E’ il tribunale dei social sempre quello più pericoloso e più attivo. Se in Italia la giustizia procede a rilento o tarda a stabilire la colpevolezza o l’innocenza di qualcuno, sui social è diverso. Il giudizio è immediato, repentino. Forse perché i video sono una forma reale e veloce di controllo. Un tribunale istantaneo, di pancia. E spesso si assiste a un curioso fenomeno: se per qualcuno che sbaglia o commette un abuso, diventiamo inquisitori, novelli Torquemada, vogliamo la forca, vogliamo vedere rotolare le teste – pensate che è successo sulle torture agli immigrati dei poliziotti di Verona – lì richiamiamo la legge, il rispetto delle regole, l’applicazione di pene esemplari.
Se invece a non rispettare le regole è il nostro beniamino di turno, il nostro attore o cantante del cuore, che scivola su una buccia di banana, ci scopriamo indulgenti, ci dimentichiamo di colpo delle regole, voltiamo la testa dall’altra parte, diventiamo flessibili, magnanimi e, anzi, gli cerchiamo noi per primi un alibi per dire: “Vabbè, ma in fondo ciò che ha fatto è un peccato veniale. Non è così grave”. Vale il vecchio detto che se c’è una legge, per i nemici si applica, mentre per gli amici si interpreta.
Il mio caso
Mi è capitato di assistere a questo curioso fenomeno sul mio profilo Instagram, quando ho pubblicato le immagini del trans picchiato dai vigili a Milano. Ho visto versare fiumi di inchiostro in cui centinaia di persone esprimevano giustamente indignazione e chiedevano punizioni esemplari contro gli uomini in divisa, colpevoli di non aver rispettato le regole, di avere commesso un abuso di potere alzando le mani e usando le spranghe contro una donna indifesa. Ebbene, a distanza di qualche giorno, poi ho pubblicato un altro video che ha fatto discutere: quello del cantante Ultimo che viaggiava su di uno scooter, senza casco, insieme ad altre due persone, a Napoli. Non proprio un esempio virtuoso di rispetto delle regole.
Ebbene, ho notato che quelle stesse persone che si scagliavano contro i vigili, chiedendo il licenziamento, ligi e intransigenti nella loro posizioni di cittadini esemplari che hanno a cuore il rispetto delle regole, su Ultimo, improvvisamente, erano diventate garantiste, in qualche caso acrobati del buon senso e perfino della parola. Pur di assolvere il loro beniamino, prima hanno parlato di un sosia, uno che gli assomigliava. Poi hanno dato addosso a me che ho pubblicato il video: “Paparazzo”, mi hanno detto. E poi, arrendendosi all’evidenza, hanno attribuito la colpa a Napoli, al fatto che “tutti lì fanno così”. E quindi: “Perché Ultimo avrebbe dovuto comportarsi diversamente?”.
Il tribunale dei social… a giorni alterni
Ora: sarà il fatto che Ultimo scrive canzoni bellissime – a proposito, a me piace – delle vere e proprie poesie. Mentre i vigili di Milano no. Ma forse dovremmo essere un po’ più coerenti quando esprimiamo un giudizio. Il tribunale dei social non può funzionare a giorni alterni e non può funzionare una volta di pancia e una volta di testa. Se c’è una regola vale per tutti, amici e nemici. Altrimenti, la vera giungla sono i social e i nostri giudizi valgono carta straccia. Restano, come canta Ultimo, “rondini al guinzaglio”.