Otávio Augusto Munhoz da Silva, all’anagrafe, era un pilota brasiliano di 38 anni, la cui storia aveva già fatto il giro del mondo dopo essere sopravvissuto ad un incidente aereo. Correva proprio il mese di settembre 2022 quando Ottavio si era schiantato con il velivolo da lui pilotato, finendo bloccato miracolosamente tra la chioma di un albero. Il pilota 38enne dovette sopravvivere per 13 giorni nella giungla amazzonica. Dopo essere uscito dall’aereo incidentato, era riuscito a procacciarsi cibo e a resistere alle difficoltà del momento, superando lo shock e ringraziando per il miracolo ricevuto. Riuscì poi a salvarsi definitivamente grazie all’avvistamento di una nave di passaggio.

Il secondo schianto fatale

Tuttavia, la fortuna ha smesso di baciarlo pochi giorni fa, il 28 agosto, anche se alcuni notiziari parlano di settembre per via della segnalazione arrivata dalla sorella tre giorni dopo l’incidente, già 1° settembre. Ottavio stava sorvolando la zona a sud del comune brasiliano di Roraima, precisamente era sopra Mucajaí. Stavolta lo schianto gli è costato la vita: Ottavio è morto in una zona boschiva al confine con il Venezuela. In queste ore si stanno ancora svolgendo le indagini per ricostruire la morte del pilota.

Chi era Ottavio? Le cause dell’incidente

Si tratta di un pilota d’aerei che trasportava passeggeri nella regione di Boa Vista, la capitale di Roraima. Era un cosiddetto “tassista d’aereo”. Lo schianto fatale sarebbe sopraggiunto per un guasto al motore, che avrebbe portato al surriscaldamento dello stesso, provocando il malfunzionamento che ha portato al tragico schianto. Secondo quanto riferisce la CNN brasiliana, in occasione del primo schianto, Ottavio avrebbe disperatamente tentato di salvarsi atterrando in un fiume nelle vicinanze, missione fallita a causa della presenza di un albero, che arrestò la caduta e salvò miracolosamente il pilota 38enne. Avendo con sé medicinali e cibo, il giovane brasiliano riuscì a sopravvivere: “Tutti hanno pregato per lui”, raccontava la madre.

Continua a leggere su Chronist.it