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“Sei stato tu a farlo a pezzi” “Sì, ma non volevo”: la surreale conversazione tra gli assassini di Mahmoud

Nella chiamata registrata, tramessa dalla Rai regionale, si sente uno dei due uomini al telefono dire: “Sei stato tu ad ammazzarlo e a farlo a pezzi…”. A questo punto l’interlocutore risponde “Sì, ma non volevo.

A parlare sono due persone: uno è il principale accusato del tremendo omicidio di Mahmoud Sayed Abdalla, il 19enne trovato senza testa e senza mani sulle spiagge tra Santa Margherita Ligure e Chiavari; l’altro è invece il fratello del secondo accusato, che ha registrato la telefonata per cercare di scagionarlo dalle accuse.

A quanto risulta dalle indagini degli ultimi giorni, l’omicidio sarebbe stato commesso perché Mahmoud aveva intenzione di dimettersi. Il motivo: guadagnare di più per inviare più soldi alla sua famiglia.

Il ragazzo viveva nel retrobottega del salone di parrucchieri gestito da Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto “Tito“, 26 anni, e dal fratello di Mohamed Ali Abdelghani Ali, 27, detto “Bob”: i due temevano che, andando a lavorare per la concorrenza, Mahmoud avrebbe potuto sottrarre clienti alla loro attività.

La registrazione

Nella telefonata resa pubblica, il fratello di “Bob” chiama “Tito” dall’Egitto accusandolo di essere lui l’autore del brutale omicidio. A questo punto il killer pronuncia la frase che ha provocato un enorme sgomento: è vero, è stato lui, ma non voleva.

Il fratello di “Bob” si chiama Abdelghani Aly ed è tra i gestori dei due negozi di Sestri Ponente e Chiavari chiamati “Aly Barbe Shop”: durante la telefonata parla anche della lite da cui è scaturito il delitto e della brutalità con cui è avvenuto. Tito ammette di essere il responsabile, sì, ma giura che non voleva arrivare a quel punto: secondo la ricostruzione avrebbe colpito Mahmoud al cuore con un punteruolo, per poi trasportare il cadavere in una valigia a Chiavari, mutilandolo e infine gettandolo in mare.

Bob e Tito si trovano in carcere da domenica sera, quando Tito si è preso la responsabilità dell’omicidio.

La Procura ha chiesto per loro misure cautelari in carcere, a causa della loro pericolosità sociale e di un rischio più che concreto: l’inquinamento delle prove e la fuga nel loro Paese, l’Egitto.

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