Il 22 dicembre del 1970 il cinema dà alla luce una delle pellicole più acclamate e iconiche divenuta un cult ed entrata di diritto tra gli immortali della storia della cinematografia. “Lo chiamavano Trinità…” è uno di quei film che si tramandano di generazione in generazione senza mutare mai l’effetto-presa sullo spettatore. Nonostante Bud Spencer e Terence Hill erano già sulla cresta dell’onda dopo la trilogia di western con il regista Giuseppe Colizzi, il duo da questo momento diventa indivisibile: la coppia assume ormai un’unica identità.

Di quale genere di cinema parliamo? Esiste un genere che identifichi Bud e Terence? Western, comico, commedia quello che vogliamo: se c’è un film loro, noi diciamo: “Guardiamo Bud e Terence“. Lo chiamavano Trinità...è una parodia degli “spaghetti western“, definiti anche “fagioli western“, in una versione che ne ricalca fedelmente lo stile a parte una virata netta sulla violenza: le armi qui sono i cazzotti!

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Come nasce l’idea del film, come si sviluppa e con quali risultati.

Tutti i produttori bollano il copione. “Dialoghi assurdi” e “Non ci sono morti? No, grazie“.

Questo film e il sequel dell’anno successivo, “…continuavano a chiamarlo Trinità“, consacrano presto la nuova coppia del cinema. Il duo comico collabora per la prima volta con il regista di E. B. Clucher, pseudonimo di Enzo Barboni. Da questo momento si traccia una linea. Sebbene si tratti di una linea non prevista, inaspettata. Anzi, si brancola nel buio. E non solo perché il copione non piace a nessuno, anche il genere western è ormai fiacco e ha poca presa in Italia. Prima di “Lo chiamavano Trinità…” il western è un genere fallimentare nel Belpaese. C’è chi dice che il film di “Trinità” lo abbia rilanciato. E chi pensa che questi due film (Trinità e il sequel l’anno seguente) abbiano dato allo stesso il colpo di grazia, tra questi Sergio Leone. Perché tutto è tranne che un puro western, perlopiù una parodia. Un qualcosa sicuramente di innovativo nell’ambito cinematografico italiano.

Inoltre Enzo Barboni viene da un solo film da regista, passato in sordina. Enzo prima di essere un regista è un ottimo direttore della fotografia e operatore di macchina. Ed è proprio durante le riprese dell’ennesimo western che cova questa idea. Come rivelato da Terence Hill, lo fermava sul set dicendogli: “Ehi ho idee su questo film...”. L’attore ha ricordato un Enzo veramente desideroso e stimolato a girare, è chiaro che nella sua testa da visionario la lampadina si sia accesa. Durante la sua carriera ha questa idea ispirandosi al genere che spopola in quegli anni, specialmente all’estero: spaghetti-western ma “all’italiana“, un qualcosa di mai visto da noi. In particolar modo se consideriamo che a differenza delle pellicole sul genere, stavolta il tema è contornato da gag, comicità, scazzottate e soprattutto non ci sono morti. Un’accozzaglia di motivi che spiegano la bocciatura di Leone.

Un western in Italia e che faccia ridere? No, grazie. Questa visione inizialmente gioca contro l’idea del regista perché non si trovano produttori che apprezzino il copione. “Non ci sono morti“, oppure “cosa sono questi dialoghi“. Tuttavia il film si fa grazie al fiuto di Italo Zingarelli: gli piace, ci scommette su, ci crede! Il produttore è già noto per alcune pellicole del genere western e viene rapito dal progetto. È lo stesso Italo a suggerire al regista lo pseudonimo di E. B. Clucher, secondo la sua visione in grado di riscuotere maggiore appeal e interesse nel mercato straniero. Il resto è storia.

Il successo del film: gli incassi, i record, gli omaggi e le citazioni mondiali

La pellicola ottiene uno straordinario successo diventando presto il film italiano più visto nelle sale. Deterrà il record per ben 16 anni. Il film arriverà a incassare 3 miliardi di lire che oggi corrisponderebbero a quasi 20 volte quel valore. A livello di incassi, nella stagione 1970/1971, è secondo solo a “Per grazia ricevuta” di Nino Manfredi, toccando quota 9 milioni di spettatori.

Sebbene non si tratti di una prima TV, nel 1988 il film tiene incollati 11 milioni di spettatori dinanzi al proprio televisore quando viene trasmesso dalle emittenti. Le VHS del film vengono distribuite nel 1989 e tre anni dopo (a 22 anni di distanza dall’uscita sul grande schermo) diviene una delle 10 videocassette più vendute della storia del cinema in Italia.

Il film viene distribuito in moltissime nazioni e il duo cinematografico ottiene uno straordinario successo anche fuori dal nostro Paese. “Lo chiamavano Trinità…” spopolò negli Stati Uniti (la coppia viene soprannominata “Trinity Boys“) e in special modo in Germania, nazione che apprezza i due attori e particolarmente il film. In Germania si trova il museo ufficiale dedicato a Bud Spencer.

Tanti gli omaggi verso la pellicola, anche non espliciti. Come nel caso di altri film, ma anche fumetti, cartoni animati o videogiochi. Dynabyte sviluppa il “game” “Tequila & Boom Boom” che Sacis pubblica nel 1995. Il videogioco tratta le avventure della lince Tequila e dell’orso Boom Boom, parodie rispettivamente di Trinità e Bambino.

Nella serie animata “44 gatti” troviamo due felini nei panni di Buddy e Derence. Aldilà dell’assonanza nei nomi, entrambi omaggiano anche nell’aspetto il duo comico.

Il cast: Bud e Terence non sono previsti nei ruoli che conosciamo e saranno solo l’ultima opzione

Sapete che il ruolo di Trinità è stato proposto a Franco Nero? L’attore è noto e affermato ma già impegnato sul set di “Camelot” nei panni di Lancillotto. Nero è anche il protagonista del film originale di Django per la regia di Sergio Corbucci. L’impegno già preso non è l’unico motivo del rifiuto. Indovinate? Il copione è “strano“. Sì, anche lui.

La parte era stata ideata per altri attori e non il duo comico storico che conosciamo. Tra questi anche Luigi Montefiori (in arte George Eastman) e Pietro Martellanza (in arte Peter Martell). Il ruolo di Bambino in origine non era neanche previsto! Alla fine è lo stesso Zingarelli a spingere per Bud e Terence i quali si propongono in cerca di lavoro.

Dovete sapere che anche se il duo si consacra in “Lo chiamavano Trinità...”, come abbiamo visto, Bud e Terence hanno già recitato insieme per la regia di Colizzi. Al tempo il regista è dovuto scendere a patti con Bud. Pedersoli pesa160 kg e la sua stazza è perfetta per l’idea di Colizzi. Tuttavia Bud chiede 2 milioni di lire perché deve pagare due cambiali. Il regista si trova così costretto ad accettare dopo aver cercato senza successo dei sostituti per la parte. In seguito si unisce al cast Hill. Questa coincidenza ha fatto approcciare per la prima volta sul set il duo comico.

La scena dei fagioli e gli allenamenti di Terence Hill

Mario Girotti, in arte Terence Hill, e i fagioli. “Lo chiamavano Trinità…” e i fagioli. Accostamenti indimenticabili. Girotti è tornato a raccontarci gli aneddoti sulla scena lo scorso anno in occasione della riproposizione del film proprio in una delle location dove venne girato. Siamo a Campo Imperatore da Fonte Cerreto, L’Aquila. “Li mangiai in quantità” perché erano preparati “come dicevo io“. Niente pancetta, “altrimenti non ce l’avrei fatta“, ma “tanto peperoncino perché ti invoglia a continuare a mangiare“. Per la scena l’attore digiunò 24 ore ma si dice che erano anche 48 o 36. Ad ogni modo un atto eroico.

Sulla scena in cui viene versata una spropositata quantità di vino in un bicchiere, molti hanno spesso creduto che ci fosse un contenitore posizionato sotto il tavolo ma non è la verità. Semplicemente Girotti ha rivelato che nella bottiglia c’era l’esatta quantità del vino versato nel bicchiere.

Un altro aneddoto sul personaggio di Terence Hill è l’allenamento in vista del film, prendendo a schiaffi una colonna in casa. Al tempo sua moglie dovette “sopportare” le follie del digiuno e di questi particolari allenamenti del neo marito, non senza perplessità come lui stesso ha confessato.

Gli omaggi musicali alla colonna sonora del cantante e pianista italiano Annibale Giannarelli che strizza l’occhio a Ennio Morricone in “Lo chiamavano Trinità“.

Anche Tarantino omaggia “Lo chiamavano Trinità” in “Django Unchained” con una piccola modifica al testo

Tra le varie citazioni immancabile il finale di “Django Unchained” da parte del regista Quentin Tarantino che omaggia il film di Bud e Terence riproponendo lo storico motivetto colonna sonora del film, Trinity. Nella frase in cui il testo dice “You may think he’s a sleepy tired guy“, che tradotto vuol dire “Potresti pensare che sia un ragazzo assonnato e stanco“, avviene un’esplosione. Il suono è stato montato in fase di post produzione audio perché la frase originale non rispecchiava il personaggio di Django.

Il motivo musicale è diventato una icona mondiale. Trinity, di Franco Micalizzi e Lally Stott con il “fischiettio” di Alessandro Alessandroni e la voce di Annibale Giannarelli, riscuote successo ovunque. Proprio Micalizzi raccontò un aneddoto del passato durante una vacanza verso la Sardegna. La linea telefonica era assente durante il percorso del traghetto ma una volta tornata Franco poté apprezzare quello che definì “un tripudio di Trinity” nelle varie suonerie dei telefoni una volta recuperata la ricezione. Alessandroni era conosciuto come “il fischiatore“, aveva già lavorato con Sergio Leone ed era già ben noto per la colonna sonora de “La Trilogia del Dollaro“.

Le location del film e il legame ancora vivo tra Campo Imperatore e “Lo chiamavano Trinità…”. Nel 2021 Terence Hill è tornato sul posto raccontandoci nuovi aneddoti

Lo chiamavano Trinità…” è stato girato prevalentemente al confine tra il Lazio e l’Abruzzo. Tra queste zone una delle più note è quella di Campo Imperatore da Fonte Cerreto, altopiano del Gran Sasso. L’obiettivo del regista era di trovare una location “casereccia“. Nella stessa zona sono stati girati molti film famosi, tra questi “Il deserto dei Tartari” con Vittorio Gassman e “Così è la vita” di Aldo, Giovanni e Giacomo. Tra le location di “Trinità” anche alcuni ambienti spagnoli, nei pressi di Almeria, ambientazioni già apparse in altri film dedicati agli “spaghetti western“.

Proprio a Campo Imperatore Terence Hill è tornato un anno fa per omaggiare “Lo chiamavano Trinità…” alla sua “ennesima” visione, come lo stesso Girotti ha detto. Microfono in mano è stato subito un ricordo meraviglioso tornato attuale come non mai. Ha parlato di Barboni: “Il regista e scrittore” che al tempo “era un direttore della fotografia” il quale “aveva ideato e scritto questo film“. “Io giravo un western di quelli tradizionali e lui era operatore della macchina“, ha proseguito. Barboni lo avvicinava dicendogli: “Ehi c’ho sto film“, e gliene raccontava i dettagli. “Il copione girava ma nessuno voleva farlo”. Il motivo lo abbiamo visto: “Non ci sono morti, troppo dialogo“. Dunque “no, grazie“.

L’attore ha ricordato il provvidenziale intuito di Italo Zingarelli che sposò l’idea del rischio. A lui “questo ‘strano’ film piaceva“. “In realtà io e Bud eravamo già nel suo ufficio” ha detto Girotti. Infatti, nonostante l’idea di Barboni era quella di avere altri attori, Italo andò deciso sulla sua coppia. “Il produttore ci presentò il copione che a noi piacque ma fu un rischio perché non sapevamo come sarebbe stato accolto“.

Durante la serata il pubblico ha posto alcune domande. Alla domanda sulla sua amicizia con Bud, l’attore ha detto subito: “Praticamente fratelli“. Un legame “fortissimo“, in quel tipo di lavoro “ci divertivamo anche nell’essere bambini“. Da lì il ricordo del famoso “colpo del piccione“. “Dovevamo fare una scena” con un “colpo di grazia“. Un colpo finale che mettesse fine al combattimento. Il pugno a martello perpendicolare alla testa del malcapitato fu invenzione di Bud, appunto il famoso “colpo del piccione“.

Eravamo lì da mezzora“, ha detto ricordando come sul set non avevano più idee. “Le abbiamo già fatte tutte“. Il pugno così, o così. Improvvisamente irrompe Bud e dice: “Io lo do così”. Risate del pubblico. Da lì il problema dell’incassatore del colpo: come avrebbe attutito il pugno? Girotti spiegava le dinamiche: uno schiaffo ti sposta lateralmente, mentre un pugno dritto ti butta all’indietro. “E il colpo alla Bud?” E ancora giù di risate.

Poi il momento della famosa “slitta“. Girotti ha ricordato che l’idea gli venne grazie all’ispirazione a Stanlio e Olio, “ne ero appassionato“. L’attore ha quindi detto che è nata 30 anni indietro l’idea. Tuttavia dovete sapere che quella che Terence Hill chiama slitta è in realtà una “treggia“, un oggetto che ha una storia millenaria. Geniale l’idea del film di inserirla, ma non originale.

Pensate che questo era un mezzo di trasporto che storicamente anticipava le ruote, specialmente per trainare carichi pesanti. La treggia era usata in tante parti del mondo prima che incombesse la ruota. Non era usanza esclusiva dei nativi americani che vivevano tra le Pianure del Nord. Lo scopo dell’oggetto era di trascinare carichi attraverso la spinta dei cavalli o dei cani. Secondo studi archeologici l’oggetto risale a circa 5000 anni fa.

Chiude la serata con la domanda di una figura storica per il set del film. Gianni Facci, una comparsa che collaborò con il set per “portare i cavalli“. Girotti risponde: “Ti ringrazio anche perché quel cavallo non si capisce, quando ero in posa sulla slitta bastava che facessi un ‘click’ con la bocca e partiva“. Gianni ha ricordato con emozione quei giorni, al tempo era un set continuo la zona. “Prendevamo i cavalli che li portavano da Assergi e noi li portavamo sul set” ha detto Gianni. Un ricordo anche sulla quantità di fagioli “mamma mia, sempre gli stessi fagioli“. Davanti a tanto pubblico, Terence Hill ha salutato tutti con gioia per “aver rivisto l’ennesima volta questo film insieme“. Intramontabile.