Nel loro ricorso al Tar del Lazio, i legali di Chiara Ferragni passano al contrattacco e fanno ricorso sostenendo che la multa dell’Antitrust sul caso pandori è “sproporzionata rispetto alla gravità e alla durata della condotta”

In merito al pandoro-gate, dopo Balocco anche Chiara Ferragni e i propri legali passano al contrattacco, facendo ricorso e impugnando il provvedimento dell’Antitrust. Gli stessi, infatti, reputano che il milione di euro di multa sia “una cifra sproporzionata alla gravità e alla durata della condotta” e che il provvedimento sia addirittura “illegittimo per difetto d’istruttoria e di motivazione.”

Le due società riconducibili all’influencer e imprenditrice digitale, Tbs Crew e Fenice, hanno dunque fatto ricorso al Tar contro il provvedimento. Cercando di smontare la tesi dell’Antitrust. “In nessun caso è stato rappresentato che l’acquirente avrebbe partecipato alla donazione con il suo acquisto.” Si legge nella nota. “E che la differenza di prezzo tra l’edizione limitata del pandoro ‘Pink Christmas’ e il pandoro tradizionale Balocco sarebbe stata destinata a tale iniziativa benefica.”

Un modo quantomeno evidente per far vedere a tutti che né lei né il suo staff hanno più intenzione di incassare colpi da ogni direzione. Che sia l’Agcom o la Procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per truffa aggravata.

Chiara Ferragni e i suoi legali Fabio Cintioli e Giorgio Fraccastoro, “hanno presentato il ricorso davanti al Tar del Lazio. Per impugnare il provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, richiedendone l’annullamento integrale perché considerato illegittimo.” Entrando nel particolare, gli avvocati hanno eccepito “molteplici vizi dell’atto, in termini di difetti di istruttoria, carenza di motivazione ed altre violazioni di legge.”

“Provvedimento illegittimo”

Quindi il provvedimento dell’Antitrust nei confronti della società dell’imprenditrice digitale sarebbe prima di tutto “illegittimo per difetto d’istruttoria e di motivazione.” Come si rivela al Tar del Lazio. Sempre secondo i legali “non c’è stata una attenta ponderazione del contratto di licenza, che disciplinava la donazione in oggetto quale obbligazione contrattuale convenzionalmente posta a carico di Balocco”. Oltretutto, per i ricorrenti non è stata “esaminata la clausola contrattuale che disciplinava il collegamento tra le vendite e la donazione (al Regina Margherita di Torino, ndr) che ha costruito l’ingannevolezza della pratica senza minimamente interrogarsi sugli obblighi contrattuali che intercorrevano effettivamente tra le parti.”

Per di più, gli avvocati contestano la “ingannevolezza” della pratica commerciale chiarendo che “il contratto stipulato tra Fenice e Balocco prevedeva espressamente una correlazione tra le vendite e la donazione. Senza, però, affermare che quest’ultima dovesse essere proporzionale alle vendite. Ed aveva inserito la donazione nell’ambito di una operazione commerciale che evidentemente proprio alle vendite puntava e dalle stesse era nel suo complesso alimentata.” Infine, per i ricorrenti non è stato considerato un dettaglio fondamentale: ovvero “l’appeal del marchio ‘Ferragni’ sul proprio target di consumatori.” Sarebbe perciò stata chiaramente sottovalutata la possibilità che “la scelta dei consumatori di acquistare il pandoro ‘griffato’ era trainata esclusivamente dalla forza del brand.”

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