Il ragazzo che ha accoltellato la professoressa ad Abbiategrasso aveva collezionato sei note disciplinari, ma il padre non ne sapeva nulla e forse è lì la chiave di tutto, quell’oceano di paura che divide due mondi lontani: i grandi e i più piccoli, la distanza siderale che c’è tra i genitori e i loro figli, che non comunicano. Accumulano angosce e frustrazioni, malesseri che poi sfociano in comportamenti inaspettati, definitivi, totalizzanti, spie di un disagio che arriva da lontano. Forse dal Covid dicono, o da una scintilla che si accende all’improvviso e li fa sentire diversi, inadeguati, infelici.

La paura del giudizio e la ricerca di un capro espiatorio: due mali del nostro tempo

Quel ragazzo rischiava la bocciatura e forse chissà, nella sua testa la professoressa meritava di morire perché rischiava di diventare la causa della sua infelicità. Se ci pensate la paura del giudizio altrui, la ricerca di un capro espiatorio, sono due mali del nostro tempo. Due mostri con i quali combattono anche i grandi, non solo i giovani. I giovani, al contrario di noi, davanti ai grandi problemi difficilmente hanno strumenti in grado di elaborare correttamente un fallimento o una sconfitta. Davanti ai problemi e al giudizio, si sentono stretti e con le spalle al muro, vittime del complotto e spesso questo aumenta la loro capacità di alienarsi e diventare imprevedibili.

Ragazzo accoltella professoressa, insegnanti a rischio: dall’inizio dell’anno ne sono stati aggrediti 32

Ecco perché sono a rischio maggiore gli insegnanti, perché sono i terminali del loro disagio, il bersaglio su cui impattano le loro emozione più forti. Dall’inizio dell’anno 32 professori sono stati aggrediti in Italia, in media un insegnante a settimana. Il ministro dell’istruzione vorrebbe inserire in maniera strutturale la presenza di uno psicologo fisso nelle scuole, per gestire la rabbia, l’ansia dei ragazzi, insieme alla paura della sconfitta, ma forse sarebbe il caso che i genitori diventino meno giustificativi, più partecipi della vita dei figli e che i professori vengano preparati a gestire la complessità delle nuove generazioni, che oggi hanno altri linguaggi, altri meccanismi spesso difficili da decifrare. È l’unica strada, i ragazzi vanno capiti e non solo puniti. Altrimenti il rischio è che la distanza tra il loro mondo e quello dei grandi, diventi sempre più profondo.

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