Raphael Dwamena, il calciatore morto qualche giorno fa, era già crollato in campo ma il defibrillatore sottocutaneo gli aveva salvato la vita

Il drammatico epilogo del calciatore 28enne Raphael Dwamena, morto dopo essere collassato in campo, poteva essere evitato se avesse tenuto il defibrillatore sottocutaneo. L’attaccante ghanese aveva infatti deciso di rimuovere, circa un anno fa, il defibrillatore impiantatogli nel 2020 a causa di un’aritmia maligna, che lo aveva portato al collasso in campo già due volte. E in entrambi i casi l’apparecchio gli aveva salvato la vita.

Tuttavia, secondo lui, era stato proprio il defibrillatore a causare i suoi seri problemi cardiaci. Dunque la decisione che per il ragazzo si è rivelata fatale: togliersi il dispositivo dal petto. Il problema cardiaco fu scoperto quando nel 2017 giocava nello Zurigo. Gli inglesi del Brighton si interessarono a lui e lo acquistarono ma non superò le visite mediche proprio a causa della sua aritmia maligna.

Il problema non era stato scoperto dallo staff medico dello Zurigo che lo aveva fatto continuare a giocare. “Per noi è un giocatore idoneo.” Disse il direttore sportivo del team svizzero. Anche in Spagna, quando il ragazzo fu prelevato nel 2018 dal Levante, non venne fuori nulla.

La scoperta della cardiopatia strutturale

Solo nel 2019 quando militava nel Saragozza, e dopo più accurati esami, venne scoperta la sua grave cardiopatia strutturale. I medici spagnoli, infatti, gli consigliarono il ritiro immediato dal mondo del calcio. A meno che, come unica soluzione per continuare a giocare, non si fosse fatto impiantare un defibrillatore sottocutaneo. Nel 2020, dunque, Raphael Dwamena si sottopose all’inserimento di un ICD che gli ha permesso di essere ancora un calciatore professionista. In sostanza lo stesso tipo di dispositivo impiantato nel torace di Eriksen in seguito al collasso avuto durante una partita degli Europei di due anni fa.

Il motivo della rimozione del defibrillatore lo spiegò lo stesso Dwamena lo scorso anno, dopo che aveva accusato due collassi, causati secondo lui dal dispositivo stesso. Nonostante i tentativi da parte dei medici di convincerlo che era stato proprio l’ICD a salvarlo, il 28 calciatore ghanese si decise a rimuoverlo dal petto.

Le suppliche della famiglia e degli amici

Facendolo, però, firmò una clausola in cui venivano esonerati i medici da qualsiasi rischio. Anche di morte. E causato da un futuro incidente cardiaco. Famiglia, amici e compagni di squadra lo avevano pregato di riflettere attentamente, di non prendere decisioni avventate. Ma lui fu irremovibile. In quel frangente spiegò la sua scelta, manifestando tutta la sua fede nella religione.

“Sono stato visitato da tanti medici, tutti dicono qualcosa di diverso. Rispetto le loro opinioni, le diagnosi. Ma non le prendo sul serio, a volte mi viene da ridere. Solo uno può dirmi quando è il momento di fermarmi: il Signore”.

E qualche giorno fa la disgrazia, mentre giocava con la sua attuale squadra, l’Egnatia Rrogozhine, formazione della Seria A albanese.

Continua a leggere su Chronist.it