Se dici la parola “Antimafia”, a cosa pensi? A qualcosa o a qualcuno contro la mafia, contro il malaffare. Contro la corruzione, contro l’imbroglio. Pensi, per esempio, a Falcone e Borsellino. Ai tanti magistrati e ai poliziotti che, negli anni, in silenzio, hanno contrastato Cosa Nostra. E spesso hanno pagato un tributo di sangue per rendere l’Italia un posto migliore. E la Sicilia, una terra libera. Pensi a questo, non pensi di certo a una preside di una scuola intitolata a Falcone che prende l’origano, la pasta, il tonno, le patatine regalate ai bambini bisognosi dell’istituto per farsi la spesa gratis e avere a casa la dispensa piena. Non ci pensi perché è una cosa da miserabili, da accattoni. Eppure… Eppure… È successo.

Lei è Daniela Lo Verde, una specie di santino, di icona della lotta alla mafia. Quella facile, quella che si fa a parole, con i lenzuoli bianchi e la retorica. Quella che non costa niente: dici due parolacce contro la mafia e sei già un eroe. Pensate, la Lo Verde era stata insignita del titolo di Cavaliere dal Capo dello Stato Mattarella, perché aveva contribuito al riscatto di un quartiere disagiato: lo Zen di Palermo. Raccontava che ai bambini insegnava la legalità: questa parola ripeteva sempre. La legalità, gliela insegnava all’ingresso e all’uscita dalla scuola. E pure a ricreazione. Perché, in certi ambienti, più la dici, quella parola, e più sei ben visto. Ebbene: la signora è stata intercettata dai carabinieri mentre privava i bambini della scuola del cibo per la mensa. È stata ripresa mentre si portava a casa i televisori, i computer, pagati con i fondi europei. E secondo i carabinieri, falsificava addirittura le firme degli allievi per giustificare il finanziamento di corsi mai realizzati. E tutto per intascare i soldi o oggetti per qualche migliaia di euro.

Quando Cosa Nostra ordinò ai sindaci di fare manifestazioni antimafia

Una roba da ladri di polli. Ora, vedremo se le accuse saranno confermate e come si difenderà la preside, ma la questione, a mio avviso, è più profonda. Non è la prima volta che qualche beniamino dell’antimafia scivola su qualche banconota e su qualche brutta storia. Gli archivi della cronaca sono pieni di casi come questi. Casi di truffatori che hanno usato la parola “Antimafia” come ombrello per coprire magagne e intrallazzi vari. Negli anni, la stessa mafia usò la parola “Antimafia” come copertura. Dopo la stagione delle stragi, Cosa Nostra capì che piuttosto che piazzare tritolo nelle strade, era meglio inquinare i pozzi, intorbidare un po’ le acque. I boss, pensate, ordinarono a molti sindaci e amici di fare manifestazioni antimafia. A pioggia. E per continuare nelle zone a fare i loro traffici senza attirare l’attenzione di magistrati e investigatori. E, per un periodo, funzionò. “Tanto – pensavano i boss – se il nostro è un paese antimafia, è facile: significa che la mafia non c’è”. Furbi loro. Ecco perché la storia della preside che ruba il tonno o l’origano ai bambini, non mi stupisce più di tanto. Perché c’è gente che ha costruito fortune e carriere su questo.

Non si combatte così la mafia

E, per carità, ben vengano le manifestazioni, le commemorazioni, le giornate contro la mafia. I bambini col ramoscello di ulivo. Ma poi bisogna sempre essere abili a distinguere il vero dal falso. La retorica dall’impegno concreto. La buona creanza dalla truffa. Penso adesso a quei bambini della scuola di Palermo a cui un giorno racconteranno la storia della preside che rubava i televisori e il tonno alle loro spalle. Cosa penseranno? E che valore daranno alla parola che la preside Lo Verde ripeteva come una preghiera? “Legalità”. Che figura. Forse qualcuno di loro, adesso, come è normale, proverà il nostro stesso sgomento e il nostro stesso imbarazzo. E qualcun altro, magari, sarà rimasto deluso. Ragazzi, non ve la prendete: ricordate che l’antimafia non si fa a parole ma si fa con i fatti. E non vi fidate di chi la mafia la combatte solo andando in tv a dire quanto sono cattivi i boss e che bisogna essere tutti più buoni, più bravi e più belli. La mafia si combatte per strada, cambiando la mentalità e le cose con la testa libera. Potendo dirlo a voce alta: “Non sono schiavo di nessuno”.

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