La 27enne Valeria Fioravanti era morta il 10 gennaio scorso dopo un lungo calvario di ricoveri e diagnosi sbagliate

Secondo la perizia, la morte di Valeria Fioravanti è avvenuta a causa di una meningite. Ma nessun medico lo aveva capito. La 27enne, infatti, era deceduta lo scorso 10 gennaio a Roma, dopo un lungo ed estenuante calvario di ricoveri, in cui le avevano somministrato antidolorifici convinti che si trattasse di mal di testa e mal di schiena. La giovane lasciava una bimba di appena 13 mesi.

Tutto iniziò a Natale, il 25 dicembre, con un piccolo intervento per la rimozione di un ascesso. Dopo due giorni, però, la 27enne tornò in ospedale per via di un’infezione alla ferita, ma il personale la mandò subito a casa. Da qui ebbe inizio un susseguirsi di tentativi per farsi curare i dolori che venivano erroneamente scambiati per normali mal di testa o mal di schiena. Fino al peggioramento dei sintomi quando il 5 gennaio i medici iniziarono a sospettare che quella di Valeria fosse proprio meningite.

La perizia del medico legale

Come riportato da La Repubblica di Roma, la perizia del medico legale ora chiarisce ogni dubbio. Valeria Fioravanti è morta per una meningite. Malattia non riscontrata nei sette ricoveri al pronto soccorso o nelle quattro visite in diversi ospedali. Ma a portare alla prematura scomparsa della giovane madre sarebbero stati due gravi errori commessi dal personale medico. Il primo quando al policlinico Casilino gli fu diagnosticata “una cefalea causata da un movimento incongruo compiuto mentre si lavava i capelli”.

Ancor più grave il secondo errore, una settimana dopo, al San Giovanni Addolorata, dove fa stabilito che avesse una lombosciatalgia. A peggiorare le cose ci fu il farmaco che le fu prescritto, il Toradol, che annullò praticamente ogni sorta di dolore, permettendo, tuttavia, alla meningite di continuare ad avanzare.

Ora i tre sanitari che assistettero la 27enne, sbagliando la diagnosi e prescrivendole anitinfiammatori, rischiano il processo con l’accusa di omicidio colposo.

Continua a leggere su Chronist.it