In un’intervista coraggiosa e lucidissima, il noto giornalista ex inviato di guerra ha raccontato la sua esperienza

Franco Di Mare, il noto giornalista ex inviato di guerra per conto della Rai e conduttore, ha recentemente condiviso la sua battaglia contro un nemico implacabile: il mesotelioma, un tumore temibile. In una serie di interviste – al Corriere della Sera e ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa – Di Mare ha raccontato la sua esperienza, la sua lotta e la consapevolezza della malattia.

Il giornalista, attaccato a un respiratore, ha spiegato come il tubicino collegato al suo naso gli consenta di respirare grazie a una bombola di ossigeno. «Prima mi aiutava solo di notte, ma da una decina di giorni non posso più separarmene», ha rivelato. La diagnosi è stata inizialmente sconvolgente: «Houston, abbiamo un problema», gli disse il professore. «Hai un mesotelioma. Aggressivo». La consapevolezza del suo tumore è assoluta: «Non se ne va, al massimo lo puoi rallentare, ma resta lì ed è uno dei più cattivi».

La scoperta del mesotelioma avvenne tre anni fa, quando una fitta terribile gli esplose tra le scapole. «Credevo fosse un dolore intercostale. Invece era il collasso della pleura, uno pneumotorace». Dopo 20 giorni, i controlli al Gemelli rivelarono la gravità della situazione. «Mi hanno sottoposto a delle prove sotto sforzo. Dopo una sono svenuto. Di corsa in sala raggi per una radiografia. Al posto del polmone destro c’era il nulla. Era collassato insieme alla pleura, la pellicola che lo avvolge». La decorticazione, dice, «mi ha regalato due anni di vita. Poi però, sei mesi fa, c’è stata una recidiva. Si è presentata allo stesso modo. Una fitta acutissima. Stavolta a sinistra. Respiro con un terzo della capacità polmonare».

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Franco Di Mare, cos’è il mesotelioma: la scoperta

La malattia, presumibilmente conseguenza della sua lunga carriera nei campi di battaglia dei Balcani, lo ha costretto a una nuova prospettiva sulla vita. «Perché a me?», si è chiesto. La risposta sembra essere legata a quella polvere micidiale: «Ne bastava una particella. Seimila volte più leggera di un capello. Magari l’ho incontrata proprio a Sarajevo, nel luglio del 1992, la mia prima missione».

La sua mobilità è fortemente ridotta, ma trova gioia nelle piccole cose: i ricordi della cucina di sua madre, le cene con gli amici e soprattutto la relazione con Giulia, che lo accompagna nei passi finali. «Ci fissiamo sempre col primo amore – il mio, al liceo, fu una ballerina del San Carlo – ma il più importante è l’ultimo, che ti accompagna nei passi finali. Per me è Giulia. Stiamo insieme da otto anni. Tra noi ce ne sono più di 30 di differenza, prima si notava meno».

Affronta il futuro con serenità, consapevole che il tempo è limitato: «Non ho paura. Mi spaventa l’idea della sofferenza, però sono andato a una dozzina di funerali di colleghi più giovani di me. E sono vivo per miracolo». Dopo la diagnosi, Di Mare ha chiesto alla Rai lo stato di servizio, cioè un elenco delle missioni fatte, per supportare il suo caso medico. Ma, ha raccontato, la sua richiesta è stata ignorata.

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