Sono passati quasi 30 anni quando dava l’addio alla band degli 883: “Non c’era astio, non c’è stato nessuno screzio con Max. Volevo solo avere un’altra storia, un altro posto, un altro bar”, per parafrasare lo stesso brano che gli fece capire che quella esperienza era finita. “Quando ho sentito l’attacco del brano “Gli Anni” ho capito che dovevo andar via dagli 883”. Sono le confessioni del compositore, rilasciate a “Non è un paese per giovani”, il radioprogramma di Radio 2, condotto da MassimO Cervelli e Tommaso Labate.

L’ex ballerino francese naturalizzato italiano, ha scritto un libro dove ha raccontato la sua sparizione e l’attraversata dell’Oceano per raggiungere gli Stati Uniti. “Ho seguito il fiume in piena dei miei sogni, avevo voglia di fare delle cose a New York e a Los Angeles, ci ho provato”. Sempre una donna, come capitò per Riccardo Fogli, il quale lo ha dichiarato ufficialmente di recente, sebbene sembri ritrattare un “tantino” di intervista in intervista. Ma oggi si parla di 883. Di Repetto per la verità, perché da quasi tre decenni ormai sono due “mondi” scissi. “Ho ricominciato da zero”. Ed è tornato in Europa, scegliendo la Francia. Prima da animatore a Disneyland Paris, poi “come cowboy a Frotierland, la parte del parco dedicata al Far West”.

Tante malelingue hanno sparlato in questi anni, molte cose dette sul suo conto non sono reali: “Ci tengo a dire che non mi sono mai vestito da Pippo”. Poi successe qualcosa: “Il vicepresidente del parco di Eurodisney, che era italiano, mi ha riconosciuto e mi ha trasferito nel dipartimento “spettacolo” del più grande parco di divertimenti d’Europa. Ho avuto fortuna”. Infine, sul futuro? “Ho sempre amato perdermi negli occhi di Max..”. Ma “il tempo passa/ e nessuno indietro lo riporterà/ neppure noi…”.

Ma, scherzi a parte, nel suo libro scritto con Massimo Cotto, giornalista, e pubblicato da Mondadori, approfondisce quel periodo negli States. Fece un disco, “Zucchero filato nero”, poi sparì dalle scene. Il libro si chiama “Non ho ucciso l’uomo ragno”.

In un’altra intervista, ha detto:

“Ma io allora non avevo altra possibilità che seguire quello che era scritto sul palmo della mia mano, una linea che mi portava a Los Angeles, una linea che mi portava a cercare di conquistare, conoscere o frequentare questa Brandi, la ragazza più bella del mondo ai miei occhi in quel momento. Ma perché non dovevo andare a conoscerla durante la settimana della moda a Miami? Così semplicemente ho detto a Max: “io vado a Miami e non so se torno”, ma perché era una cosa che veramente provavo dentro e perché non farla? Poi chiaramente anche se non son riuscito a… a farmela (ride), quello che volevo fare l’ho fatto, questo sogno non si è concretizzato, basta, pazienza! Ho gareggiato e ho perso e fa niente. Una volta che poi dall’America sono tornato in Europa, a Parigi, avevo proprio la necessità di ripartire da zero, volevo proprio essere nella penombra tenace della metropolitana parigina con dietro dei poster e l’umanità che entra ed esce da un vagone, volevo trovare gli occhi di una ragazza che non sapesse chi fossi, incrociarla in un vagone e innamorarmi”.

E su Disneyland:

“Mia madre lavorava all’ufficio provinciale del lavoro di Pavia quindi riceveva delle offerte di lavoro da Disneyland Paris che cercava italiani che andassero là a lavorare. Mia madre ci ha sempre tenuto che mi laureassi, e mi son laureato, che avessi un lavoro fisso e l’ho trovato; sono andato al colloquio alla Walt Disney Company, non ho detto assolutamente che avevo fatto musica e mi hanno preso subito. All’inizio ero un cowboy e poi un marinaio su un battello che si chiamava Mark Twain sul fiume Mississippi nel Far West, fantasie Disney, quindi ho ricominciato da zero senza che nessuno sapesse che ero una pop star. Poi chiaramente alcuni italiani mi hanno riconosciuto, il vice presidente del parco poi era un italiano che mi ha preso e mi ha messo al posto che ricopro ora, Event Executive, organizzo eventi da milioni di dollari e niente, mi sono ritrovato con un lavoro serio e, come dicono in Francia, avevo adottato lo stile métro-boulot-dodo (metropolitana, lavoro e dormire) e mi andava benissimo. Avevo iniziato da zero una nuova vita, avevo una passione che era stare tranquillo, lavorare e avere un divano di casa mia dove guardare le partite”.

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