L’intervista dell’allora terzino sinistro più forte al mondo e primo sex symbol d’Italia: “Mi lanciavano le mutandine”. Lo definivano “la rockstar perfetta”

“Mi lanciavano le mutandine addosso”: parola di Antonio Cabrini, uno dei terzini più forti che la storia del calcio abbia mai conosciuto. Non solo era il migliore nel ruolo di terzino sinistro, era anche il primo sex symbol d’Italia. Un doppio traguardo che però, rivela, non ha mai influenzato trasversalmente le sue due vite: quella privata e quella professionale. “Mi tiravano catenine d’oro, anelli, mutandine, ciocche di capelli, trecce che si erano tagliate per me, reggiseni: un delirio”, racconta a La Repubblica.

Ma lui non era un amante della vita mondana: “Le mie rarissime passeggiate erano come la processione di una statua”. Ma bastava anche una breve uscita, banale, di routine, per farlo travolgere da quelle che un tempo non venivano chiamate ancora “fans”. “Una volta, a Campobasso, nel tragitto tra il pullman della Juventus e l’albergo mi ritrovai mezzo nudo, le tifose mi avevano tolto quasi tutto”. Ricordi, come se fossero ancora freschi. “Questo Cabrini è una rockstar, è perfetto per noi”, dicevano di lui. Come nel caso di Maurizio Vitale, fondatore della Robe di Kappa. Ma come reagiva l’ex calciatore a tanto clamore attorno alla sua figura?

“Se c’era la partita – confessa – pure Miss Mondo nel letto non mi avrebbe deconcentrato”. Poi, “parlando seriamente”, afferma: “Il pubblico femminile è garanzia di successo: le donne leggono tanto, si informano, guardano di più la televisione, sono esigenti, non superficiali, hanno la capacità di capire meglio”.

Il rapimento del compagno della nonna

In quel periodo la Fiat gli mise a disposizione “un’auto blindata, avevano paura che mi portassero via”. Il presidente Boniperti lo raggiungeva in allenamento per assicurarsi che tutto andasse bene. “Ma noi calciatori eravamo rispettati e protetti”, afferma. Anni fa raccontò del rapimento:

“Ad un certo punto rapirono quello che era il compagno di mia nonna. Iniziarono le trattative, però i sequestratori sapevano bene chi ero io e che cosa facevo. Con grande discrezione, il club mi mise a disposizione un’auto blindata per un certo periodo. Ricordo ancora che Boniperti veniva negli spogliatoi a sentire l’umore. Era evidente che anche noi eravamo preoccupati per il clima che si respirava, e così ci tranquillizzava dicendo: ‘Andrà tutto bene'”.

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