Alessandra Verni con una t-shirt del cadavere fatto a pezzi della figlia Pamela Mastropietro in aula di tribunale. È così che si è presentata la donna oggi a Perugia per l’appello bis a Innocent Oseghale per il reato di violenza sessuale. “Dopo cinque anni ancora a discutere se merita l’ergastolo o no – ha detto – Pamela muore ogni santo giorno mentre lui se ne sta tranquillo in carcere. Ecco come l’ha ridotta”.

Dopo l’udienza odierna, rinviata al prossimo 22 febbraio, Oseghale ha tuonato: “Basta oppressione giudiziaria”, mentre veniva allontanato dalla polizia penitenziaria. Alessandra Verni si è improvvisamente scagliata contro il nigeriano, sono stati momenti tesi al punto che è stato necessario l’intervento de poliziotti e dei carabinieri presenti. “Dimmi che vuoi”, gli urlava la donna.

“Pamela è stata violentata, è stata uccisa, è stata bastonata in testa, è stata torturata, è stata fatta a pezzi – così Alessandra Verni con le foto della figlia in mano – Mi aspetto adesso che lo Stato, la giustizia, le Procure facciano il loro dovere perché non si può permettere che dei carnefici girino a piede libero in una città, in Italia, perché nel nostro Paese questo non può essere accettato”.

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Pamela Mastropietro: storia, morte, processo, genitori, autopsia, tassista italiano; la ricostruzione

La giovane, appena 18enne all’epoca dei fatti, soffriva di un disturbo di personalità borderline e faceva uso di droghe, di cui era dipendente. Il 18 ottobre di cinque anni fa si trasferì in una comunità di recupero in provincia di Macerata. La giovane aveva dichiarato di consumare alcol dall’età di 12 anni e di aver iniziato con altre droghe dai 14. Il 29 gennaio del 2018 fuggì dalla comunità e, in cambio di un rapporto sessuale, si fece accompagnare da un uomo alla stazione di Corridonia-Mogliano.

Invece di prendere il treno che l’avrebbe riportata a casa, però, Pamela Mastropietro accettò di farsi offrire un passaggio da un tassista locale con il quale consumò un rapporto sessuale. Passata la notte, e dopo aver dormito a casa dell’uomo, l’indomani mattina si recò ai giardini Diaz di Macerata per procurarsi la droga. Quella mattina conobbe Oseghale, pusher nigeriano. Tra il 30 e il 31 gennaio, un passante notò due valigie abbandonate in un fossato nei pressi di una villetta di Via dell’Industria.

Poi la macabra scoperta: dentro le stesse vi era il corpo mutilato della giovane. Le indagini portarono a Innocent Oseghale, grazie al ritrovo dei vestiti macchiati del sangue della vittima in casa propria. L’uomo era stato mandato via da un programma di assistenza ai rifugiati, era in Italia dal 2014. Il nigeriano, con un permesso di residenza scaduto e precedenti per spaccio di droga, fu arrestato con i reati contestati di omicidio e violenza sessuale, occultamento e distruzione del cadavere.

Processo

Il processo si è tenuto alla presenza di Vincenzo Marino, ex boss ‘ndranghetista, compagno di cella di Oseghale. Marino riferì che l’omicida gli avrebbe confessato in cella di aver accoltellato la 18enne per poi tagliarne il corpo, partendo da una gamba. Il tutto mentre Pamela era ancora viva. Secondo il nigeriano, la giovane era già morta per un’overdose di eroina e, sebbene condannato all’ergastolo e a 18 mesi d’isolamento, condanna confermata dalla Corte d’Assise d’Appello del tribunale di Ancona, l’uomo continua a dichiararsi innocente. Secondo la sua versione il rapporto fu consenziente.

I genitori di Pamela: Stefano Mastropietro e l’ex moglie Alessandra Verni

Durante il processo era emerso che il corpo della vittima sarebbe stato lavato con varechina per cancellare tracce biologiche. Dopo il ricorso presentato dalla difesa contro la sentenza del 2020, la prima sezione penale della Cassazione ha parzialmente accolto la richiesta. L’uomo è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio della giovane ma non di violenza sessuale. Per queste ragioni ci sarà un processo d’appello bis. I genitori della vittima sono Stefano Mastropietro e l’ex moglie Alessandra Verni.

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