Un detenuto pakistano si è risvegliato a dicembre 2022 dopo essere ‘scivolato’ in un sonno profondo ad agosto 2021: ha dormito per oltre un anno
Ve lo ricordate il detenuto pakistano di 28 anni detenuto nel carcere di Napoli risvegliatosi a dicembre 2022 dopo aver dormito sin dall’inizio dell’Agosto 2021? Un anno e 4 mesi di sonno, un caso che ha suscitato grande clamore mediatico. Era in stato catatonico, incapace di rispondere a qualsiasi impulso esterno, non reagiva agli stimoli ed era attaccato alle flebo. All’apparenza non vi era alcuna causa organica. Spostato in varie carceri, alla fine si è svegliato dopo 15 giorni di ricovero al Cardarelli di Napoli.
Definito dalle malelingue come “il simulatore”, il giovane è stato difeso dall’Associazione Antigone, che si occupa di difendere i diritti e le garanzie del sistema penale: “Chi sarebbe capace di simulare una morte apparente per tutto questo tempo?”. Il ragazzo fu arrestato un mese prima di finire nel sonno profondo. L’avvocato, Donato Vertone, lo vide cosciente e sveglio per l’ultima volta durante l’udienza di convalida del fermo, con l’accusa di abusi sessuali. Avvenne tutto in videoconferenza. “Il mio assistito veniva collegato in video conferenza sulla barella e attaccato alla flebo, ma dormiva. Ho chiesto la sospensione del processo ma la domanda mi è stata rigettata, il Tribunale ha disposto due perizie, psichiatrica e medico legale, da parte di due medici che hanno concluso con una diagnosi che si chiama sindrome di Ganser. Lo hanno ritenuto un simulatore”.
La sindrome di Ganser
Dietro a tutto ciò c’è una spiegazione, ovviamente. Si tratta della sindrome di Ganser. Una sindrome psichica denominata anche psicosi carceraria o pseudodemenza isterica: questo stato mimerebbe una malattia mentale. Dopo la denuncia, in molti si sono interessati al caso, ovviamente anche le università straniere come l’University College London, e ne è scaturito che il detenuto non avrebbe mai potuto simulare per un periodo così lungo. Quando i sintomi sono tanto duraturi, subentrerebbero fenomeni complessi che non si potrebbero ridurre alla messinscena. Il ragazzo ha confessato al proprio legale di non ricordare assolutamente nulla di tutto il tempo in cui avrebbe dormito. All’indomani dal risveglio, le sue condizioni di salute non destavano preoccupazioni. Anche la deambulazione non avveniva con difficoltà, visto il lungo periodo di immobilità, durato per oltre un anno.
Il fattore culturale: “La sindrome della rassegnazione”.
Non c’è una spiegazione vera e propria sul caso di questo giovane pakistano. Qualcuno ha provato a parlare anche di aspetto culturale, secondo il quale il detenuto si lascerebbe quasi morire davanti all’enorme sofferenza. “In Pakistan hanno una cultura molto rigida – spiega la responsabile di Antigone – spesso hanno reazioni di profonda vergogna di fronte alla consapevolezza di avere commesso qualche reato. Una mediatrice culturale mi ha parlato di «sindrome della rassegnazione»un disturbo che talora sembra colpire anche i bambini e gli adolescenti rifugiati. Ci auguriamo in ogni caso che qualcuno possa farsi carico di questa situazione. Perché un sistema che può tollerare “l’uomo che dorme” in una cella al centro di Roma ha qualcosa che non va”.