“Abbiamo paura ad andare all’ospedale a trovare nostro figlio”: parla Fatima Omerovich, la mamma di Hasib, il 37enne sordomuto dalla nascita che il 25 luglio scorso è precipitato giù dalla finestra durante un controllo della polizia nell’appartamento popolare a Primavalle in cui viveva. Il ragazzo, in stato di coma vigile dopo essere volato giù dalla finestra, versa in gravissime condizioni da 50 giorni. La famiglia ha presentato un esposto alla procura di Roma che ha aperto un’indagine

“Hasib amava la vita, non si sarebbe mai buttato da solo dalla finestra. Vogliamo sapere cosa è successo”. La donna ha rilasciato queste parole a “Repubblica”.

L’estratto di Repubblica

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Hasib: chi è, cosa è successo il 25 luglio, il racconto della madre Fatima Omerovic

Il racconto al quotidiano Repubblica: “Io, mio marito e mia figlia Erika siamo usciti di casa alle 10,30 per andare a portare la macchina dal meccanico. In casa c’erano solo Hasib che badava alla sorella Sonita che ha 32 anni, ma è affetta da un ritardo mentale. Alle 13,15 ci ha chiamati la vicina di casa e ci ha detto di correre perché Hasib aveva avuto un problema. Poi ci ha passato gli agenti, loro ci hanno detto che Hasib era caduto ed era stato portato in ospedale con un braccio rotto. Così siamo corsi al palazzo”.

Cosa avete visto?
Erika: “Appena siamo arrivati abbiamo incontrato due poliziotti in borghese all’ingresso del palazzo, quando siamo arrivati alla porta di casa abbiamo visto una poliziotta che stava uscendo dall’appartamento per ultima, aveva ancora i guanti in lattice. Ci hanno detto che erano entrati in casa per controllare i documenti di Hasib, che la porta della sua camera era già aperta e che lui si era buttato. Ma Hasib non ha mai tentato gesti del genere in vita sua”.

Quando avete capito che quella versione non quadrava?
Fatima: “Appena sono entrata in casa mia figlia Sonita mi è corsa incontro e mi ha abbracciata. Mi ha portata in camera da letto e mi ha detto che mio figlio era stato picchiato, preso a calci, pugni, a bastonate e che poi i poliziotti l’avevano preso per i piedi e lanciato dalla finestra. Mi ha fatto vedere il manico della scopa spezzato e con cui ha visto che l’hanno percosso. La porta della camera da letto era sfondata, il termosifone divelto dal muro”.

Come si sono svolti i fatti, secondo la vostra versione?
Erika: “Mia sorella mi ha ricostruito tutto, mimando ogni cosa. Mi ha detto che avevano suonato dei poliziotti, che mio fratello aveva aperto la porta di casa e che loro sono entrati, erano quattro, in borghese. Tre uomini hanno chiesto i documenti ad Hasib e l’hanno portato in camera da letto, mentre mia sorella è rimasta in salone con la poliziotta donna, che ha abbassato la tapparella, l’ha fatta sedere sul divano e le ha detto di stare buona li”.

Poi cosa è successo?
Erika: “Sonita ricorda che a un certo punto si sono sentiti degli strilli, la poliziotta si è alzata dal salone per andare a vedere cosa stesse succedendo e mia sorella l’ha seguita. Ha visto quei tre che pestavano Hasib. Lui era in terra e loro lo prendevano a calci, pugni, a bastonate con manico di scopa. Poi ha visto che l’hanno preso per i piedi e l’hanno buttato giù dalla finestra”.

Come sta adesso suo figlio?
Fatima: “Lo hanno portato al Gemelli, gli hanno fatto giù due interventi di chirurgia maxillo facciale. È vivo per miracolo. Ha avuto una emorragia interna ed è politraumatizzato”.

Si dice che nel quartiere ce l’avessero con lui perché molestava le ragazze e che qualcuno avesse pubblicato perfino un post su Facebook scrivendo che bisognava dargli una lezione.
Erika: “Noi di questa cosa non sapevamo nulla, nessuno nel palazzo ci aveva mai riferito una cosa del genere. Solo il 27 o il 28 ci hanno girato il post che una residente aveva pubblicato sul gruppo di quartiere ‘Primavalle’, ha scritto che mio fratello meritava una lezione. Il giorno prima, il titolare del bar sotto casa mi aveva fermata e mi aveva chiesto se il 25, alle 21 avessi potuto portare mio fratello al bar e fare da traduttrice, perché giravano delle brutte voci su di lui. Mi ha detto che dava fastidio alle donne e che bisognava chiarire la faccenda prima che le cose si fossero complicate. Mi ha detto: “Mi dispiace se poi lo mandano all’ospedale””.

L’ha rivisto quest’uomo?
Erika: “Si il 25 quando sono andata a dirgli quello che era successo mi ha risposto: “Putroppo abbiamo fatto tardi, hanno fatto il lavoro sporco”.

Il giorno stesso siete andati in ospedale?
Fatima: “Quando siamo andati al Gemelli il medico ci ha ricevuti e ci ha detto che la situazione era molto grave, che mio figlio era in coma e che bisognava aspettare 48 ore per capire se sarebbe sopravvissuto”.

Avete ripreso i suoi effetti personali.
Erika: “Si. Ci hanno consegnato un sacchetto con dei vestiti, che però non sono i suoi. Lui quel giorno indossava dei pantaloni i lunghi di una tuta arrotolati fino alle ginocchia e delle scarpe nere. Loro ci hanno dato dei pantaloncini corti marroni e delle scarpe nere ma con la striscia bianca. Sono abiti diversi, sporchi anche quelli”.

Siete andati a chiedere spiegazioni alla polizia?
MehmedAlija: “Siamo andati al commissariato di Primavalle, non ci hanno mai ricevuto negli uffici. Abbiamo parlato con due agenti nel cortile, che ci hanno detto solo che avevano fatto loro l’intervento in casa per identificare mio figlio, perché c’erano state delle segnalazioni e volevano fare delle verifiche. Ho chiesto loro se avessero un mandato di perquisizione o delle denunce, mi hanno risposto espressamente di no. Senza spiegare null’altro”.

Quando vi siete accorti delle tracce di sangue in camera?
Fatima: “Il 27 è venuta a casa mia sorella, abbiamo messo a posto la stanza di mio figlio. Abbiamo preso le lenzuola per fare il bucato e ci siamo accorte che erano intrise di sangue”.

Perché avete deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto a quasi un mese di distanza?
Fatima: “Perché dopo quello che è successo abbiamo paura di vivere a Primavalle. Chiediamo al Comune di assegnarci una casa in un altro quartiere, per noi lì e diventato troppo pericoloso. Tanto che ci siamo già trasferiti a casa di alcuni parenti. Adesso vogliamo sapere la verità, vogliamo giustia per nostro figlio”.

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