il controllo del mezzo, sbanda, finisce sul marciapiede. Nello scontro resta coinvolto Catananzi, che muore. Nell’immediatezza del fatto la madre, accorsa sul luogo dell’incidente, si era addossata la colpa. “Ero io alla guida”, aveva detto agli investigatori. La sua versione, però, è caduta in fretta, smentita dai testimoni della scena.
Il ragazzo ora dovrà rispondere di omicidio stradale. Ma la madre, da questa storia, uscirà senza alcun processo: l’accusa di favoreggiamento infatti non esiste se si è parenti di primo grado dell’autore del reato.