Gli ultimi giorni di vita di Alberto Re, l’organizzatore di Agrigento che si è tolto la vita dopo il flop a teatro

La famiglia non ci sta, non doveva andare così: Alberto Re, imprenditore noto ad Agrigento, si è tolto la vita per “l’odio dei social”. Lo urlano i parenti stretti della vittima di questa gogna mediatica. Natalia, la figlia, è quella che lo grida a squarciagola: “Mio padre è stato vittima dell’odio social”. La storia del 78enne che si è ucciso con un colpo di pistola dopo il flop a teatro, con i conseguenti sfottò dei cittadini del luogo, sta toccando l’Italia intera, perché manifesta ancora una volta non tanto il cattivo utilizzo dei social, ma l’animo buio, terribile e bullo dell’essere umano.

A volte basta un solo commento per cominciare il pubblico ludibrio. Quello che fanno i social è semplicemente far emergere il concetto al massimo, amplificandolo: a spese e vantaggi dei singoli. Tuttavia, quando va bene, l’illusione diventa una ‘droga’ temporanea destinata a crollare in assenza di contenuti; quando va male, purtroppo, può succedere anche questo. Perché con il social è come essere in piazza, alla presenza di chiunque: con questi mezzi di interazione ci vuole poco per informare tutti i conoscenti dei successi e degli insucessi personali. Quando si è noti, è ancora più semplice arrivare a chiunque, anche senza fornire il proprio consenso.

“Ucciso dall’odio dei social”: la concomitanza con Ucraina-Italia

Il teatro Pirandello è stato l’anticamera dell’atroce idea di Alberto di fuggire da quell’incubo, che non poteva più sopportare. Il dolore, dopo una vita spesa per la reputazione professionale, costruita con il sudore della fronte. Lunedì scorso i fatti: era in corso la partita di calcio più importante dell’ultimo biennio, quella che ci avrebbe portati da Nazionale italiana agli Europei, oltretutto in qualità di detentori del titolo. La partita, Ucraina-Italia, era un ostacolo insormontabile.

Purtroppo il teatro è rimasto vuoto, sono cominciati gli sfottò, protratti, reiterati e perpetrati per giorni, fin quando l’imprenditore non ha inviato un messaggio ad un amico, l’ultimo, prima di compiere l’estremo gesto. Alberto ha afferrato la pistola e si è ucciso in casa. L’amico ha fatto in tempo solo ad allertare i soccorsi, che non sarebbero mai potuti arrivare in tempo: l’organizzatore aveva già deciso e compiuto il tutto.

Non era morto sul colpo il pover’uomo, ma dopo un giorno di ricovero: ha esalato l’ultimo respiro presso il reparto di Rianimazione del San Giovanni di Dio, dove era ricoverato da ventiquattr’ore. Non solo il messaggio all’amico, i poliziotti hanno trovato una lettera d’addio. Alberto Re era un organizzatore di eventi e avrebbe collaborato alla 43esima edizione del Festival del Paladino d’Oro ad Agrigento.

“Alberto Re non sapeva decifrare il linguaggio social”

La famiglia: “Alberto voleva contribuire ad elevare il dibattito culturale della sua amata Agrigento, non gli è stato concesso, sui social viaggiano sentenze di condanna senza nemmeno il capo di imputazione – scrivono i parenti, addolorati -. Si apra una riflessione su quello che è accaduto, lo si deve ad Alberto, perché mai più ci si possa trovare di fronte alla tempesta senza vestiti. Perché mai più ci si scaraventi contro un uomo con tale veemenza”.

I social erano “un linguaggio che non sapeva decifrare”, sostiene la figlia Natalia. Ha compiuto l’estremo gesto temendo di non poter più rimediare per “recuperare la credibilità messa in discussione”. Oggi si terrà il funerale dell’uomo: “È cruciale evitare il ripetersi di simili vicende, la critica politica e giornalistica legittima ha superato i confini dell’umanità. Tutti coloro che ricoprono ruoli amministrativi devono impegnarsi a prevenire simili disonori”, conclude la famiglia Re.

Aperta un’inchiesta

Adesso la Procura di Agrigento vuole vederci chiaro sulla vicenda e per questa ragione è stata aperta un’inchiesta: si cercherà di capire se v’è stata istigazione al suicidio. Inoltre, con la lettera d’addio sequestrata dai militari, si ottengono elementi chiari e precisi sulle ragioni del gesto e vi sono riferimenti espliciti alle polemiche social e dei giornalisti, reiterate per giorni, accompagnate dagli sfottò social, che minavano quanto di buono costruito dopo una vita di lavoro.

La critica aveva messo nel mirino “l’incapacità organizzativa” e, soprattutto, “i costi della manifestazione”, che per molti rappresentavano “uno spreco”. Al dolore dei familiari si è aggiunto quello del primo cittadino Francesco Micciché: “Alberto non ce l’ha fatta. Sono profondamente addolorato, se ne va un grande amico, un galantuomo, un uomo perbene. Porterò con me il ricordo di un uomo appassionato, amante del bello e della cultura ed innamorato della sua città”.

Continua a leggere su Chronist.it