Assurdo ma vero: se fate l’emoji con il pollice in su (spesso utilizzato come per dire ‘ho letto’) davanti ad una richiesta di contratto, potreste aver firmato come se aveste dato il consenso
Non vi sembra possibile ma dovrete crederci: il pollice in su è sufficiente per sostituire la propria firma, per dare il consenso e per ritrovarsi 61mila dollari sul groppone, da pagare ovviamente. Il caso arriva dal Canada e il malcapitato è un agricoltore che, secondo il giudice, con una banalissima emoticon, avrebbe acconsentito a farsi spedire una fornitura cospicua di cereali.
Il contratto stipulato con una emoji
Oggi tutti sappiamo cosa sia una emoji, visto che ce la ritroviamo in ogni social o piattaforma possibili. In particolare, conosciamo tantissimo quella del pollice in su, tra le più diffuse e note, nonché longeve, dato che Facebook, nato negli USA nel 2003, aveva già il sistema di like come reaction ai post, identificabile giustappunto con il pollice. Lo sventurato agricoltore, di nome Chris Achter, aveva ricevuto una proposta di contratto per la fornitura dei cereali, ai quali rispose con il più classico dei “pollicioni” alla richiesta seguente: “Si prega di confermare”.
L’azienda ha ritenuto l’emoticon un modo per sostituire la risposta affermativa, ma l’uomo, difendendosi, ha specificato che il significato era quello di aver preso conoscenza dell’informazione. Come a dire: “Ho letto”. Ebbene, ritrovatosi davanti al giudice, visto che l’agricoltore si è visto costretto a pagare la bellezza di oltre 60mila dollari, Chris ha chiarito la sua posizione ma si è visto negare la possibilità di annullare l’assurdo contratto perché, sebbene “la Corte riconosce che non è un modo tradizionale di firmare”, al contempo precisa che “in queste circostanze resta valido”.
Una decisione scioccante che potrebbe cambiare drasticamente il significato di tali e, apparentemente, innocenti emoji. Nel caso specifico, l’uomo avrebbe acconsentito alla stipulazione di altri contratti con l’azienda in questione, nei quali aveva accettato con la risposta “ok”. Solo in questa situazione ha agito diversamente e sicuramente non per accettare. Aveva ben altre intenzioni, non certo quelle di ritrovarsi davanti ad una immane quantità di cereali non richiesti. “La Corte – specifica il giudice – non può, né dovrebbe tentare di arginare la tecnologia”. Incredibile ma vero, il giudice riconosce l’assurdità del caso ma precisa: “Questa è la nuova realtà”.