Ci sta che i giudici da un grado di giudizio a un altro cambino idea. Ma c’è una sentenza emessa dalla Cassazione che, nonostante sia passata in sordina, ha del clamoroso. Per la prima volta viene messo nero su bianco che chiunque di noi subisce una truffa, un furto telematico, il cosiddetto phishing, la banca non ne risponderà. Ne risponderà solo il cliente. Che vuol dire?

Vuol dire che se il truffatore, con l’inganno, riesce a trovare i codici d’accesso del conto corrente, la colpa non sarà mai della banca che potrebbe adottare sistemi di sicurezza più evoluti, ma del correntista che doveva essere più accorto. E se si è fatto fregare i codici di accesso, pazienza. Si accollerà il danno. La banca potrà allargare le braccia. State attenti quindi a tutti quei messaggini, gli sms che arrivano spesso sui nostri cellulari, vi sarà capitato, che sembrano partire proprio dalla nostra banca. Se ci cliccate sopra, è finita. Vi rubano i soldi e non potrete chiedere conto e ragione a nessuno.

La sentenza con la quale la corte di Cassazione si è espressa sul merito, è clamorosa. Un grande regalo alle banche perché rappresenta uno scudo per gli istituti di credito di fronte alle richieste di risarcimento danni avanzate dai correntisti truffati via internet. Che sono migliaia. Quando tanti anni fa conducevo “Mi manda Raitre”, programma di servizio molto seguito allora, prima che ci mettere le mani l’ex direttore di rete Franco Di Mare, erano tantissimi gli utenti truffati che chiedevano aiuto alla redazione. E in molti casi, grazie a una mediazione con gli istituti di credito, siamo riusciti a farli risarcire.

Da oggi, con questa sentenza, non sarà più possibile. Qualunque cosa succeda sul nostro conto, chiunque ci entri e ci freghi qualsiasi cifra, sarà sempre colpa nostra. Una follia. È come dire che se ci rubano in casa perché il ladro riesce a trovare per conto suo la chiave della porta blindata, o disinserire un antifurto facilmente violabile, la colpa non è di chi ha venduto la porta o ci ha installato l’allarme, ma di noi che abbiamo fatto sapere al ladro dove abitiamo.

La banca oggi potrà allargare le braccia e dire: “Si arrangi”

Le sentenze si rispettano, per carità, ci faremo andare bene anche questa. Gli istituti di credito, dal canto loro, dicono che nei loro siti c’è uno spazio dedicato alle informazioni per evitare le frodi. Nel quale i correntisti vengono avvertiti che gli istituti non richiedono mai – attraverso sms, posta elettronica, telefonate – di fornire codici personali. Quindi questa sentenza è più che corretta. Giusto, ma quanti lo sanno? Non tutti i clienti sono pratici di frodi informatiche, soprattutto gli anziani. Per cui, visto che le banche invitano i clienti più in là con gli anni ad aprire un conto online, dovrebbero contestualmente istruirli, spiegare, soprattutto a loro, quelli che hanno meno dimestichezza con password e internet, a cosa vanno incontro e a cosa stare attenti. Questo, non si fa.

Si regala tecnologia ma non si investe sulla conoscenza dei rischi. Forse perché non porta profitti. E questo un po’ è come invitare il truffatore a nozze, perché, una volta usciti dalla banca, pensateci, quei correntisti poco esperti che non sanno bene come usare quei codici, sono tutti potenziali bersagli. E se ricevono un sms dalla banca, in cui gli chiedono di digitare i propri codici sul cellulare, loro lo fanno. “Cavolo – ti dicono – nell’sms c’è scritto che è proprio la banca che me lo chiede”. Vaglielo a spiegare dopo che il conto è svuotato, che era tutto un imbroglio e che la banca da oggi in poi ti potrà dire: “Si arrangi caro signore, noi non possiamo fare nulla”.

Continua a leggere su Chronist.it